Il tema del Nòstos nella letteartura italiana e algerina

موضوع العودة في الأدب الإيطالي و الجزائري

Le thème de Nòstos dans la littérature italienne et algérienne

The theme of Nòstos in italian and algerian literature

Tarek Bouaziz

p. 203-217

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Tarek Bouaziz, « Il tema del Nòstos nella letteartura italiana e algerina », Aleph, Vol 12 (2) | 2025, 203-217.

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Tarek Bouaziz, « Il tema del Nòstos nella letteartura italiana e algerina », Aleph [En ligne], Vol 12 (2) | 2025, mis en ligne le 16 avril 2025, consulté le 02 juin 2025. URL : https://aleph.edinum.org/14738

Il presente studio analizza il tema del nostos – il ritorno – nella letteratura, dalle sue origini nella poesia epica greca fino alle sue reinterpretazioni moderne. Partendo dai Nostoi di Eumelo di Corinto e dall’Odissea di Omero, l’indagine si concentra su due opere mediterranee moderne : La luna e i falò di Cesare Pavese e La terra e il sangue di Mouloud Feraoun. Entrambe riflettono l’esperienza migratoria e il desiderio del ritorno alla terra natale, tra memoria, trasformazione e disillusione. Un’analisi comparativa rivela convergenze e divergenze che illuminano le tensioni tra identità, appartenenza e modernità.

Cette étude traite du thème du nostos – le retour – dans la littérature, en retraçant son évolution depuis l’épopée grecque antique jusqu’à ses déclinaisons modernes. À partir des Nostoi d’Eumèle de Corinthe et de l’Odyssée d’Homère, l’analyse se focalise sur deux romans méditerranéens contemporains : La lune et les feux de Cesare Pavese et La terre et le sang de Mouloud Feraoun. Ces œuvres, à travers le prisme de la migration, mettent en évidence les tensions entre l’enracinement, l’exil et le besoin de redéfinir l’appartenance. L’étude comparative en révèle les convergences thématiques et stylistiques.

This study explores the theme of nostos – homecoming – in literature, tracing its evolution from ancient Greek epic poetry to its modern literary interpretations. Starting from Eumelus of Corinth’s Nostoi and Homer’s Odyssey, the analysis focuses on two Mediterranean novels : La luna e i falò by Cesare Pavese and La terre et le sang by Mouloud Feraoun. Both works reflect on migration, memory, and the desire to return to one’s homeland. A comparative literary approach highlights similarities and contrasts in the depiction of identity, belonging, and post-exilic experience.

يتناول هذا البحث موضوع نوستوس – أو العودة – في الأدب، من خلال تتبع تطوره من الشعر الملحمي اليوناني القديم إلى تأويلاته الحديثة في الأدب المعاصر. انطلاقًا من قصيدة « العودة » لإيوميلوس الكورنثي و« الأوديسة » لهوميروس، تركز الدراسة على روايتين من حوض البحر المتوسط : القمر والنيران لتشيزاري بافيزي والأرض والدم لمولود فرعون. تعكس هاتان الروايتان تجربة الهجرة والحنين إلى الوطن الأم، وتظهران أبعاد الهوية والانتماء والتغيرات التي يمر بها المهاجر عند العودة.

Introduzione

Il Nòstos, o il ritorno, è un tema ricorrente nella letteratura, sia in quella greca antica che in quella universale. Ma cosa si intende esattamente per Nòstos ?

Il termine Nòstos è la traslitterazione del greco νόστος, che significa « ritorno ». Esso designa il ritorno fisico e morale del protagonista dopo un lungo viaggio, spesso segnato da prove e trasformazioni. Il concetto di Nòstos non implica soltanto il rientro in patria, ma anche un recupero identitario, culturale e spirituale.

L’origine del tema risale alla letteratura greca antica. Tra le prime testimonianze troviamo il poema Nostoi (« I ritorni ») attribuito a Eumelo di Corinto nel VII secolo a.C., che narrava il ritorno degli eroi greci dopo la distruzione di Troia. Tuttavia, è con l’Odissea di Omero (VI secolo a.C.) che il Nòstos acquisisce la sua massima espressione : il viaggio di ritorno dell’eroe Ulisse, ricco di avventure, inganni e rivelazioni interiori.

Anche nella letteratura universale, il Nòstos ha assunto diverse forme. Ne è un esempio La Divina Commedia di Dante Alighieri (1304-1307), in cui il poeta compie un ritorno allegorico alla verità e alla salvezza attraverso l’inferno, il purgatorio e il paradiso.

In epoca moderna e postmoderna, il Nòstos continua a ispirare opere narrative come Ulysses (1922) di James Joyce, Horcynus Orca (1975) di Stefano D’Arrigo e Omeros (1990) di Derek Walcott, tutte reinterpretazioni contemporanee del mito del ritorno.

Oggi, tuttavia, una delle declinazioni più significative del Nòstos si ritrova nel contesto dell’emigrazione : il ritorno alla terra natale dopo un periodo di esilio. In questo senso, due opere esemplari in ambito mediterraneo sono La luna e i falòdello scrittore italiano Cesare Pavese e La terra e il sangue dell’algerino Mouloud Feraoun.

