Introduzione
« Noi siamo quelle che non esistono, la storia è scordata di noi, pochi sanno che siamo, perché noi siamo un segreto vivente, siamo un cassetto chiuso a chiave ,siamo la memoria scomoda della guerra ,ma siamo ancora vive Noi siamo le marocchinate. » (Catallo 2017 :1)
Con queste parole inizia il libro di Stefania Catallo, La memoria scomoda della guerra: Le marocchinate. Si sostiene che, per comprendere il futuro, sia necessario conoscere il passato, un passato che può fornire le chiavi per interpretare il presente. Per essere informati su quest'ultimo, è indispensabile consultare gli archivi storici, ma durante questa ricerca ci si accorge che molte pagine sono state strappate, cancellate o persino eliminate, fatta eccezione per una tragedia poco conosciuta: quella delle marocchinate. Il termine "marocchinate" non appare nei dizionari, ma porta con sé significati complessi. È una parola che evoca le esperienze dolorose vissute dalle donne del Basso Lazio, vittime di stupri da parte delle truppe marocchine durante la Seconda Guerra Mondiale.
Lo stupro come arma di guerra è stato un crimine ricorrente nella storia dell'umanità, presente in molti conflitti fino ai giorni nostri, come nel caso delle donne ucraine durante l'invasione russa.
Perché le donne? Nei conflitti armati, quando l'obiettivo è la distruzione di una comunità, di un'identità o di una cultura, le donne sono spesso più vulnerabili alla violenza fisica, in quanto rivestono un ruolo fondamentale nello sviluppo e nella conservazione della società. Il corpo della donna è considerato un campo di battaglia simbolico perché rappresenta la continuazione del gruppo nemico. Nel caso delle marocchinate, la violenza subita dalle donne del Lazio è stata inflitta non dall'invasore, ma da coloro che erano considerati liberatori.
In questo articolo, si intende esaminare la tragedia delle marocchinate e fornire un'analisi di alcuni episodi rilevanti di quel periodo storico. Le domande centrali della nostra indagine sono: chi erano i Goumiers? Quali furono le cause e le conseguenze di questi stupri sulle donne italiane? E come reagirono la società e la politica italiana a questi eventi?
1. Lo stupro come strategia di guerra
Lo stupro, nella sua definizione più ampia, è l'atto di costringere un individuo a subire atti sessuali senza il suo consenso, attraverso la coercizione o la violenza (fonte: Treccani).
Nel contesto sociale, il concetto di stupro può variare a seconda del paese, della cultura, della religione e persino della mentalità delle persone. Ogni società può giudicarlo in modi diversi. Spesso, la reazione della comunità nei confronti dell'abuso sessuale include giudizi negativi, dove la vittima può essere considerata colpevole, stigmatizzata e isolata. Questa ignoranza persiste anche nei paesi più sviluppati, e per questo motivo le vittime di stupro spesso non denunciano gli abusi per paura dei pregiudizi sociali. Tali reazioni possono essere più dolorose dello stesso stupro.
Durante le operazioni belliche, il fenomeno dello stupro raggiunge un punto critico. È una triste realtà che ha accompagnato l'umanità in molti conflitti armati, dai tempi antichi, come il Ratto delle Sabine, passando per il Medioevo e fino ai casi contemporanei, come gli stupri in Sudan, in Bosnia, in Sierra Leone, le violenze perpetrate dall'ISIS in Iraq e Siria, le studentesse nigeriane sequestrate da Boko Haram e, più recentemente, le donne ucraine stuprate dai soldati russi, solo per fare alcuni esempi.
Lo stupro etnico è spesso utilizzato come arma di guerra con scopi strategici e politici, per terrorizzare, sottomettere e opprimere i membri di una comunità o di un gruppo etnico durante un conflitto. Questo tipo di violenza mira a distruggere l'unità sociale e a creare divisioni all'interno della comunità, instillando paura nella popolazione. È una strategia militare che può essere utilizzata per esercitare il controllo e la dominazione sulle donne, imponendo un potere maschile su di loro. Nella guerra, le donne sono spesso viste come proprietà dell'uomo e, in questo contesto, come oggetti su cui infliggere punizioni agli uomini nemici.
