Introduzione
Questo articolo propone un percorso di lettura sull’immaginazione in Italo Calvino, con particolare attenzione al rapporto tra visibile e invisibile. Il punto di partenza è duplice : da un lato, la centralità del tema nella riflessione teorica calviniana (Lezioni americane) ; dall’altro, la sua concretizzazione narrativa in opere quali Le città invisibili, Il cavaliere inesistente e Le cosmicomiche.
L’ipotesi che guida l’analisi è che l’immaginazione calviniana non equivalga a evasione, ma operi come strumento di conoscenza : la scrittura costruisce oggetti « quasi visibili » che, proprio perché non coincidono con l’esperienza empirica, permettono di interrogare il reale nelle sue forme latenti, nelle sue alternative e nei suoi vuoti.
Si tratterà dunque di precisare che cosa si intenda per immaginazione e in che modo essa si distingua dalla fantasia (termine spesso sovrapposto nella lingua comune). Seguendo Starobinski, si considereranno due correnti principali — riproduttiva e creativa — per poi verificare come Calvino le riarticoli in una poetica della forma.
Sul piano metodologico, il lavoro combina
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un inquadramento concettuale essenziale e
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microletture di testi selezionati.
L’obiettivo non è ricostruire una storia generale dell’immaginazione, bensì mostrare come, in Calvino, l’immagine letteraria funzioni da dispositivo di pensiero.
L’articolo è organizzato in quattro movimenti : una prima sezione definisce l’immaginazione riproduttiva e il principio d’illusione d’immanenza ; una seconda mette a fuoco la fenomenologia dell’immagine (Husserl, Sartre) ; una terza discute l’immaginazione creativa (Corbin) e la rêverie materiale (Bachelard) ; infine, una sezione di microletture esemplifica la dialettica visibile/invisibile nelle opere calviniane.
Come punto di partenza vorrei iniziare con il verso di Dante nel purgatorio (XVII, 25) che dice « poi piovve dentro a l’alta fantasia », quindi la fantasia è un posto dove ci piove dentro, e come se fosse un dono da Dio, infatti secondo Calvino, Dante nel definire la fantasia è stato molto presuntuoso attribuendone l’essenza a Dio, come se fosse un dono divino. Poi lo stesso Dante continua per definire l’immaginazione in due terzine ( XVII, 13-18) « O immaginativa che ne rube talvolta sì di fuor, ch’om non s’accorge perché dintorno suonin mille tube, chi move te, se ‘l senso non ti porge ?
Tradotta da Calvino :
« O immaginazione, che hai il potere d’importi alle nostre facoltà e alla nostra volontà e di rapirci in un mondo interiore strappandoci al mondo esterno tanto che anche se suonassero mille trombe non ce ne accorgeremmo, da dove provengono i messaggi visivi che tu ricevi, quando essi non sono formati da sensazioni depositate nella memoria ? »
Poi nell’intento di capire la natura dell’immaginazione Calvino scrive nella quarta lezione america « Visibility » :
« Quando ho cominciato a scrivere storie fantastiche, non mi ponevo ancora problemi teorici ; l’unica cosa di cui ero sicuro era che all’origine d’ogni mio racconto c’era un’immagine visuale., per esempio, una di queste immagine è stata un uomo tagliato in due metà che continuano a vivere indipendentemente ; un altro esempio poteva essere il ragazzo che s’arrampica su un albero e poi passa da un albero all’altro senza più scendere in terra. Un altro ancora, un’armatura vuota che si muove e parla come ci fosse dentro qualcuno. Dunque nell’ideazione d’un racconto la prima cosa che mi viene alla mente è un’immagine che per qualche ragione ; mi si presenta come carica di significato, anche se non saprei formulare questo significato in termini discorsivi o concettuali ».
Questi brani sono brevi estratti del saggio ‘Visibilità’contenuto nelle’Lezioni americane’, l’ultima opera di Italo Calvino pubblicata postuma.