Alla luce di quanto detto, appare evidente che il tema del Nòstos, sebbene affondi le sue radici nella classicità, si sia rinnovato profondamente nel corso del tempo. Per comprendere meglio questa evoluzione, è utile analizzare come esso si manifesti nella letteratura moderna, italiana e algerina, attraverso un confronto critico e comparativo.

1. Tema del Nòstos nella letteratura moderna, italiana e algerina

Il tema del Nòstos, inteso come ritorno fisico, morale e identitario, ha assunto forme molteplici nella letteratura moderna e contemporanea. Da un lato, esso si è distaccato dal significato tradizionale del ritorno post-bellico, ampliandosi a una dimensione metaforica di recupero delle origini e dei valori perduti. Dall’altro, il Nòstos ha continuato a fungere da chiave interpretativa fondamentale in molte narrazioni, rivelandosi un topos estremamente attivo nella produzione letteraria.

1.1. Tema del Nòstos nella letteratura moderna

Se nella letteratura e nell’arte moderna il tema del ritorno viene concepito come una chiave interpretativa centrale, ci si rende conto che il nòstos rappresenta un topos vivissimo e altamente produttivo.

Nel romanzo moderno, appare chiaro che il nòstos viene distaccato dal suo ristretto e tradizionale senso di un semplice viaggio ordinario di ritorno a casa dopo uno sforzo bellico, estendendosi così a un senso più ampio e necessariamente metaforico, diventando un’operazione di recupero delle origini, ossia uno sforzo di rivisitazione o riconquista di valori precedentemente ripudiati.

In quanto elemento discriminante, è proprio il senso del « ritorno » – il nòstos appunto – che in ogni caso scaturisce da una lunga vicenda, quasi infinita, capace di segnare e trasformare il protagonista nel profondo del suo animo.

Dopo l’Ulisse di Omero, nella letteratura universale sono nati molti Ulisse moderni e post-moderni che rappresentano un ritorno analogo a quello dell’Ulisse originale : si pensi, ad esempio, all’Ulisse del poeta britannico Alfred Tennyson (1842), a Heinrich von Ofterdingen (1798–1801) del poeta tedesco Novalis, a Ulysses (1922) del romanziere irlandese James Joyce, a Horcynus Orca (1975) di Stefano D’Arrigo, e a Omeros (1990), l’epico poema del santaluciano Derek Walcott.

Tuttavia, nel patrimonio letterario della dimensione mediterranea, è possibile rintracciare nel romanzo moderno diverse storie che raccontano differenti forme di nòstos, soprattutto nella letteratura italiana e algerina, dove lo studio comparativo tra opere appartenenti a queste due letterature costituisce un campo promettente che merita di essere esplorato e approfondito.

1.2. Tema del Nòstos nella letteratura italiana

È attribuito al poeta italiano Ugo Foscolo il merito di aver inaugurato una vasta produzione di nostoi problematici (cioè moderni), con il sonetto A Zacinto (1803), che esprime il dolore di un ulisside al quale è negato il ritorno a Itaca-Zante, ma che, in cambio, è in grado di cantare il suo non-ritorno e di realizzare simbolicamente ciò che nella realtà è irrealizzabile.

Lo stesso accade ne I Promessi Sposi (1827) di Alessandro Manzoni : l’abbandono del paesello nell’“Addio ai monti” rappresenta un distacco irreversibile. Infatti, alla fine del romanzo, i due giovani saranno costretti a sradicarsi per iniziare una nuova vita insieme, dal momento che, fin dall’alba dei tempi, il male ha alterato l’idillio domestico (non a caso, qualche critico ha parlato di una cacciata dall’Eden di Renzo e Lucia).

Un altro esempio significativo è il finale de I Malavoglia (1881) di Giovanni Verga, che rappresenta il nostos del giovane ’Ntoni ad Aci Trezza. Tuttavia, si tratta ancora di un ritorno che non può ristabilire lo stato delle cose antecedenti alla guerra, e il personaggio ne è consapevole, tanto da trasformare il ritorno in un ultimo saluto, un addio.

Ma l’esempio più emblematico del tema del nostos nella letteratura italiana è il romanzo La luna e i falò (1950) di Cesare Pavese, la cui tematica centrale è proprio il ritorno.

1.3. Tema del Nòstos nella letteratura algerina

Nella letteratura algerina, il tema del Nòstos si manifesta attraverso il fenomeno della migrazione degli algerini, in particolare in Francia durante l’occupazione francese, soprattutto all’inizio del XX secolo. Tuttavia, questo fenomeno è stato sempre segnato dal ritorno dei migranti alla terra natale, perché quest’ultima costituisce uno dei temi principali della letteratura algerina di lingua francese del periodo compreso tra il 1925 e il 1945 (Déjeux, 1982 : 35).

In questa letteratura, Rachid Boudjedra e Mouloud Feraoun si distinguono come i maggiori scrittori algerini che hanno trattato il tema del Nòstos nei loro testi.

Il primo, nel suo romanzo Topographie idéale pour une agression caractéristique, pubblicato in versione originale da Éditions Denoël nel 1975 e successivamente tradotto in italiano con il titolo Topografia ideale per un’aggressione caratterizzata, racconta la patetica odissea di un emigrante che si ritrova intrappolato nei labirintici tunnel sotterranei della metropolitana parigina. È una sorta di discesa agli inferi che assume un rilievo impressionante grazie a uno stile superbo e a una tecnica narrativa perfettamente adattata ai luoghi in cui avviene l’uccisione dello straniero, a porte chiuse.

