Introduzione
Nel racconto biografico In viaggio con Erodoto, pubblicato nel 2005, il giornalista polacco Ryszard Kapuściński1 narra le esperienze vissute durante i suoi reportage in Occidente, in India e in Africa. Il sogno di viaggiare al di là del suo spazio – come rivela nel suo libro (« un giorno, magari, mi piacerebbe andare all’estero », Kapuściński, 2004, p. 15) – è stato realizzato grazie all’opportunità data dall’Agenzia di Stampa Polacca (PAP) (Polish Press Agency) con cui esercita il suo mestiere in quanto giornalista.
Da giovane lo scrittore desiderava « varcare la frontiera » con l’obiettivo di rispondere alle sue domande più profonde, che occupavano i suoi pensieri, come lui ricorda : « mi chiedevo che cosa si provasse nel varcare una frontiera. Che cosa si sentiva ? Che cosa si pensava ? Doveva essere un momento di grande emozione, turbamento, tensione. Cosa c’era dall’altra parte ? Senza dubbio qualcosa di diverso » (Kapuściński, 2004, p. 15).
La chance si presentò quando Ryszard Kapuściński fu inviato corrispondente all’estero dalla sua caporedattrice Irena Tarlowska, che inoltre gli regalò il libro Storie di Erodoto – vissuto fra 484 a. C e 430 a.C, fu uno storico greco considerato il padre della storia – vero e proprio compagno di viaggio, al quale fece continuo riferimento.
Erodoto « dedicò la sua opera proprio alla descrizione di altri popoli » (Moll, 2002, p. 185) e cioè al non-greco. Infatti, quest’Altro è diverso da Erodoto per cultura, religione, lingua, modo di riflettere, ecc., e soprattutto quest’ultimo ha potuto descrivere il diverso con una certa oggettivittà, come dichiara il giornalista polacco nel suo libro : « Erodoto parla degli altri senza disprezzo né odio ; cerca di conoscerli, di capirli e spesso dimostra addirittura come per molti aspetti essi superino gli stessi greci » (Kapuściński, 2004, p. 14).
Quindi, lo storico greco cercò di conoscere e di capire il non-greco, anche se non condivise con lui loro gli stessi valori. Si potrebbe aggiungere che fra i primi che si sono occupati della tematica dell’alterità ci sia Erodoto, che ha messo al centro del suo racconto la necessità di capire e conoscere l’Altro.
Quanto a Ryszard Kapuściński, egli viaggiò con la curiosità di scoprire l’Altro diverso rispetto al quale aveva qualche pregiudizio e stereotipo, come ritiene Mondher Kilani nel suo libro L’invenzione dell’altro : « prima ancora d’essere scoperto, l’altro è stato sognato o immaginato » (Kilani, 2004, p. 89).
I suoi pregiudizi sull’Altro e la lettura del libro storie di Erodoto hanno influenzato sia in modo diretto che in modo indiretto l’immagine dell’Altro nel suo racconto biografico durante il suo viaggio.
La domanda, attorno alla quale ruota questo articolo, è quindi l’immagine data all’Altro da Ryszard Kapuściński nel suo racconto In viaggio con Erodoto.
1. Le strutture dell’immaginazione e l’incomprensione culturale
1.1. L’altro nell’immaginazione Ryszard Kapuściński
Per rispondere alla nostra domanda ricorriamo ad un approccio della letteratura comparata2 e cioè l’imagologia letteraria che è « lo studio delle imagini, dei pregiudizi, dei cliché, degli streotipi e in generale delle opinioni su altri popoli e culture che la letteratura trasmette, partendo dalla convinzione che queste images, come vengono comunemente definite, hanno un’importanza che va al di là del puro dato letterario come anche dello studio delle idee e dell’imaginazione artistica di un singolo autore. L’interesse maggiore che anima le ricerche imagologiche è di risalire al valore ideologico e politico che certi aspetti di un’opera letteraria possono avere proprio in quanto in essi si condensano per lo più le idee che un autore condivide con l’ambiente sociale e culturale in cui vive » (Moll, 2002, p. 186).