Poi Italo Calvino continua per spiegare la natura dell’immaginazione, dicendo che :
« è giunto il momento di rispondere alla domanda che m’ero posto alle due correnti secondo Starobinski : l’immaginazione come strumento di conoscenza o come identificazione con l’anima del mondo. A chi va la mia opzione ? Stando a quanto dicevo, dovrei essere un deciso fautore della prima tendenza, perché il racconto è per me unificazione d’una logica spontanea delle immagini e di un disegno condotto secondo un’intenzione razionale. Ma nello stesso tempo ho sempre cercato nella immaginazione un mezzo per raggiungere un conoscenza extraindividuale, extrasoggettiva, dunque sarebbe giusto che mi dichiarassi più vicino alla secondo posizione, quella dell’identificazione dell’anima del mondo. Ma c’è un’altra definizione in cui mi riconosco pienamente ed è l’immaginazione come repertorio del potenziale, dell’ipotetico, di ciò che non è né è stato né forse sarà ma che avrebbe potuto essere. Nella trattazione di Starobinski questo aspetto è presente là dove viene ricordata la concezione di Giordano Bruno « Lo spiritus phantasticus », secondo Giordano Bruno l’immginazione è un mondo o un golfo, mai sturabile di forme d’immagini. Eccon io credo che attingere a questo golfo della molteplicità potenziale sia indispensabile per ogni forma di conoscenza. La mente del poeta e in qualche momento decisivo la mente dello scienziato funzionano secondo un procedimento di associazioni d’immagini che è il sistema più veloce di collegare e scegliere tra le infinite forme del possibile e dell’impossibile. »
1. Quadro teorico : l’immaginazione tra riproduzione e creazione
C’è da dire che la storia della filosofia e nel suo sviluppo ha trattato l’immaginazione con poca attenzione, è un concetto a cui si è cercato più volte di dare un significato che fosse caratterizzato da una visione unitaria. Scarso approfondimento del concetto immaginazione che potrebbe risalire e può essere ricondotto alla sua ambiguità, alla sua natura dal carattere multiforme.
Le teorie filosofiche considerano l’immaginazione come un regno sospeso tra due regni, il regno della percezione, ovvero, quello dei sensi che corrisponde al reale, di cui se ne occupato la scienza, e il regno dell’astrazione quindi il mondo ideativo delle idee quello concettuale che l’ambito di ricerca della filosofia, cosi l’immaginazione resta il mondo di mezzo, una specie di ponte, di connettore tra il mondo reale e quello astratto.
Basti pensare a Kant e alla sua immaginazione trascendentale, vista come ponte tra sensibilità e intelletto oppure ad Alain il quale considera l’immaginazione come una falsa percezione, basando la sua teoria su una negazione radicale dell’immaginazione.
Infatti la filosofia si era interessata al mondo dell’astrazione mentre la scienza si concentra sul mondo del reale, per cui il regno dell’immaginazione si è trovato penalizzato come lo afferma Johann Gottfried Herder « l’immaginazione si era dimostrata la più inindagata e probabilmente la più inindagabile delle energie psichiche umane ». Insomma come si può notare, la natura effimera e innafferabile dell’immaginazione ha fatto sì che fosse stata un’attività mentale messa al secondo piano.
Detto questo cerchiamo adesso di soffermarci su alcune teorie filosofiche che hanno studiato l’immaginazione, iniziando proprio che le teorie du Hume, di Decarth e Leibniz, infatti tre filosofi che partono dalla stessa concezione, decarthe in linea con il suo dualismo, postula una teoria che nasce dalla divisione tra immagine come cosa corporale e immaginazione come conoscenza dell’immagine teorica, condivisa anche da Leibniz e Spinoza, secondo loro senso d’empirismo, l’immagine « è un idea confusa anche se si oppone all’idea chiara, l’immagine ha in comune con questa il fatto di essere anche essa un’idea confusa che si presenta come un aspetto degradato del pensiero ».