Il personaggio è dipinto come un essere disarmato e goffo, destinato a vagare nelle gallerie della metropolitana. Egli non possiede un’identità onomastica : viene chiamato “il muto”, “il montanaro”, “l’idiota”, “il viaggiatore”, “l’emigrante”, “l’ingenuo”, “il naufrago”, “l’uomo con la valigia” e, in altri casi, semplicemente con il pronome personale “lui”. Non ha quindi un’identità patronimica. Il suo “ritratto” è espresso attraverso il suo aspetto contadino. La sua origine sociale è tradita dai suoi vestiti larghi, che lo ridicolizzano, dal suo atteggiamento goffo, dalle sue continue esitazioni e anche dal suo carattere eccessivamente spontaneo e ingenuo. L’unica precisione riguarda la sua provenienza : da un villaggio algerino isolato, noto come le Piton, ma mai identificato con un toponimo preciso.

Boudjedra, attraverso quest’opera, denuncia la violenza subita dai migranti e anche l’indifferenza di quella società moderna che è l’opposto di quella di le Piton. Una società inadatta agli algerini, soprattutto ai lavoratori, alla quale non riescono ad adattarsi. Lo scrittore mette in guardia, anche in forma di ammonimento, chi riesce a uscire dal sottosuolo metropolitano : « il y a encore les chantiers, les hauts fourneaux, les kilomètres de rues à balayer, des tonnes de neige à balayer... » (Boudjedra, 1975 : 180).

In definitiva, tanto nella letteratura italiana quanto in quella algerina, il tema del Nòstos si configura come una tensione verso le origini che si carica di significati esistenziali, sociali e storici.

In sintesi, l’evoluzione del Nòstos nella letteratura moderna, italiana e algerina testimonia la sua forza come archetipo narrativo capace di adattarsi a tempi e contesti diversi.

A partire da questa prospettiva, è ora possibile analizzare più da vicino due opere emblematiche – La luna e i falò e La terra e il sangue – che incarnano il Nòstos attraverso percorsi individuali profondamente radicati nel contesto mediterraneo.

2. Convergenze e divergenze tra il nòstos pavesiano e il nòstos feraouniano

2.1. La luna e i falò : la trama

Ne La luna e i falò, il nòstos, il ritorno, costituisce il nucleo tematico centrale. Il protagonista, Anguilla, è cresciuto a Santo Stefano Belbo, ma non vi è nato, e non ha conosciuto né i suoi genitori né le loro origini, poiché è un trovatello adottato dall’ospedale di Alessandria.

Ciò è avvenuto nel contesto dell’inizio del Novecento, durante il periodo fascista, quando il governo offriva alle famiglie più povere un sussidio di cinque lire al mese per adottare bambini orfani, che una volta cresciuti sarebbero stati impiegati come forza lavoro.

L’ambiente in cui cresce Anguilla è quello delle realtà rurali piemontesi, in particolare a Gaminella, insieme al Padrino e a Virgilia (la madre adottiva, scomparsa prematuramente), nonché alle sorelle Giulia e Angiolina. Lì impara l’agricoltura, unica attività trasmissibile all’epoca come mestiere.

Con il tempo, le sorelle si sposano e Padrino è costretto a lasciare la casa, portando con sé Anguilla, che andrà a lavorare presso una cascina appartenente al signor Matteo, insieme alle sue tre figlie : Irene, Silvia e Santa, in un villaggio delle Langhe.

Sebbene questa nuova famiglia diventi per lui un punto di riferimento affettivo, vivrà esperienze tragiche che lo segneranno profondamente. Sconfortato e stanco, Anguilla decide di emigrare, promettendo a sé stesso di non tornare più in Italia.

Tuttavia, dopo un lungo periodo trascorso in America, Anguilla, come un moderno Ulisse, sceglie infine di ritornare a Santo Stefano Belbo, incarnando così il nòstos nella sua dimensione esistenziale più complessa.

2.2. La terre et le sang : la trama

Nel romanzo La terre et le sang, il protagonista Amer (o Kaci) lascia giovanissimo la sua terra natale, la Cabilia, per lavorare nelle miniere francesi. Giunto nel paese d’esilio, decide di non tornare, dimenticando i suoi genitori, di cui è l’unico figlio.

Per questi ultimi, il figlio partito con l’intenzione di lavorare per garantire loro una vecchiaia dignitosa, diventa una sorta di “posta perduta”.

Dopo alcuni anni, Amer rientra infine al villaggio. Il padre è deceduto, mentre la madre, pur avendo sofferto fame e freddo, ha vissuto con dignità grazie al proprio lavoro. Il suo ritorno appare come una rottura netta con l’esperienza fallita dell’esilio.

Tuttavia, questo nòstos si rivela una scelta dolorosa. Amer porta con sé un debito morale : durante la sua permanenza nelle miniere del Nord della Francia, ha accidentalmente ucciso suo zio Rabah. Sebbene la famiglia della vittima finga di perdonarlo, Slimane, fratello del defunto, non dimentica il crimine.

Per Slimane, il ritorno di Amer non è soltanto inatteso, ma intollerabile. Il nòstos qui si conclude con un senso tragico, carico di tensione e colpa.