Questi atti possono essere commessi sia da soldati che da membri di gruppi armati contro donne, uomini, bambini e anziani. Tuttavia, lo stupro di guerra colpisce in particolare le donne, le quali subiscono la guerra in un modo specifico. Il corpo della donna diventa un campo di battaglia simbolico per la comunità nemica, poiché rappresenta la vittima principale in termini di numero e violenza subita, a causa del suo ruolo fondamentale nella società: una donna forte e capace di perpetuare la discendenza. Come afferma la storica Laura Stabile:
« Le donne violentate diventano espressione dello stupro dell’intera nazione e la violenza viene vista non tanto come una calamità bellica inevitabile, ma come una sventura che colpisce il prezioso tesoro simbolico dell’onore della nazione. » (Stabile 2009: 66)
Le vittime di stupro in situazioni di guerra sono spesso private dei loro diritti e del loro benessere. Possono subire conseguenze psicologiche a lungo termine, come depressione, ansia e disturbo post-traumatico da stress, oltre a problemi di salute mentale, gravidanze indesiderate e malattie sessualmente trasmissibili. Inoltre, spesso affrontano uno stigma sociale e una vergogna persistente che può ostacolare il loro recupero e l'integrazione nella società. Secondo Omar Guerrero, psicologo e psicanalista presso il Centro Primo Levi, lo stupro di guerra è descritto come 'un'arma devastante', che provoca un impatto duraturo e 'irradiante'. Le donne stuprate spesso vengono respinte dalla famiglia e dalla comunità, e i figli che potrebbero avere sono considerati 'bastardi'. Guerrero sottolinea che l'atto dello stupro colpisce anche i legami di parentela e l'essenza stessa dell'umanità (Brabant, Minano, Pineau 2017: 49-53).
In molte culture, anche quelle moderne, le donne stuprate vengono condannate e stigmatizzate dalla loro comunità, perpetuando una visione negativa e giudicante. Invece di focalizzarsi sugli autori di questi atti, la società dovrebbe impegnarsi a garantire giustizia e sostegno alle vittime. Maria Maddalena Rossi, citata nel libro di Stefania Catallo, osserva:
« L'ignoranza e la vergogna hanno portato molte donne a non denunciare gli abusi subiti per timore di essere stigmatizzate e isolate dalla società, e per questo non hanno richiesto le cure necessarie per contrastare le malattie contratte. Si lasciavano morire di sifilide o per le infezioni riportate, pur di mantenere un'immagine accettabile agli occhi degli altri. » (Catallo 2018a: 63)
Oggi, lo stupro è riconosciuto come una forma di violenza grave, ma storicamente è stato spesso considerato una pratica inevitabile durante i periodi di guerra. Come afferma Guenivet: « Il diritto di uccidere è visto come un incentivo per i soldati assedianti. » (Guenivet 2002: 29)
L'associazione tra guerra e stupro contribuisce all'insensibilità verso la gravità di questi crimini. Gli abusi sono spesso minimizzati o negati dalle autorità, dai media e dalla società. Maria Maddalena Rossi riflette sul trattamento delle Marocchinate:
« Negli anni successivi alla fine del conflitto, nessuno si era interessato di questa vicenda, considerata di importanza secondaria rispetto ai problemi della ricostruzione. Se l'Italia per cui mi ero battuta era questa, indifferente e sorda alla voce delle sue figlie, allora la mia lotta non aveva avuto senso. Queste donne erano state abbandonate, costrette a trovare da sole la forza per ricominciare a vivere. » (Catallo 2018b: 64)
Le vittime possono essere riluttanti a denunciare gli abusi per paura del rifiuto e dell'abbandono da parte della famiglia e della società. Spesso sono considerate colpevoli di quanto accaduto e affrontano sentimenti di vergogna, poiché la violenza sessuale è ancora un tabù in molte culture. Questo porta al silenzio e all'isolamento sociale. Nel caso delle Marocchinate, molte vittime hanno scelto l'esilio per sfuggire ai pregiudizi. La testimonianza di Rita, espressa nelle sue lettere alla madre, evidenzia questo:
« Mia cara mamma, [...] non mi avrebbero giudicata male come hanno fatto nel nostro paese. Sanno bene che non è stata colpa mia se quel giorno i marocchini sono venuti e mi hanno presa. A Brooklyn ero Rita e basta, non Rita la marocchinata. » (Catallo 2018c: 56-58)
In aggiunta, la mancanza di sostegno e di servizi di assistenza, inclusi quelli medici e psicologici, può complicare il recupero delle vittime. Catallo riporta: «Tutte mi avevano raccontato che non avevano ricevuto cure, se non una visita medica al mese. » (Catallo 2018d: 63)
La sfiducia nelle istituzioni governative e nel sistema di giustizia può impedire alle vittime di denunciare gli abusi. Durante i conflitti, i colpevoli spesso appartengono alle forze militari, che hanno il controllo del territorio e potrebbero proteggere la reputazione della loro nazione o gruppo armato. Questo silenzio ostacola la giustizia e perpetua l'impunità.