1.1.1. L’immagine dell’Altro occidentale
Nel racconto In viaggio con Erodoto, la prima destinazione del giornalista polacco fu in un paese occidentale, precisamente l’Italia, che per Ryszard Kapuściński fu il primo paese fuori dal Blocco Sovietico3. L’immagine dell’Altro occidentale è stata anticipata da un’immagine negativa, ossia da un pregiudizio, come l’autore stesso scrive nel suo racconto di viaggio : « ne avevo bisogno : stavo volando verso l’Occidente, quell’Occidente mi avevano insegnato a temere come la peste » (Kapuściński, 2004, p. 17).
Quindi, la prima immagine dell’Altro occidentale era negativa dato che gli avevano insegnato a temerlo come la peste.
Con tutto ciò, il giornalista polacco cercò di integrarsi nel mondo Occidentale attraverso l’abbigliamento e il modo di comportarsi. In altri termini, al suo arrivo in Italia, Ryszard Kapuściński si vestì come gli italiani, comprando abiti italiani come camice e cravatte (anche a pois). Oltre ai vestiti, il giornalista provò a integrarsi adattandosi alla cultura del luogo e ad alcune abitudini di vita, come ad esempio andando al bar a prendere un caffé.
Anche se il giornalista polacco aveva cercato d’integrarsi, venne rifiutato da parte dell’Altro. La causa di tale rifiuto venne individuata dal giornalista nel diverso abbigliamento, perché secondo lui l’Occidente vestiva in modo diverso dall’Oriente, stando a quanto Kapuściński riferisce nel suo racconto : « in realtà lo scontro tra Oriente e Occidente non si svolgeva nei poligoni di tiro, ma in tutti i settori della vita. Se l’Occidente vestiva leggero, l’Oriente, per contasto, vestiva pesante ; se l’Occidente indossava abiti attilati, l’Oriente adottava la linea a sacco. Chi arrivava da oltrecortina non aveva bisogno del passaporto, lo riconosecvano a distanza » (Kapuściński, 2004, p. 18). Quindi, il rifiuto da parte dell’Altro viene interpretato come un ostacolo per stabilire qualsiasi rapporto o dialogo con l’Altro.
Oltre ai vestiti, il polacco raccontò come fu rifiutato da parte dell’Altro rispetto ai suoi gesti, al suo modo di stare seduto e al suo comportamento. Al riguardo, nel suo racconto Ryszard Kapuściński racconta una scena svoltasi in un bar italiano : pur essendo vestito con abiti italiani venne identificato come straniero a causa del suo comportamento : « adocchiato un tavolino libero in uno dei bar, mi sedetti e ordinai un caffè. Dopo qualche tempo mi accorsi che la gente mi sbirciava di sottecchi : indossavo un abito nuovo, con una candida camicia italiana e una cravatta a pois assolutamente alla moda, ma evidentemente il mio aspetto, i gesti, il modo di stare seduto e di muovermi bastavano da soli a tradire la provenienza da un altro mondo... il vestito nuovo non riusciva a nascondere la mia formazione e il mio marchio d’origine » (Kapuściński, 2004, pp. 19-20).
1.1.2. L’immagine dell’Altro asiatico
Spostiamo l’attenzione verso l’immagine dell’Altro asiatico, perché dopo aver soggiornato in Occidente, il polacco cambiò destinazione e raggiunse l’India quale inviato dall’Agenzia di Stampa Polacca : « dipendeva dal fatto che la Polonia aveva da poco ricevuto la visita del primo presidente di un paese fuori del blocco sovietico, il leader indiano Jawaharlal Nehru. Tra i due paesi era stato gettato un ponte e i miei reportage avrebbero dovuto avvicinare ai lettori quel paese lontano » (Kapuściński, 2004, p. 16).
1.1.3. L’imagine dell’Altro africano
Per quanto riguarda l’immagine dell’africano nell’opera In viaggio con Erodoto di Ryszard Kapuściński, lo spostamento del giornalista verso un paese africano fu in Algeria. Cercheremo qui di evidenziare l’immagine dell’africano tratta dal suo racconto.
In primo luogo, il giornalista polacco parte verso l’Algeria dopo il suggerimento dell’ambasciatore dell’Algeria in Tanzania, Judi, che gli consigliò di visitare il suo paese : « secondo me dovresti andare ad Algeri. Potrebbe esserci qualcosa di interessante. Se vuoi, ti faccio avere il visto » (Kapuściński, 2004, p. 214).