2.3. Le convergenze

Per comprendere appieno il senso profondo del ritorno nei due romanzi, è fondamentale cogliere il ruolo centrale del tema del nostos, che funge da filo conduttore nelle vicende dei due protagonisti.

Il tema del nostos accomuna entrambi i protagonisti, sia Anguilla in La luna e i falò, sia Amer in La terra e il sangue, i quali intraprendono un lungo viaggio dalla loro terra natale e vi fanno ritorno dopo molti anni, segnando una parabola esistenziale e narrativa profondamente emblematica.

2.3.1. Nostos, memoria e appartenenza

Il concetto di nostos, o ritorno, nei due romanzi non è solo un movimento geografico, ma un viaggio dell’identità, della memoria e del senso di appartenenza.

La centralità del tema è evidente : in La luna e i falò, il ritorno è motivato da una nostalgia profonda, da un senso d’appartenenza a un territorio e a una comunità.

C’è una ragione perché sono tornato in questo paese, qui e non invece a Canelli, a Barbaresco o in Alba. Qui non ci sono nato, è quasi certo ; dove sono nato non lo so ; non c’è da queste parti una casa né un pezzo di terra né delle ossa ch’io possa dire « Ecco cos’ero prima di nascere ».
(Pavese, 1995 : 9)

Questo monologo interiore iniziale di Anguilla rivela la ricerca di un’origine perduta, legata più alla memoria dei luoghi vissuti che al dato anagrafico.

Il racconto è costruito come un mosaico di ricordi e sensazioni che ricompongono il passato attraverso il ritorno. Il romanzo è caratterizzato da un lungo flashback che alterna il presente e il passato, costruendo una narrazione continua del ricordo. La famiglia adottiva di Anguilla lo ha accolto solo per convenienza :

Se sono cresciuto in questo paese, devo dir grazie alla Virgilia, a Padrino, tutta gente che non c’è più, anche se loro mi hanno preso e allevato soltanto perché l’ospedale di Alessandria gli passava la mesta.
(Pavese, 1995 : 9)

Dopo aver lavorato nella cascina della Mora ed essere emigrato in America, Anguilla torna adulto e rievoca l’infanzia, i volti, i luoghi :

Da quando, ragazzo, al cancello della Mora mi appoggiavo al badile e ascoltavo le chiacchiere dei perdigiorno di passaggio sullo stradone, per me le collinette di Canelli sono la porta del mondo.(Pavese, 1995 : 13)

Anche in La terre et le sang, la nostalgia diventa forza motrice del ritorno. In quest’opera, Amer torna al paese dopo un lungo esilio, spinto da una nostalgia che lui stesso non riesce a spiegare :

« La longue absence n’a d’autre signification que celle d’une parenthèse gigantesque impuissante à changer le sens général d’une phrase. »
(Feraoun, 1953 : 136)
Un’« inexplicable nostalgie », dice, che lo ha portato a lasciare la Francia « pour répondre à l’appel mystérieux de sa terre. »
(Feraoun, 1953 : 137) Questa terra la conosce bene e la considera come una madre.

Il legame affettivo e fisico con essa è descritto con accenti quasi sacri, come testimonia la voce narrante in La terre et le sang :

« Nous en sortons et nous y retournons […]. Elle aime ses enfants. Quand ils l’oublient trop, elle les rappelle […]. Cette terre aime et paie en secret. Elle reconnait tout de suite les siens ; ceux qui sont faits pour elle et pour qui elle est faite […]. Sa beauté, il faut la découvrir et pour cela il faut l’aimer. »
(Feraoun, 1953 : 136–137)

La sacralità della terra, come luogo d’origine e destino, trova una profonda risonanza anche nel pensiero di Jean Amrouche. Da sua parte, lo scrittore cabilo aveva dato una spiegazione illuminante nell’introduzione della sua opera Chants Berbères de Kabylie (Tunis, Monomotapa, 1939 ; réédition Paris, Charlot, 1947), a proposito dell’attaccamento viscerale alla madrepatria :

« La pensée la plus douloureuse, écrivait-il, est pour le paysan kabyle la crainte de mourir et d’être enterré en terre étrangère. [...]
De même que les liens qui le rattachent au sol, le cordon ombilical n’est jamais entièrement tranché pour lui. La mère et la terre sont à ses yeux le bien le plus précieux. Il est leur enfant et ne saurait sortir du cercle de leur tendresse sans dépérir. »

Queste riflessioni rafforzano l’idea che la terra natale sia vissuta come una figura femminile arcaica e protettiva, una madre o una moglie amatissima. C’è un radicamento profondo, quasi organico, in una terra, ed è attraverso di essa che vive la famiglia.

La terra, inoltre, è la patria degli antenati : è legata al sangue, alla genealogia. Alla fine, ci si affeziona ad essa anche solo perché è la terra dei padri. È in questo senso che risuonano le parole dello scrittore e politico francese Maurice Barrès, per cui la patria è : « cet immense cimetière possédé en commun »

Dunque, prima ancora di rappresentare un attaccamento sentimentale a paesaggi amati o a una narrazione nazionale, il legame con la terra è di natura biologica, profonda e insostituibile.