I tribunali militari internazionali, come il processo di Tokyo e quello di Norimberga, non hanno riconosciuto adeguatamente i crimini di violenza sessuale durante la Seconda Guerra Mondiale. La Convenzione dell'Aia del 1907, nota come la Convenzione (IV) sui diritti e gli usi della guerra terrestre, non menziona gli stupri. Solo la Convenzione di Ginevra del 12 agosto 1949, per la protezione dei civili in tempo di guerra, stabilisce che lo stupro e altre forme di violenza sessuale sono considerati crimini di guerra, e i responsabili devono essere perseguiti:
« Le persone protette hanno diritto, in ogni circostanza, al rispetto della loro persona, del loro onore, dei loro diritti familiari, delle loro convinzioni e pratiche religiose, delle loro consuetudini e dei loro costumi. Saranno trattate sempre con umanità e protette, in particolare, contro qualsiasi atto di violenza o intimidazione, contro gli insulti e la pubblica curiosità. Le donne saranno specialmente protette contro gli atti di violenza, tra cui lo stupro, le costrizioni e gli atti di violenza sessuale di qualsiasi tipo. » (Convenzione di Ginevra 1949: Articolo 27)
Nonostante queste normative, la protezione effettiva delle vittime e la punizione dei colpevoli sono state insufficienti. La comunità internazionale deve lavorare per migliorare la giustizia e il supporto alle vittime di stupro di guerra, assicurando che tali crimini non rimangano impuniti e che le vittime ricevano la giustizia e il sostegno che meritano.
2. Gli stupri dei Goumiers in Ciociaria
2.1 Chi erano i Goumiers?
La parola "goumier" deriva dalla lingua araba "qawmiyya", che significa "appartenente a un gruppo tribale". I Goumiers erano conosciuti per le loro abilità di guerriglia e per la loro capacità di operare in ambienti difficili, come le montagne. Essendo originari delle tribù berbere, i Goumiers avevano una profonda conoscenza della cultura e delle tradizioni delle tribù locali, il che li rendeva efficaci nelle aree rurali del Marocco. Indossavano abiti tradizionali maghrebini per gli uomini, come una djellaba di lana a strisce con un burnus sopra, pantaloni chiamati serual e calze chiamate nail. Per coprire la testa, indossavano un turbante, che rappresentava un segno distintivo della loro identità tribale. Le loro armi tradizionali preferite erano lunghe sciabole o pugnali che portavano alla cintura. Questa uniforme li rendeva facilmente riconoscibili durante le loro missioni, a differenza dell'uniforme standard indossata dalle unità regolari del Corpo di Spedizione Francese (CEF).
Tuttavia, l'abbigliamento dei Goumiers era molto più di un semplice abbigliamento militare: rappresentava un simbolo della loro identità culturale e segnalava la loro appartenenza a un gruppo distinto.
La parola "goum" apparve per la prima volta nei primi anni del 1900 in Algeria, dove i Goumiers erano soldati tribali irregolari algerini che servivano come alleati dell'esercito francese. Questi soldati furono impiegati durante le prime fasi dell'intervento francese in Marocco, quando la Francia cercava di consolidare la propria influenza nella regione. Nel 1907, cinque anni prima della firma del trattato di Fez da parte del Sultano Moulay Abdelaziz, la Francia si impegnò a utilizzare tutti i mezzi possibili per rafforzare la propria posizione in Marocco e garantire la sicurezza della frontiera algero-marocchina. A tal fine, impiegò i Goumiers in missioni di ricognizione nelle tribù dell'Alto Atlante (Di Colloredo 2018a: 39-40).