Kant dell’Antropologia pragmatica. In quell’opera infatti il filosofo di Königsberg dedica una parte sostanziale del primo libro (nello specifico la sezione dal titolo Della facoltà di conoscere, §§ 28-33) all’immaginazione ; e la sua conclusione è perentoria : L’immaginazione è o inventiva (produttiva) o semplicemente rievocativa (riproduttiva). La produttiva però non è per questo creatrice, cioè non può creare una rappresentazione sensibile, che non sia mai stata data precedentemente alla nostra facoltà di sentire […]. Se dunque l’immaginazione è una così grande artista, anzi incantatrice, essa non è però creatrice, ma deve prendere la materia delle sue immagini dai sensi […]. L’immaginazione non è dunque così creatrice come la si vanta.
Sostanzialmente, l’unica differenza tra immagine e idea che nella prima la rappresentazione dell’oggetto è confusa, mentre nella secondo è chiara. Infatti Andre Laland definisce l’immaginazione come : « una forza di associare, di assemblare e di riprodurre diverse immagini imitando la realtà esistente ».
Per cui Husserl distingue « la coscienza d’immagine » e « la fantasia », diffatti affinché ci sia la prima, ovvero la coscienza d’immagine, c’è bisogno di un supporto percettivo che nella fantasia manca, perché questa offre direttamente qualcosa che non è presente, mentre la coscienza d’immagine non fa altro che riprodurre e ripresentare, per mezzo dell’oggetto, immagine di un contenuto percepito in precedenza.
In sintesi, l’immaginazione è un concetto che è stato preso in considerazione, ma non sempre è stato approfondito in modo corretto. Questo è ciò che Sartre si propone di fare in due dei suoi saggi scritti nel periodo giovanile. Infatti il filosofo francese delinea una storia del concetto di immagine per poi fornire una sua filosofia dell’immagine che ha rinnovato e ha portato una rivoluzione di quello stesso concetto.
1.1. La teoria dell’immagine in Sartre
La teoria di Sartre si muove all’interno di un duplice scarto teorico e intellettuale : da una parte andava superato l’approccio della scuola di Wurzburg che vedeva l’immagine mentale quale puro residuo della percezione, un sotto-prodotto dell’attività logico-razionale. Sulla scorta di Husserl, Sartre afferma, infatti, che l’immagine è un atto di coscienza, un ponte fondamentale tra la dimenzione percettiva e quella concettuale, l’immagine è l’atto che pone in contatto coscienza e oggetto.
Sartre si applica a confutare le principali teorie dell’immagine postulate da Cartesio a Bergson, che tra l’altro sono tutte fondate su un aparticolar errore ‘ l’illusione d’immanenza’, Per metterci un po’di ordine e per chiarire meglio questa situazione un po’ingarbugliata e aggrogliviata. La filosofia dell’immagine proposta e propugnata da Sartre intende scardinare questo pradigma cambiando radicalmente rotta, prendendo spunto dal suo maestro Husserl, dal aspetto fenomenologico dell’immaginazione, in altre parole, la visione di Sartre attribuisce all’immaginazione una valenza fenomenologica, ovvero, l’immagine non è una cosa, bensì un atto di coscienza, Sartre dice che : « L’image est un acte et non une chose, l’image est conscience de quelque chose ».
L’immaginario è descritto dall’autore stesso in questi termini :
« pensare l’immagine significa concepirla non a partire dalla presenza dell’oggetto che viene immaginato, ma a partire dalla sua assenza. Sartre intende così rompere con la tesi metafisica che vede nell’immaginazione un surrogato della percezione, cioè una traccia sensibile, esangue e indebolita, che la memoria ha il compito di riattivare. »
Pertanto, la definizione che viene data dell’immagine è :
« un atto il quale mira nella sua corporeità a un oggetto assente o inesistente attraverso un contenuto fisico o psichico che non si dà propriamente, ma come un rappresentante analogico dell’oggetto preso di mira. »
Infatti, il filosofo francese attraverso i suoi scritti ha condotto uno studio approfondito riguardo l’essenza dell’immagine, attraverso un approccio fenomenologico, nobilitando così la grande influenza che la fenomenologia di Husserl ha avuto su di lui.