2.3.2. Due Ulisse moderni e il ritorno amaro

Tra le convergenze che accomunano i due ulissidi, Anguilla e Amer, vi è il fatto che entrambi, al momento della loro partenza, erano giovanissimi, consumando i migliori anni della loro giovinezza nella terra d’esilio : sono partiti nell’età dell’adolescenza e sono tornati adulti.

Entrambi intraprendono un percorso migratorio con la speranza di emancipazione : Anguilla si dirige in America, verso la California, con l’intento di conquistare una fortuna o trovare un luogo a cui potersi sentire legato ; Amer emigra in Francia, dove lavora nelle miniere del Nord.

Una volta giunti nella terra d’esilio, i due protagonisti sembrano decisi a non tornare mai più alla loro terra d’origine. Tuttavia, col passare degli anni, entrambi sentono il richiamo del ritorno.

Un elemento simbolico importante è il viaggio via mare, che ricollega i due personaggi alla figura archetipica di Ulisse dell’Odissea di Omero. Proprio come l’eroe greco, Anguilla e Amer sono viaggiatori segnati dal desiderio di ritorno, ma il loro nostos sarà segnato dall’amarezza.

Alla fine, entrambi rientrano nelle loro terre natie da uomini benestanti, con un certo successo materiale. Tuttavia, il ritorno non coincide con la riconquista dell’armonia perduta, bensì con la presa di coscienza di una realtà radicalmente mutata.

Per Anguilla, infatti, il ritorno è amaro : sin dal primo momento egli si rende conto che il tempo ha trasformato tutto, e che il mondo della memoria non esiste più :

« Di tutto quanto, della Mora, di quella vita di noialtri, che cosa resta ? Per tanti anni mi era bastata una ventata di tiglio la sera, e mi sentivo un altro, mi sentivo davvero io, non sapevo nemmeno bene perché. »
(Pavese, 1995 : 136)

Nel podere dove è cresciuto alla Gaminella, è il paese stesso in cui vive la famiglia di Valino, un mezzadro impetuoso dal carattere collerico, che fa della famiglia l’oggetto su cui esprime il disagio dovuto a una vita di povertà e sofferenze.

Il ritorno di Anguilla si intreccia con le storie della comunità che ha lasciato, e con le sue trasformazioni. Anguilla vive in amicizia con Cinto, il figlio zoppo di Valino, simboleggiando per lui una figura paterna. Passa molto tempo nelle campagne delle Langhe, evocando e rivivendo gli anni della propria infanzia e adolescenza.

C’è anche Nuto, un falegname che in passato rappresentava la figura paterna di riferimento per Anguilla e riattiva il suo processo del ricordo. Attraverso la memoria condivisa, il romanzo si apre a una riflessione collettiva sulla guerra e sul trauma. Nuto è un ex partigiano, e attraverso il racconto restituisce ad Anguilla un’immagine vivida degli orrori della guerra civile contro i nazifascisti, un accadimento che ha sconvolto radicalmente l’esistenza di tutti.

Ma la rovina della situazione economica del podere porta la famiglia al culmine della tragedia, facendo impazzire Valino e trascinandolo nella follia. Cinto è l’unico a sopravvivere, e trova protezione proprio in Anguilla, che ora assume definitivamente un ruolo paterno.

Quest’ultimo si confronta infine con un’altra dura verità riguardante le tre sorelle della Mora : scopre che Irene ha sposato un nuovo uomo violento, che Silvia è morta di parto in seguito a una relazione adultera, e che Santina – la ragazza di cui era segretamente innamorato da giovane, ma a cui non aveva potuto confessare i propri sentimenti per via della sua inferiorità sociale – è anch’essa morta. Santina, infatti, amante di diversi fascisti, fu scoperta come spia infiltrata tra i partigiani, giustiziata e il suo corpo bruciato.

Questa serie di rivelazioni segna per Anguilla un punto di rottura definitivo. Alla fine, dopo ciò che ha visto, i cambiamenti e le vicende dolorose, decide di lasciare di nuovo e in modo definitivo Santo Stefano Belbo, affidando Cinto a Nuto.

Egli si rammarica delle cattive condizioni in cui viveva alla Mora nel passato, come un servitore del sor Matteo, in povertà, ignoranza e insicurezza, con una frustrazione profonda : non poteva esprimere il suo amore per Santina, che era considerata al di sopra della sua condizione sociale.

Ora si interroga su quanta altra gente debba vivere le stesse esperienze che lui ha vissuto in quella valle :

« Una cosa che penso sempre è quanta gente deve viverci in questa valle e nel mondo che le succede proprio adesso quello che a noi toccava allora, e non lo sanno, non ci pensano. »(Pavese, 1995 : 136)

Non vi è alcun segno, nessun cambiamento visibile che possa convincerlo a ricominciare una vita in quella terra che aveva già abbandonato e nella quale aveva smesso di credere :

« Magari è meglio così, meglio che tutto se ne vada in un falò d’erbe secche e che la gente ricominci. » (Pavese, 1995 : 136)
« Non erano cambiati gran che ; io ero cambiato. » (Pavese, 1995 : 137)

La ciclicità governa l’esistenza umana : le tracce degli uomini mutano, ma la terra, le forme delle colline e le stagioni restano immutabili :