Il 3 ottobre 1908 segnò la creazione del primo gruppo di cavalieri Goum Marocchini, istituiti come Forza di Polizia Sceriffiana dipendente dall'amministrazione del protettorato (ufficio degli affari indigeni) in Marocco. Erano incaricati di condurre operazioni militari nella regione di Chaouia (sud di Casablanca) e furono reclutati tra le tribù dell'Atlante dal generale Albert d'Amade, il cui obiettivo era reclutare personale adatto al carattere particolare dei Tabor:
«Il reclutamento dei goums si effettuerà in ciascuna regione [...] I goumiers che vivranno con le proprie famiglie saranno raggruppati per douar in prossimità dei fortini [...] si terrà conto della personalità di ciascun goumier giacché il sentimento individualista e il proprio carattere sono particolarmente sviluppati nel marocchino.» (Di Colloredo 2018b: 40).
Negli anni '20, durante la guerra del Rif, i Goumiers marocchini svolsero il ruolo di gendarmeria per mantenere l'ordine nelle zone rurali del Marocco.
I Goumiers formarono una nuova struttura militare nel 1942 grazie al colonnello Augustin Guillaume, che ne aumentò il numero. Dopo l'arrivo degli Alleati, furono organizzati in tabor. Cinque goums formavano un tabor e tre tabors costituivano un « Groupe de Tabor Marocains » (GMT). Grazie a questa nuova struttura, i Goumiers divennero molto utili in missioni pericolose (Di Colloredo, 2018c: 43).
2.2 La campagna d'Italia e la liberazione di Montecassino:
La campagna italiana durante la Seconda guerra mondiale è stata la fase più famosa nella storia dei Goumiers, che furono raggruppati sotto il nome del Corpo di Spedizione Francese (CEF). Quest'ultimo fu creato nell'estate del 1943 dallo stesso Augustin Guillaume per partecipare alla lotta contro le forze naziste e contribuire alla liberazione dell'Italia dal regime fascista sotto il comando degli Alleati. Il CEF era composto da diverse divisioni e gruppi di fanteria provenienti dal Marocco, dall'Algeria, dalla Tunisia e dal Senegal. Si distinsero nella campagna italiana dal 1943 al 1944, e i Goumiers, sotto la bandiera francese, entrarono in azione come parte della V Armata Americana di Clark.
Inizialmente, la 2ª Divisione di Fanteria Marocchina (DIM) del generale Dody e il 4° Gruppo di Tabor Marocchino (GTM) sbarcarono a novembre del 1943, seguiti a dicembre dalla 3ª Divisione di Fanteria Algerina (DIA) del generale Monsabert e dal 3° Gruppo di Tabor Marocchino. Nel gennaio del 1944, queste unità furono ufficialmente unite sotto il nome di Corpo di Spedizione Francese (CEF), guidato dal generale Alphonse Juin. In febbraio, il CEF fu rinforzato dalla 4ª Divisione Marocchina di Montagna (DMM) del generale Sevez e successivamente, in aprile, dalla Divisione di Marcia di Fanteria precedentemente nota come 1ª Divisione Francese Libera (DFL), guidata dal generale Brosset e dal 1° Gruppo di Tabor Marocchino (Di Colloredo, 2018d: 43).
Nel 1943, le truppe americane e britanniche sbarcarono in Sicilia e iniziarono la loro avanzata lungo la penisola. Gli Alleati trovarono una forte resistenza da parte dei tedeschi, che avevano costruito una linea fortificata lungo la dorsale appenninica chiamata "Gustav". Nonostante i bombardamenti, il monastero di Montecassino non fu risolutivo. Nel maggio del 1944, il generale Clark decise di aggirare la linea nemica attraverso i monti Aurunci, utilizzando l'aiuto dei goumiers del CEF. Furono loro a superare la linea Gustav e ad avanzare verso la piana pontina, contribuendo alla caduta di Montecassino (Di Colloredo 2018e: 44).