In particolar modo, Sartre si era interessato al rapporto tra coscienza e immagine per non cadere nell’illusione dell’immanenza (atteggiamento teorico che pone l’immagine come oggetto), per cui l’immagine per Sartre è un atto di coscienza, più precisamente un rapporto tra la coscienza e l’oggetto. La differenza che intercorre nella coscienza intenzionale di Husserl è che l’oggetto dell’immagine è posto come assente ; di conseguenza, pensare l’immagine significa concepirla non a partire dalla presenza dell’oggetto, ma a partire dalla sua assenza. Così, Sartre rifiuta la tesi che l’immaginazione sia surrogato della percezione.
Per Sartre immaginazione e percezione differiscono sia dal lato noetico - aspetto soggettivo del processo conoscitivo, cioè la pluralità delle operazioni con cui si giunge a prendere coscienza dell’oggetto, sia dal punto di vista lettico (l’immaginazione è il frutto di un’attività della coscienza, mentre il percetto è il risultato della passività della coscienza rispetto alla realtà sensibile).
Queste immagini si rendono presenti attraverso un rappresentante che Sartre chiama ‘Analogan’, che non coincide con la realtà. Sartre cerca di allontanarsi dall’illusione di immanenza che tende a reificare le immagini ; e così l’analogan’mentale non possiede le caratteristiche sensibili della cosa percepita.
In sintesi, le munuziose argomentazioni dimostrative sartriane mostrano come percezione e immaginazione siano effettivamente due funzioni proprie della coscienza, le quali, però non possono essere poste in atto contemporeanamente, infatti se l’attività percettiva intenziona oggetti reali e presenti, quella immaginativa, per contro, dà luogo a oggetti irreali o comunque assenti.
Ecco quindi la specificità dell’immaginazione : essa non produce dei dati reali ma pone oggetti irreali. L’immaginazione- asserisce Sartre- si distacca dalla realtà, la nega e costituisce un oggetto irreale, dicendo che : « Ainsi l’acte immaginatif, est à la fois constituant, isolant et anéantissant »
Quindi, inizialmente si pensava che l’immaginazione fosse delle repliche di immagini e di realtà esistenti, già percepite, già viste, è questo è il primo livello dell’immaginazione che consiste nel riprodurre immagini, e quella chiamata appunto ‘immaginazione riprodutice’, poi in secondo luogo ; si inizia a mescolare un elemento della fantasia con un elemento della realtà esistente, si mischiano insieme per dar luogo a realtà inesistente, che nella realtà non hanno corrispondenza. Poi un ulteriore livello che denuncia già il livello di astrazione con cui l’immagine viene pensata quasi razionalmente, che nasconde al suo interno dei significati, quindi c’è un’intelletualizzazione dell’immagine, nel tentativo di trasformarla in un repertorio di significati segreti nascosti che uno deve andare a scovare, come si trattasse di un enigma che ha una risposta da trovare. Poi c’è un ultimo livello : l’immagine astratta, quella appunto che non ha una corrispondenza nella realtà, senza nessun tipo di richiamo al mondo sensibile ; quindi il nostro sguardo è spostato in un altro regno : è uno sguardo di chi guarda o immagina con una funzione ermeneutica, detta grezzamente una funzione interpretativa.
L’immaginazione denota una caratteristiche della produttività non è semplicemente un insieme di fantasticherie fine a se stessa, ma genera dei significati che veicolano interpretazioni diverse, mentre i nessi del pensiero razionale quello matematico, quello discorsivo sono rigidi e logici, le relazioni sono forti e stabili difficili da smuovere, nel regno dell’immaginazione le associazioni e le relazioni sono più fluide e hanno base fluide, fragili e precarie. Questa fluidità è un tratto caratteristico del regno dell’immaginazione. Nel regno dell’immaginazione i confini non sono netti e ogni immagine può richiamare qualcos’altro. Ci sono delle catene associative che non sono logiche ma analitiche ; non sono causali, ma fatte di accostamenti.
Chiarita la funzione fenomenologica ed ermeneutica dell’immaginazione, però rimane un po’sospesa quell’immaginazione artistica e creativa, da dove provengono quelle immagini, quei sguardi diversi ?
Per rispondere a questo interrogativo, bisogna fare tappa in questo nostro viaggio, in una teoria molto suggestiva che prende avvio dalla cultura orientale, proposta da Henry Corbin con il suo mondo immaginale.