« Dev’essere per forza così—I ragazzi, le donne, il mondo, non sono mica cambiati, » [...] « —Eppure la vita è la stessa, e non sanno che un giorno si guarderanno in giro e anche per loro sarà tutto passato. » (Pavese, 1995 : 136)
« [...] più che andare, di tornare un bel giorno dopo che tutti mi avessero dato per morto di fame. » (Pavese, 1995 : 138)

Sotto la luna e le colline nere, Nuto una sera mi domandò com’era stato imbarcarmi per andare in America, se ripresentandosi l’occasione e i vent’anni l’avrei fatto ancora. Gli dissi che non tanto era stata l’America quanto la rabbia di non essere nessuno, la smania, più che andare, di tornare un bel giorno dopo che tutti mi avessero dato per morto di fame. In paese non sarei stato mai altro che un servitore, che un vecchio Cirino (anche lui era morto da un pezzo, s’era rotta la schiena cadendo da un fienile e aveva ancora stentato più di un anno), e allora tanto voleva provare, lavarmi la voglia, dopo che avevo passata la Bormida, di passare anche il mare.(Pavese, 1995 : 138)

Anche il ritorno di Amer è amaro, egli che torna per fuggire la promiscuità delle camere degli alberghi parigini, i caporeparti ed i cattivi ricordi, ciò che lo spinge con sua moglie Marie ad insediarsi in Cabilia.

Al pari dell’insieme dei suoi connazionali, il ritorno di Amer al paese è prima di tutto un ritorno al senso :

« Beaucoup de ses compatriotes, prisonniers, comme lui revinrent au pays se retremper dans leur milieu, revivre la vie des leurs, redécouvrir un sens à leur misérable existence et à leurs émigrations périodiques. »(Feraoun, 1953 : 72)

Dopo il ritorno, col passar del tempo, Amer si rende conto della cattiva scelta che ha fatto quando ha deciso di tornare, diventa traumatizzato e comincia a sentirsi la pesantezza del delitto involontario che ha suscitato la morte di suo zio Rabah in una miniera in Francia :

« Le retour d’Amer surprit tout le monde. On le croyait perdu. Slimane, lui, ne fut pas surpris. Il en devint malade. Il avait toujours espéré vouer une haine stérile à son neveu mais non le revoir là, face à face, être obligé d’agir ou au contraire de ne rien faire et laisser penser qu’il n’avait pas le sens de l’honneur. Quand il ne s’était agi que de Kamouma, il s’en était tiré à merveille : la mère du serpent ! Il avait été facile de la renier. »(Feraoun, 1953 : 80)

Slimane è l’ultimo zio di Amer che rimane vivo, e considera il nipote come un nemico :

« Mais après, Slimane en parla avec son oncle qui se montra intransigeant : “On ne peut pas pardonner à Amer son témoignage. Dans cette affaire, il n’est pas question de déterminer la part du Polonais. Le véritable adversaire, c’est Amer.” » (Feraoun, 1953 : 80)

Naturalement, Slimane se déclara ennemi. Dès le premier jour. Les cousins souhaitèrent la bienvenue au fils de Kamouma, soit dehors, au hasard d’une rencontre, soit chez lui. Pour éviter les soupçons, les plus malins, en effet, allèrent le trouver à la maison et se réconcilièrent du même coup avec Kamouma qui le reçut avec une politesse exagérée, un peu ironique. Slimane non. Il resta chez lui, évita le café et la djema pendant deux jours. On sut qu’il n’oubliait pas et qu’Amer avait d’ores et déjà un ennemi. (Feraoun, 1953 : 81).

Ma dopo una serie di eventi, i due arrivano a una riconciliazione grazie a Ramdane, suocero di Slimane, che si è impegnato per farli riappacificare, e che li porta a rispettarsi reciprocamente :

« Le rôle de Ramdane est net : calmer son gendre et lui prouver qu’il n’a aucune raison d’en vouloir au fils de Kamouma. Son but serait atteint et le dépit de beaucoup de gens serait grand s’il voyait Slimane et Amer renouer les liens du sang, accepter ce qui fut écrit, revenir aux relations normales qu’entretiennent oncle et neveu. » (Feraoun, 1953 : 83)

« Chaque fois, Ramdane présentait ses arguments d’une façon différente [...]. Bien entendu, Slimane comprenait. L’explication était raisonnable [...]. Cela se produisit en dehors du village. Amer s’en allait au nouveau café. Slimane en revenait. Ils se trouvèrent face à face au tournant qui cachait le café [...]. C’était comme si ce qu’il y avait d’immatériel et de noble en lui allait sortir pour envelopper cet homme qu’il voyait devant lui, misérable et faible, et il éprouvait aussi une certaine joie à s’humilier, à rabaisser sa propre personne qu’il jugeait trop avantageuse en face du malheureux. Il s’approcha de Slimane et l’embrassa sur la tête en rougissant un peu. »
« – Bonjour, mon oncle, lui dit-il. »
« – Sois le bienvenu, mon neveu, dit Slimane qui saisit dans ses deux mains osseuses et foncées la main bien pleine et un peu molle d’Amer. Il porta cette main à sa bouche, la baisa goulûment et s’en alla très vite pour disparaître au tournant. [...]. Ce langage du cœur, ils comprirent tous les deux qu’ils auraient été incapables de l’empêcher. » (Feraoun, 1953 : 83, 108–109)

Questa riconciliazione, carica di simbolismo e umanità, rappresenta non solo la pacificazione tra due uomini segnati dalla perdita e dall’esilio, ma anche un ritorno all’unità familiare e comunitaria. Ramdane agisce come figura mediatrice che, attraverso la parola e la ragione, riannoda i legami del sangue e ristabilisce un ordine affettivo spezzato dalla lontananza e dai rancori.