Questi guerrieri leggeri, mobili e forti, hanno dimostrato di poter attaccare con successo anche le zone più impervie con poco supporto.
Tuttavia, i risultati militari dei Goumiers sono stati accompagnati da accuse di crimini di guerra, inclusi omicidi, violenze e saccheggi lungo la loro strada attraverso l'Italia. Infatti, le autorità francesi hanno cercato di negare queste affermazioni.
Secondo il presidente dell'Associazione Nazionale Vittime delle Marocchinate, Emiliano Ciotti, gli scrittori del libro intitolato Italia martire sacrificio di un popolo 1940/45, pubblicato a Roma nel 1965 dall'Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra, hanno incluso nel loro testo il proclama che si dice essere stato rivolto dal generale Juin ai goumiers prima della battaglia, nel quale Juin concesse ai soldati cinquanta ore di libertà e prometteva loro il diritto di depredare le città e le popolazioni conquistate. Questo proclama, sebbene non sia stato confermato in modo indipendente, ha dato origine a ciò che viene chiamato “le marocchinate”, un termine che si riferisce alle violenze e alle rapine commesse dai Goumiers marocchini contro la popolazione italiana, specialmente in Campania e nel Lazio, dopo la caduta di Montecassino. È importante notare che la veridicità di questo proclama è dubbia. Non esistono prove documentarie che ne confermino l'esistenza, ed è considerato da molti storici come una fonte controversa che richiede ulteriori verifiche. Pertanto, è raccomandabile trattare con cautela tali affermazioni e considerarle come non confermate.
3. La violenza carnale come arma di guerra: il caso delle marocchinate
3.1 Una verità ignorata dalla memoria storica
Il termine "marocchinate" si riferisce a una serie di violenze sessuali perpetrate dai goumiers marocchini contro la popolazione italiana, specialmente in Campania e nel Lazio, durante la Seconda Guerra Mondiale. Dopo la caduta di Montecassino, le truppe franco-coloniali del Corpo di Spedizione Francese (CEF), composte principalmente da goumiers marocchini, occuparono le zone della Ciociaria, dando inizio a un periodo di grande paura e sofferenza.
Le violenze si verificarono in numerosi paesi della regione, tra cui Esperia, Ausonia, Castro dei Volsci, Lenola, Pico, Vallemaio, Pollica, San Giorgio a Liri e Sabaudia. Le vittime furono sia donne che uomini, e in alcuni casi anche bambini piccoli furono soggetti a violenze sessuali. Anche se le città del basso Lazio furono liberate dai marocchini, ciò non portò alla pace tanto attesa; al contrario, molti civili furono vittime di abusi sessuali crudeli e sistematici.
Le stime del numero delle vittime variano. Secondo l’Associazione Nazionale Vittime delle “Marocchinate”, dal luglio 1943, dallo sbarco alleato in Sicilia fino alla ritirata alle porte di Firenze, si stima che almeno 60.000 donne siano state stuprate e che si siano verificate circa 180.000 violenze sessuali. Tuttavia, questi numeri sono oggetto di discussione e potrebbero essere imprecisi, poiché molte vittime non denunciarono gli abusi subiti.
Un'altra valutazione afferma: «Dalle numerose documentazioni raccolte oggi possiamo affermare che ci furono almeno 20.000 casi accertati di violenze, ma questo numero potrebbe non rispecchiare completamente la realtà. Diversi referti medici dell’epoca indicarono che un terzo delle donne violentate, sia per vergogna che per pudore, scelse di non denunciare. Considerando tutte le violenze commesse dal Corpo di Spedizione Francese, è possibile che il numero delle donne stuprate sia stato di almeno 60.000, con circa 180.000 violenze sessuali.» (Ciotti 2018b: 15)
Nonostante la pubblicazione del libro di Alberto Moravia, che ha denunciato per la prima volta la tragedia delle marocchinate, e il noto film "La ciociara" di Vittorio De Sica, la storia delle marocchinate è rimasta per anni nascosta e relegata agli angoli più oscuri della memoria nazionale. È solo recentemente che si è iniziato a riconoscere l'importanza di far luce su questi eventi e di includerli nella narrazione ufficiale della Seconda Guerra Mondiale. Molti autori hanno dedicato libri, saggi e articoli alla questione delle marocchinate, contribuendo a ricostruire la memoria storica di questi eventi e a sensibilizzare l'opinione pubblica.