Chiarita la struttura fenomenologica dell’immagine in Sartre, resta tuttavia aperta la questione della genesi e dello statuto delle immagini “creative” : da dove proviene la loro forza di rivelazione e in che senso possono costituire un accesso al reale ? È a questo snodo che conduce la nozione corbiniana di « mundus imaginalis ».
1.2. L’immaginazione creativa di Henry Corbin e la teoria del « mundus imaginalis »
Giunti a questa tappa del nostro viaggio verso l’immaginazione, entrando nel mondo del sufismo iraniano proposto da Henry Corbin, un filosofo francese esperto nella cultura iraniana, in particolar modo quella sciita, da cui ha preso tante tematiche in particolar mondo dal filososo Abu’Arabi. Infatti Corbin ricorre a un tema molto interessante, il mundus immaginalis o ‘mondo immaginale’che non coincide con il termine comune immaginario, che implica invece uno stato di non realtà dal carattere utopico, è tutto interno al soggetto e alla sua fantasia.
Il mondo immaginale è innanzitutto un mondo, ovvero una realtà inesistente, parzialmente indipendente dal soggetto, che è connessa all’interiorità della psiche ; è un attingere agli archetipi come la definisce Gustav Jung. Questo mondo è chiamato nella mistica e visionaria dei sufi « Terra di Nessun-dove ».
È bene chiarire che questo mundus immaginalis si trova in una certa misura al di fuori della nostra psiche e del nostro mondo. Corbin afferma che tutti i filosofi e teosofi dell’Islam sono unamini sul presentarci uno schema che è composto di tre universi, ovvero, di tre categorie di universi.
Vi è il nostro mondo fisico, reale e sensoriale, che include sia il mondo terreno governato dalle anime umane, e il mondo siderale governato dalle anime delle sfere, questo è il mondo sensoriale o il mondo dei fenomeni chiamato « Alam el Molk », poi vi è il mondo soprassensibile governato dalle anime angeliche ‘ Alam el Malakut’, vi è l’universo della pura intelligenze arcangeliche « Alam el Giabarut ». A questi tre universi corrispondono i nostri tre organi di conoscenza : i sensi, l’immaginazione e l’inteletto. Triade a cui corrisponde la triade antropologica corpo-anima-spirito.
Corbin asserisce che la realtà ontologica del mondo dell’immagine è il trait d’union tra il mondo fenomenologico dei fatti percepibili con i sensi, e il mondo astratto delle idee, del pensiero e delle formulazioni filosofiche, accessibilI mediante l’intelletto. In mezzo a questi due mondi ( reale percepibile e l’ideativo astratto) si trova il vasto regno delle immagini, tecnicamente, noto in arabo, come « Alam a mithal », e in latino « mundus immaginalis », che Jung ha denominato il mondo degli archetipi, o in arabo « Mothol mo’allaqua’« immagini sospese », che sono state descritte pure da Platone come sede dei modelli ideali di ciò che siste sul piano fisico.
Il mondo delle immagini è come un mondo sottile sospeso tra l’esistenza empirica delle cose e dei fatti e della percezione sensoriale e quello astratto delle idee e della ragione e dell’intelletto.
Quindi, l’immaginazione secondo Corbin è una facoltà attiva, mediatrice, con funzione simbolizzante, capace di liberarci dell’empasse generata dal processo razionale, è una sorta di un mondo sospeso, quindi non è la fantasia o la fantasticheria personale, ma è qualcosa di esterno al soggetto, in un certo senso esiste un mondo come quello percepibile e parrallelo, è un mondo che si può percepire non con i nostri organi di senso con cui percepiamo la cosidetta realtà sensibile, ma di un altro mondo che si percepisce con l’immaginazione.
Corbin dice che : « tra l’universo che può essere colto dalla pura percezione intelettuale, e l’universo percepibile mediante i sensi esiste un mondo intermedio, quello delle idee-immagini, delle figure-archetipi, dei corpi sottili, della materiale- immateriale, consistente e sussistente. Questo mondo è reale e oggettivo quanto l’universo intelligibile e l’universo sensibile ». Un mondo che richiede una specifica facoltà percettiva, facoltà che è una funzione cognitiva, un valore noetico, pienamente reale come le facoltà della percezione sensoriale o dell’intuizione intellettiva.