La prima immagine che aveva il giornalista polacco dell’algerino era un’immagine positiva, dato che aveva conosciuto due anni prima (nel 1963) l’ex presidente Ben Bella ad Addis Abeda, cioè. L’immagine che egli aveva di Ben Bella era quella di una persona cortese e simpatica, come il giornalista ricorda : « avevo incontrato Ben Bella due anni prima ad Addis Abeda : mi era parso una persona cortese, addirittura simpatica » (Kapuściński, 2004, p. 215). Al suo arrivo in Algeria, ricorda la stessa immagine positiva dell’ex-presidente, descrivendolo come un giovane intelligente e soprattutto popolare (Kapuściński, 2004, p. 214) e mettendo anche in evidenza la sua mentalità : « Ben Bella era un uomo mediterraneo, educato secondo la cultura francese, dalla mentalità aperta e il carattere conciliante » (Kapuściński, 2004, p. 219).
Oltre a ciò, si nota la stessa immagine dell’Altro algerino nel suo passaggio nei quartieri francesi, in cui il giornalista polacco si sente tranquillo dato che nessuno lo fissava o lo guardava con insistenza, come lui asserisce : « se qualcuno ci guarda in una strada francese, non ce ne importa niente ? Come mai in una strada francese la cosa non ci fa né caldo né freddo » (Kapuściński, 2004, p. 216).
Quindi, la conoscenza dell’ex-presidente Ben Bella e il passaggio attraverso i quartieri francesi ha dato un’impressione positiva al giornalista polacco, ed è perciò che l’immagine dell’algerino è positiva.
Con tutto ciò, l’immagine dell’algerino cambia nello sguardo del giornalista polacco appena arrivò alla Casbah4 in cui descrive il suo disagio dovuto allo sguardo fastidioso della gente, come egli stesso racconta : « cerchiamo di attraversarla il più in fretta possibile per sottrarci al fastidio e al disagio delle dicine di sguardi immobili che ci fissano con insistenza da ogni parte ? [...] Mentre nella Casbah ci mette tanto a disagio ? » (Kapuściński, 2004, p. 216).
In conseguenza di questo disagio sentito passando dalla Casbah, il giornalista polacco esprime il suo disappunto per l’ambasciatore Judi che gli aveva consigliato di visitare l’Algeria : « camminavo per la città, despresso e furioso contro Judi. Perché mi aveva indotto a partire ? » (Kapuściński, 2004, p. 217), e continua : « non potei ringraziarlo per avermi consigliato quel viaggio » (Kapuściński, 2004, p. 220).
Oltre al disagio vissuto, il polacco si rende conto di aver capito bene il pensiero del suo punto di riferimento, lo storico greco Erodoto, come lui sostiene nel suo racconto di viaggio : « era stato grazie a quel viaggio che avevo sostato per la prima volta sulla sponda del Mediterraneo. Da quel momento mi era parso di capire meglio Erodoto. Il suo pensiero, la sua curiosità, la sua visione del mondo » (Kapuściński, 2004, p. 220).
1.2. Incomprensione culturale e linguistica
1.2.1. Il malinteso culturale
Al contrario di quanto era avvenuto per l’Occidente, del quale il giornalista polacco aveva un’immagine negativa, Kapuściński partì per l’India senza avere nessuna idea né alcun pregiudizio circa l’immagine dell’indiano, come egli stesso racconta al suo arrivo in India : « dell’India non sapevo assolutamente nulla. Cercavo febbrilmente di farmi venire in mente un’associazione, un’immagine, un nome » (Kapuściński, 2004, p. 16).
La partenza per l’India senza averne nessuna opinione, fece vivere al giornalista polacco una serie di malintesi culturali.
Infatti, il primo malinteso culturale è avvenuto all’interno dell’albergo e fu determinato da un cameriere indiano mentre svolgeva il suo lavoro, come Kapuściński ricorda nel suo racconto In viaggio con Erodoto : « la mattina seguente, quando nella camera entrò un uomo scalzo, portandomi una teiera e qualche biscotto. Era la prima volta che mi capitava una cosa del genere. Senza una parola possò il vassoio sul tavolo, si inchinò e uscì in silenzio. Nel suo comportamento c’era una tale cortesia naturale, un tale tatto, qualcosa di così sorprendentemente delicato e dignitoso, che provai subito un senso di ammirazione e di rispetto nei suoi confronti » (Kapuściński, 2004, p. 24).