Tra gli studiosi e i ricercatori più noti che hanno trattato la questione delle marocchinate si possono citare Emiliano Ciotti, Gigi Di Fiore, Stefania Catallo e altri. Grazie alle loro opere, la storia delle marocchinate è stata finalmente portata alla luce e ha iniziato a essere riconosciuta ufficialmente dalle autorità italiane e dalla società civile come un evento storico grave e doloroso, che ha causato enormi sofferenze e violenze alle donne del basso Lazio.
3.2. Le ragioni di questi atti barbarici
Accanto alla famosa dichiarazione del generale Juin (Carta bianca), che non è mai stata confermata, le vere ragioni che hanno portato alla commissione di questi stupri sono ancora sconosciute. Tuttavia, secondo la nostra analisi, possiamo avanzare alcune ipotesi: il razzismo ha giocato un ruolo importante. Le truppe nordafricane e coloniali francesi erano spesso viste dai soldati alleati come inferiori e « barbare », e questo ha contribuito a giustificare le violenze contro le donne italiane. Il film Indigènes (Days of Glory) di Rachid Bouchareb, uscito nel 2006, menzionato da Luciano nel libro di Eliane Patriarca, La Colpa dei Vincitori, mostra il ruolo dei soldati marocchini nell’esercito francese durante la Seconda Guerra Mondiale.
« Il film mostra che i soldati del CEF non venivano mai promossi e non accedevano mai a un grado superiore. I marocchini erano trattati molto male rispetto ai soldati francesi e anche rispetto ai soldati algerini. Erano stati mandati al macello, trattati come bestie da soma; esistono foto in cui si vedono camminare in sandali nella neve, con molti casi di congelamento ai piedi. » (Patriarca 2017c: 52)
Tuttavia, nel contesto della guerra, numerosi fattori possono spiegare perché i soldati commettono atti così crudeli. La mentalità bellica, il caos e l’aggressività della guerra possono portare a una perdita di controllo e di morale. Inoltre, il degrado morale spesso associato ai conflitti armati, dove i combattenti subiscono forti pressioni emotive e psicologiche, può condurre a comportamenti violenti. L’assenza di regole e di supervisione adeguata può anche incoraggiare alcuni soldati a compiere atti di violenza e abuso di potere, come nel caso delle marocchinate.
È importante sottolineare che queste atrocità non possono essere giustificate in alcun modo e rappresentano una grave violazione dei diritti umani.
3.3. L’impatto delle marocchinate sulla società e sulla politica italiana
Dal punto di vista della memoria storica, le marocchinate sono state a lungo un argomento tabù nella società italiana. Il 7 aprile 1952, il problema delle marocchinate ha trovato per la prima volta spazio nella giovane democrazia italiana, quando la deputata comunista Maria Maddalena Rossi ha pronunciato un discorso sulle vittime civili della Seconda Guerra Mondiale. Rossi aveva fatto parte dell'Assemblea costituente ed era una delle ventuno « Madri della Repubblica ». L'interpellanza presentata chiedeva spiegazioni sul ritardo nel trattamento delle pensioni e delle indennità delle donne colpite da questi eventi. Maria Maddalena Rossi è diventata la principale portavoce dei diritti di queste donne, raccontando con precisione ed empatia gli episodi di violenza e le località in cui si erano verificati. Aveva chiesto al Ministro del Tesoro, Ezio Vanoni, informazioni riguardanti le « marocchinate », ovvero gli stupri commessi dalle truppe francesi, soprattutto in alcune zone del Basso Lazio. Queste donne, vittime di violenze sessuali, cercavano di mettersi in salvo da una guerra che conoscevano poco e che non avevano scelto. Altri parlamentari socialdemocratici e comunisti presentarono ulteriori interpellanze chiedendo interventi radicali del governo per risolvere la questione. Il Ministro del Tesoro, Ezio Vanoni, minimizzò il problema, riducendo la questione al rispetto delle leggi. La seduta parlamentare richiesta da Rossi era considerata delicata e immorale. L’intervento della deputata avvenne in un contesto in cui le donne erano considerate immorali, e la vergogna e il silenzio femminile perduravano da decenni.