Tale facoltà è il potere immaginativo, quello che dobbiamo evitare di confondere con l’immaginazione che i moderni identificano con la « fantasia » e che, secondo questo parere, produce semplice « immaginario ». Invece questo mondo intermedio possedendo estensione e dimensioni, forme e colori, essi non sono percepibili ai sensi, a differenza di quanto accade nei corpi fisici tra materialità -immateriale,
Pertanto serviva sviluppare un organo piu sottile che è l’immaginazione, che per Corbin non è la visione di qualcosa che esiste, ma è considerato come il canale di cogliere l’invisibile, quindi la nozione dell’invisibile che è tanto cara a Calvino è proprio quel lato che si coglie e si capta dal visibile, ovvero, dal nostro mondo reale percepibile con la facoltà dell’immaginazione, che ovviamente non coincide con la fantasia. Infatti anche lo stesso Calvino durante un’intervista, ha affermato che quando era piccolo, era appassionato di fumetti, e diceva che se fossero senza didascalie e senza scrittura, sarebbero più interessanti, in quanto quella scrittura frena e metteva a freno l’immaginazione. Quindi secondo Calvino un fumetto senza segni grafici è piu interessante, perché stimola l’immaginazione e si può andare oltre i limiti e appunto come dice Corbin di sfruttare la facoltà di immaginazione per cogliere il lato invisibile delle cose ‘visibili’, rifacendoci a una citazione di Calvino, l’immaginazione è come un repertorio del potenziale dell’ipotetico, di ciò che non è, ne è stato, né forse sarà, ma che avrebbe potuto essere. È una citazione focale per dire che l’immaginazione non è percezione, né tanto meno una memoria, di cose già viste ; delle repliche, e potrebbe non essere fattibile e realizzabile nel futuro, ma è qualcosa di ipotetico ‘ che avrebbe potuto essere’, quindi alla luce della teoria di Corbin e quello che è stato dedotto da Calvino, si può affermare che l’immaginazione è una facoltà tra il mondo reale e quello astratto, nello specifico, consiste nel cogliere il lato invisibile, recondito, nascosto, quello lattente e implicito della realtà e del mondo percepibile.
In sintesi, l’immaginazione è una facoltà noetica e conoscitiva, quindi non è piu quella « folle du logis », questo invisibile e tutt’uno con il reale. Infatti nel regno dell’immaginazione non si esige una meta, quindi è un vagare e un’oscillazione che potrebbe non portare da nessuna parte, e quasi un poter dell’immaginazione di andare dal visibile all’invisibile. Quindi tutto quello che visibile può condurre con la coscienza con lo sguardo all’invisibile, uno sguardo che sosta presso il visibile per condurci oltre il visibile, Corbin insiste sul ruolo dell’immagine del cuore, cuore che in persiano è ‘himma’, che probabilmente l’immaginazione deriva prorpio da himma che potrebbe essere la sua etimologia, è molto suggestivo il cuore che crea immagini, emozioni, passionie stati d’animo che sono in grado di saldarsi alle immagini vivificandole.
Oltre alla conoscenza mediante i sensi e all’astrazione mediante il pensiero razionale, abbiamo un altro tipo di conoscenza indiretta che porta al linguaggio simbolico, dove il pensiero analogico si compone di allegorie e entra in un regno di ambiguità. Gilbert Durand ci dice che il significante è inadeguato per esprimere la pienezza del significato.
In soldoni, l’immaginazione è una percezione sensibile del soprasensibile ; il senso immaginativo è una facoltà sensibile ma regolata dal soprasensibile.
Se Corbin fonda l’immaginazione come facoltà mediatrice capace di percepire l’invisibile, Bachelard ne sposta l’asse sulla materia e sulla rêverie, mostrando come il reale stesso “secreti” immagini. Questo secondo vettore permette di avvicinare in modo più diretto l’etica della forma e della visibilità in Calvino.