Ma il destino interviene brutalmente, interrompendo questa ritrovata armonia. In un momento apparentemente ordinario della ricostruzione della casa di Amer, si consuma la tragedia finale :

Un giorno, mentre Amer e Slimane estraggono le pietre per ricostruire la casa di Amer, un’esplosione incontrollata nella cava porta la loro morte. Ora, ci sono due corpi giacenti nel villaggio :

« Amer est mort, répondit-il—parlez à votre aise. Son oncle ne tardera à le suivre. Regardez-le. »(Feraoun, 1953 : 235)

Il nostos si conclude dunque con la morte, non con la rinascita. La terra che li ha richiamati a sé, come una madre, se li riprende definitivamente. L’epilogo tragico rafforza il carattere ciclico e ineluttabile del destino, elemento comune anche al ritorno di Anguilla in La luna e i falò.

L’analisi parallela dei romanzi La luna e i falò di Cesare Pavese e La terre et le sang di Mouloud Feraoun evidenzia come il tema del nostos – il ritorno alla terra d’origine – sia un motivo fondante della narrazione e della costruzione identitaria dei protagonisti. Sia Anguilla che Amer compiono un viaggio che non è solo fisico, ma soprattutto esistenziale, segnato da speranze di rinascita, confronti con il passato e una dolorosa presa di coscienza del cambiamento.

Entrambi i personaggi tornano profondamente trasformati, mentre i luoghi della memoria appaiono irriconoscibili, svuotati o stravolti. Il ritorno, anziché colmare il senso di perdita, lo acuisce. I paesaggi familiari, le figure affettive, persino la comunità sembrano non offrire più alcun conforto : la nostalgia si confronta con la disillusione.

In questo scenario, la terra natale assume un duplice significato : matrice di identità e, al tempo stesso, spazio di conflitto e morte. Non è un caso che i ritorni di Anguilla e Amer si concludano tragicamente : l’uno con un nuovo esilio interiore, l’altro con la morte fisica. In entrambi i casi, il nostos fallisce nel suo intento originario di riconciliazione e appartenenza.

Ma proprio in questo fallimento risiede la forza letteraria di questi due “Ulisse moderni” : la loro parabola rende visibile la frattura tra memoria e realtà, individuo e comunità, passato e presente. Le loro storie, pur radicate in contesti culturali differenti, parlano lo stesso linguaggio universale dell’esilio, della perdita e della ricerca di senso.

2.4. Le divergenze

Al pari delle convergenze, si riscontrano anche, e senza dubbio, delle divergenze tra i due ulissidi, Anguilla in La luna e i falò di Cesare Pavese e Amer in La terra e il sangue di Mouloud Feraoun, come ad esempio :

Il motivo del ritorno. Per Anguilla, il suo ritorno avviene per necessità. È vero che è avvolto dalla nostalgia per la terra d’origine, ma torna a Santo Stefano Belbo dopo anni di peregrinazioni e lavoro instabile per condividere il successo e la fama con le persone a lui care, finché non saranno in pochi a ricordarlo :

C’è una ragione perché sono tornato in questo paese, qui e non invece a Canelli, a Barbaresco o in Alba [...] Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti [...] C’è qualcosa che non mi capacita. Qui tutti hanno in mente che sono tornato per comprarmi una casa, e mi chiamano l’Americano, mi fanno vedere le figlie. Per uno che è partito senza nemmeno averci un nome, dovrebbe piacermi, e infatti mi piace.(Pavese, 1995 : 9–12–13)

Per Amer, il ritorno è dettato dal desiderio di fuggire dagli alberghi parigini, dai caporeparti e, soprattutto, dai ricordi dolorosi, come la morte dello zio Rabah in una miniera :

Bon, les voilà, maintenant qui débarquent tous deux à Ighil-Nezman. Cela les changera de Barbès, bien sûr. Ils ont certainement leurs raisons. Il n’y a pas de doute qu’ils arrivent avec tout leur avoir.(Feraoun, 1953 : 19)
Lorsqu’il était à Paris et qu’il lui arrivait parfois de songer à son village, il imaginait ce village comme un petit point insignifiant, loin, au-delà des splendides horizons, un coin sauvage, obscur et malpropre où se terraient des êtres connus, pitoyables, que l’imagination enlaidissait jusqu’à les rendre grotesques. Et le voilà, à présent, parmi eux ! Et chose curieuse, il s’y sent bien. Il n’est pas dans un pays de mauvais rêve. C’est l’autre pays, celui qu’il vient de quitter, qui est, lui, imaginaire et l’écrase de sa magnificence. Il voit bien, maintenant, qu’il était tout petit, là-bas, minuscule ! Ici, tout est à sa mesure, les hommes et les choses. Il se sent important, capable d’agir, de créer, d’occuper une place. [...] Amer admettait que les gens de chez lui fussent hostiles et l’opinion sévère à son égard mais il était sûr de tenir tête et de finir par s’imposer. Il savait que l’essentiel était d’être riche ou de paraître tel. On peut tout passer aux riches jusqu’à leur égoïsme, leur vanité ou leur bêtise. Ce sont des gens qui n’ont besoin de personne. Voilà pourquoi ils ont toujours des pauvres qui les flattent et qui tentent de les apitoyer... ou de les voler... L’assurance d’Amer fut un signe évident de sa richesse.(Feraoun, 1953 : 19–20–44)

La fine. Tra le divergenze si nota anche la diversa sorte dei due ulissidi : Anguilla scopre che nulla è cambiato, la vita è la stessa, simile a quella americana, e decide quindi di andarsene. Abbandona di nuovo la terra d’origine.