« L’argomento era finalmente pronto per una conoscenza più ampia in parlamento. Le marocchinate trovavano finalmente spazio nel cuore della giovane democrazia italiana, dopo un’attesa interminabile. Fu Maria Maddalena Rossi a prendere la parola per prima e a imprimere una direzione chiara alla questione. Divenne la principale paladina dei diritti di quelle donne. [...] C’erano altre priorità, bisognava prima di tutto stabilire i principi e gli obiettivi del nuovo Stato repubblicano. E le marocchinate in quel momento dovevano aspettare. » (Di Fiore 2012: 152)
Così, negli anni ‘50 e ‘60, la questione delle marocchinate è stata ampiamente ignorata dalle autorità italiane, che hanno cercato di minimizzare l’importanza del fenomeno e di farlo cadere nel dimenticatoio. Questo fatto è dovuto principalmente al contesto storico-politico dell’epoca, quando l'Italia stava uscendo dalla Seconda Guerra Mondiale e cercava di ricostruire il paese. Il governo italiano, sotto la guida del generale Pietro Badoglio, aveva firmato l'armistizio con gli Alleati e stava collaborando con le forze di occupazione per ripristinare l’ordine e la sicurezza sul territorio nazionale.
Inoltre, è importante ricordare che il rapporto tra Italia e Francia è stato segnato da varie tensioni e conflitti nel corso della storia, inclusa la questione delle colonie italiane in Africa e il periodo della Seconda Guerra Mondiale, durante il quale i due paesi si sono scontrati militarmente. Pertanto, la denuncia degli stupri commessi dalle truppe francesi in Italia potrebbe essere vista come un’ingerenza nella sovranità nazionale della Francia e potrebbe causare tensioni diplomatiche tra i due paesi.
In questo contesto, il governo italiano aveva l’interesse politico a mantenere buoni rapporti con le forze di occupazione ed evitare tensioni che potessero compromettere la collaborazione con gli Alleati. Solo negli anni ‘90, grazie all’impegno di alcune associazioni di reduci e studiosi, la questione ha iniziato a essere affrontata in modo più serio e aperto.
Nel 1998, il presidente del Consiglio italiano, Romano Prodi, ha chiesto ufficialmente scusa alle donne vittime delle marocchinate, riconoscendo la gravità dei fatti e l’ingiustizia subita. Successivamente, nel 2008, il governo italiano ha stanziato un fondo di 5 milioni di euro per risarcire le vittime delle marocchinate e i loro discendenti.
Tuttavia, nonostante questi progressi, la questione delle marocchinate rimane ancora oggi un argomento complesso e problematico in Italia. Alcuni rimproverano al governo italiano di aver occultato la verità per troppo tempo, mentre altri ritengono che le scuse e l’indennizzo offerti dal governo non siano sufficienti a sanare le cicatrici profonde e dolorose lasciate nell’anima delle vittime.
Conclusione
In sintesi, lo stupro come arma di guerra è un crimine contro l'umanità che viola i diritti umani e la dignità delle donne e degli uomini coinvolti nei conflitti bellici, causando conseguenze psicologiche, fisiche e sociali gravi e durature per le vittime e le comunità coinvolte.
L'analisi dettagliata degli stupri commessi dai goumier in Italia durante la Seconda Guerra Mondiale ci permette di comprendere l'atrocità subita dalle donne ciociare e le conseguenze distruttive sia a livello individuale che sociale. È importante riconoscere che i goumier hanno spesso messo a rischio le loro vite, contribuendo alla liberazione dell'Italia. Tuttavia, sono stati implicati in atti disumani che oggi sarebbero considerati inaccettabili.
Le marocchinate hanno avuto un impatto negativo sulla società e sulla politica italiana, poiché hanno messo in luce il modo in cui le donne e le comunità civili possono diventare vittime di violenza sessuale durante i conflitti armati, svelando la violenza e l'ingiustizia commesse in tempo di guerra. Questa realtà è stata spesso ignorata e minimizzata sia dal governo che dalla narrazione ufficiale della guerra, trascurando il trauma e il dolore vissuti da queste povere vittime.