1.3. L’immaginazione oltre la materia : la visione di Bachelard
Un altro autore e filosofo che merita di essere menzionato è Gaston Bachelard che non discosta tanto dalla filosofia di Corbin, ma in una direzione opposta a quella di Sartre, Bachlard si focalizza sulla materia, ovvero sul mondo reale, un mondo colmo di significati, restituendo la natura animica e quella simbolica dello sguardo poetico. Uno sguardo che può offerirci il volto della materia.
Questo è il mondo che può venirci incontro non solo per comprendere la natura, ma ricerverla nella sua veste animata, emozionante e partecipativa, e solo cosi che la possiamo amare. Infatti Bachelard dice che la materia che secerne l’immagine.
Quindi il filosofo francese insiste sulla materia che canta se stessa, secondo cui l’immaginazione - la facoltà di formare immagini che superano la realtà e che cantano la realtà, è la testimonianza del processo di scoperta da parte dell’animo del proprio mondo, il mondo in cui vorrebbe vivere ; il mondo in cui è degno di vivere. Quindi la materia a cantare, e sta all’uomo ascoltare il suo canto e lì nasce l’immaginazione. Secondo Bachelard produciamo immaginazione perché la natura ci parla e ci canta se stessa, il potere immaginativo sta nel costruire immagini sulla materia.
L’idea di Bachelard è poetica, secondo cui l’immaginazione è ‘una secrezione delle cose’, la materia secerne l’immagine, per poi le immagini entrano in rissonanza con l’anima dell’essere umano, immaginazione materiale è quella che concerne l’arte e riguarda un’attività di scavo, il cui organo conoscitivo è il cuore, l’arte è un innesto nella natura, la materia fornisce dell’immagini, e noi dobbiamo abbracciare e incontrare queste immagini. Non è un attegiamento di chi usa e manipola, ma di chi accogli e abbracia, si fonde e incontra le cose circonstanti.
L’immaginazione è ricevere la materia nella sua veste animata, e cosi si istituisce un patto di alleanza con essa. Eraclito dice che « la natura ama nascodersi », quindi ha bisogno di uno sguardo che può offrirci il volto della materia, pertanto Bachelard suggerisce uno stato particolare per essere in grado in ascoltare e cogliere la materia chiamato lo stato della « rêverie » o la « sognanza », uno stato non onirico ma sopeso in cui si è svegli ma non in uno stato di veglia, la coscienza deve evadere, è un dislocarsi dell’attenzione in altre aree sfumate che consistono in un’immersione di immagini che la coscienza cogli e capta.
In sintesi, l’immaginazione non è una facoltà contemplativa e passiva, ma è un incontro partecipativo, creatore e trasformativo, in cui le forme concettuali si dissolvono a favore di nuove figure fluide ed erranti, più oniriche, più immaginali e più sensibili alla tessitura simbolica del reale. eAppunto, che colgono il lato invisibile della materia, insomma, l’immaginazione secondo la visione di Gaston Bachelard è uno straordinario talento e potere di penetrare le cose par accedere ai loro tratti essenziali, alla struttura che sorge nell’involucro esterno delle rappresentazioni.
A mio avviso, questa visione coincide pienamente con l’immaginazione calviniana, infatti, nelle città invisibili, Calvino scrive :
« nessuno sa meglio di te, saggio Kublai, che non si deve mai confondere le città col discorso che la descrive. Eppure tra l’una e l’altra c’è un rapporto...
Nonostante che Kublai sa che Marco Polo sta descrivendo città immaginarie, ma continua ad ascoltarlo con un gran interesse, e come se Marco Polo stesse svelando il lato invisibile delle città visitate e che stesse mettendo a nudo la loro realtà latente e implicita.
« la verità è spesso detta da quando sono entrato in questa città, la città è entrata in me, dentro di me non c’è posto per niente altro ». da questo brano tratto sdempre dalle città invisdibili, si può facimente riconoscere la visione Bachelardiana, che si può cogliere il lato veritiero della materia, quando si entra in contatto stretto con essa quando la si fa propria, per poter ascoltare il suo canto, le sue lamentele e i suoi bisogni.