Amer, invece, convinto di volersi stabilire nel villaggio dove è nato e cresciuto, viene fermato dalla morte, che interrompe tragicamente il suo sogno di radicamento e la possibilità di accogliere il suo primogenito :

Soudain, Kamouma sentit que Madame lui prenait la main pour la placer sur son ventre. Alors elle tressaillit.
— Il a bougé ? lui murmura-t-elle.
— Oui, quand Chabha est entrée.
— Dieu soit loué, ma fille. Nous aurons un héritier.
Puis elle se baissa pour relever la jeune femme évanouie. Elle oublia un peu son fils, sa douleur et sa colère.
— Demain, songea-t-elle, lorsqu’ils le prendront, Madame jettera sur son mari sa ceinture de flanelle rouge. Et le monde saura que son sein n’est pas vide !

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Dopo lo studio delle convergenze e delle divergenze rintracciate tramite i nostoi dei due ulissidi, Anguilla in La luna e i falò di Cesare Pavese e Amer in La terra e il sangue di Mouloud Feraoun, si approda ad alcuni punti interessanti legati al tema del nostos.

Il tema del nostos in letteratura, dopo l’opera originale Odissea di Omero nel VI secolo a.C. e il ritorno dell’eroe Ulisse a casa dopo la guerra di Troia, e anche l’opera Nostoi (nόστοι), “Ritorni” del poeta greco antico Eumelo di Corinto nel VII secolo a.C., diventa un tema universale e ricorrente in tutte le letterature del mondo. Esso tratta il ritorno di diversi protagonisti dopo un certo periodo di tempo lontani dalla terra d’origine, protagonisti che sperimentano viaggi lunghi e spesso dolorosi.

Il nostos, nelle opere letterarie, si manifesta in molte forme e aspetti. A partire soprattutto dall’età moderna, esso si esprime spesso sotto forma di emigrazione, fenomeno che dal XIX secolo ha conosciuto un incremento costante. Così il ritorno alla terra natale o d’origine diventa, col passare del tempo, nella terra d’esilio, un desiderio profondo e irrevocabile. Anche quando l’emigrato parte deciso a non tornare più, in realtà non può resistere alla nostalgia per la sua terra. Anguilla e Amer, nei rispettivi romanzi La luna e i falò e La terra e il sangue, sono due esempi emblematici.

Dopo il ritorno, il protagonista osserva cambiamenti, sia sul piano naturale (terra, paesaggio, ambiente), sia sul piano umano : nei modi di pensare e vivere, negli aspetti della modernità.

Il nostos, o ritorno, è senza dubbio sia fisico che morale. In quest’ultimo caso, il protagonista deve mantenere o elevare la propria identità e il proprio status all’arrivo, ovvero riuscire a riadattarsi.

Per Anguilla :

C’è qualcosa che non mi capacita. Qui tutti hanno in mente che sono tornato per comprarmi una casa, e mi chiamano l’Americano, mi fanno vedere le figlie. Per uno che è partito senza nemmeno averci un nome, dovrebbe piacermi, e infatti mi piace.
(Pavese, 1995 : 13)

Per Amer :

Dès le lendemain de son arrivée, Amer-ou-Kaci constate ces changements avec un plaisir réel, car enfin c’est là son village natal, toujours prêt à accueillir sans façon un de ses enfants prodigues, comme il se sent accueilli lui-même ; déjà il est repris, rattaché par une foule de liens mystérieux qui l’enveloppent de leur réseau, qui sont faits de souvenirs précis revenant tumultueusement et surtout de sensations vagues recréant une atmosphère connue. Bref, Amer comprend nettement qu’il redevient tout à fait l’enfant du pays, sans transition. Sa longue absence n’a d’ores et déjà plus d’autre signification que celle d’une parenthèse gigantesque, impuissante à changer le sens général d’une phrase. Mais pendant qu’il se retrouve ainsi, d’autres constatations s’imposent à son esprit. Que fera-t-il maintenant ? On le jugera à ses réalisations. Il faudra bientôt se comporter comme les siens.
(Feraoun, 1953 : 17)

Beccaria, G. L. (2005). Introduzione. In C. Pavese, La luna e i falò. Torino : Einaudi.

Boudjedra, R. (1975). Topographie idéale pour une agression caractérisée. Paris : Denoël.

Déjeux, J. (1980). Littérature maghrébine de langue française. Sherbrooke, Québec : Naaman.

Feraoun, M. (1953). La terre et le sang. Paris : Le Seuil.

Pavese, C. (1995). La luna e i falò. Torino : Mondadori.

Tarek Bouaziz

Université Badji Mokhtar, Annaba

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