In questa prospettiva, la visione e la filosofia dell’immaginazione come pure dell’immagine si muovono fra due poli : da un lato, la funzione conoscitiva (che organizza e rende leggibile l’esperienza) ; dall’altro, la funzione creativa (che apre possibilità e mondi). È precisamente questa tensione — tra ciò che si dà a vedere e ciò che resta in ombra — che permette di comprendere la pertinenza del nodo visibile/invisibile in Calvino.
2. Visibile e invisibile in Calvino : tre microletture
2.1. La Visibilità delle Lezioni americane
Nelle Lezioni americane, Calvino definisce la Visibilità come un’energia mentale che precede e accompagna la scrittura : la letteratura, per lui, non nasce dall’accumulo di impressioni, ma dalla capacità di comporre, selezionare e mettere in relazione immagini. Il « visibile » non coincide dunque con il dato sensibile immediato ; è, piuttosto, il risultato di un lavoro formale che rende percepibile ciò che, nella vita ordinaria, resta disperso o invisibile (Calvino, 1988).
Questa impostazione permette di comprendere perché la dimensione dell’invisibile non sia l’opposto del visibile : essa è il suo presupposto e il suo limite. L’immaginazione, in Calvino, prende forma come una economia dell’immagine : non accumula figure, ma le sottopone a un principio di necessità, cercando l’immagine « giusta », capace di sostenere un’idea senza trasformarsi in decorazione.
2.2. Le città invisibili : l’invisibile come struttura
In Le città invisibili l’invisibile non designa un altrove puramente fantastico, ma una forma di conoscenza indiretta : le città narrate da Marco Polo non sono mai semplici « luoghi », bensì dispositivi che fanno emergere categorie dell’esperienza (memoria, desiderio, segni, scambio, morte). L’immaginazione riproduttiva (che riconosce) e quella creativa (che inventa) si intrecciano : la descrizione produce un oggetto mentale che si offre come visibile, ma che rimanda costantemente a un resto non tematizzabile, a una dimensione eccedente.
Il dialogo tra Marco Polo e Kublai Khan mette in scena proprio questa tensione : la parola tenta di « mostrare » ciò che non può essere posseduto, e la città diventa figura dell’interpretazione. Il visibile è allora una superficie d’iscrizione ; l’invisibile, un sistema di relazioni che la superficie rende intuibile senza esaurirlo.
2.3. Le cosmicomiche e Il cavaliere inesistente : forme dell’assenza
Nelle Le cosmicomiche, la prospettiva cosmica e paradossale consente a Calvino di trasformare concetti astratti (tempo, spazio, mutazione) in immagini narrative. Il visibile è costruito attraverso un’operazione di traduzione : l’invisibile scientifico — ciò che non si vede ma si deduce — viene reso esperibile mediante figure, personaggi e scene. L’immaginazione agisce così come ponte tra modelli e percezione.
In Il cavaliere inesistente, infine, l’assenza assume una forma etica e politica : l’armatura « vuota » obbliga a pensare che cosa costituisca l’identità (corpo, nome, volontà, riconoscimento). Qui l’invisibile non è soltanto ciò che manca, ma ciò che sostiene la forma dall’interno : un principio d’ordine che può diventare, al tempo stesso, disciplina e alienazione. La dialettica visibile/invisibile si traduce in una riflessione sull’agire e sulla responsabilità.
Conclusione
Il percorso proposto mostra che, in Calvino, l’immaginazione opera come dispositivo di mediazione : essa rende visibile l’invisibile senza abolirne la distanza, e consente al testo di trasformare l’assenza in forma.
L’inquadramento fenomenologico (Husserl, Sartre) e le prospettive simboliche (Corbin, Bachelard) aiutano a chiarire che l’immagine letteraria non è un semplice « doppio » del reale, ma una modalità di presenza specifica, capace di produrre conoscenza e di orientare un’etica della scrittura.
In prospettiva, una prosecuzione del lavoro potrebbe integrare in modo più sistematico la critica calviniana (studi sulla poetica della leggerezza e sulla visualità) e ampliare il corpus verso le riscritture e le opere tardive, al fine di verificare la stabilità — o la trasformazione — di questa dialettica nel tempo.