Oltre a questa scena, in cui il polacco percepisce un malinteso culturale, il vero choc culturel avvenne fuori dell’albergo, quando egli viene visto come un Sahib5. In altri termini, Ryszard Kapuściński rimase scioccato da questo fatto culturale e rifiutò di prendere il risciò – tipico mezzo di trasporto indiano - dato che lo considera uno sfruttamento, come lui scrive : « la sola idea di stare comodamente seduto in un risciò tirato da una creatura tutta pelle e ossa e mezza morta di fame mi riempiva di disgusto, di indignazione e di orrore » (Kapuściński, 2004, p. 24).
Quindi, la sua umanità mise in discussione questo mestiere che lui vede come un vero e proprio sfruttamento dell’essere umano.
1.2.2. Lingua come chiave
L’immagine dell’Altro è condizionata da vari fattori, come la lingua che gioca un ruolo determinante nella rappresentazione dell’immagine dell’Altro, perché è grazie a quest’ultima che si possono cogliere le sfumature di una cultura.
Durante i suoi viaggi verso diversi paesi, il giornalista polacco si chiedeva come il suo compagno, cioè Erodoto, avesse potuto comunicare con quei popoli che parlavano lingue diverse dalla sua, ma ricordava che « il greco era la lingua franca dell’epoca, parlata da un’infinità di gente in Europa, Asia e Africa, prima di venire sostituita dal latino, e poi dal francese e l’inglese » (Kapuściński, 2004, p. 27) ; però non era il suo caso, essendo lui di lingua polacca.6
Infatti, per il giornalista polacco « ogni mondo aveva il proprio segreto e che la sola chiave per accedervi era la lingua » (Kapuściński, 2004, p. 23). Inoltre, lui mette in evidenza, secondo la sua esperienza, che in alcuni paesi la lingua rappresenta la carta d’identità della persona che la parla : « una determinazione e un fervore dovuti al fatto che, nel loro paese, l’identità di una persona il cui idioma materno è il bengali. La lingua è la carta d’identità, o meglio, il volto e l’anima di ciascuno. Ecco perché, da quelle parti, i conflitti di natura sociale, religiosa o nazionale assumono spesso l’aspetto di guerre linguistiche » (Kapuściński, 2004, p. 47).
Oltre a ciò che è stato detto sulla lingua come chiave per accedere alla cultura dell’Altro, Ryszard Kapuściński ritiene che la non conoscenza della lingua dell’Altro crei una certa barriera fra l’Io e l’Altro, e può spingere ad avere una vera fobia nello stabilire qualsiasi tipo di rapporto con l’Altro, come lui afferma : « mi sentii improvvisamente accerchiato, intrappolato dalla lingua. In quel momento la lingua mi sembrava qualcosa di materiale, un’entità fisica, un muro, frapposto tra me il mondo, che mi impediva di raggiungerlo. Era un sentimento spiacevole e umiliante. È questa, forse, la ragione per cui, al primo approccio con qualcuno o qualcosa di estraneo, proviamo un senso di timore e d’incertezza e drizziamo le antenne, vigili e diffidenti. Che ci porterà quell’incontro ? Come andrà a finire ? Meglio non rischiare ! Meglio restare al sicuro nel nostro bozzolo ! Meglio non mettere il naso fuori di casa ! » (Kapuściński, 2004, p. 26).
2. L’Altro di Ryszard Kapuściński
Oltre a ciò che è stato detto sull’immagine dell’Altro nel Viaggio con Erodoto di Ryszard Kapuściński, il giornalista polacco ha dedicato un piccolo libro sulla tematica dell’Altro intitolato L’altro, pubblicato nel 2006, in cui ha spiegato in modo più chiaro questo concetto, offrendo ai lettori un cenno storico sulla tematica dell’alterità. Inoltre, lui considera l’epoca moderna come una grande svolta per la relazione fra l’Io e l’Altro, come se fosse l’inizio del mondo multiculurale (Kapuściński, 2006, p. 31).
Nel suo libro L’altro, Ryszard Kapuściński fece inoltre riferimento a uno dei grandi filosofi novecenteschi che hanno trattato la tematica dell’Altro, Emmanuel Lévinas, sul quale esprime : « veniamo adesso alla svolta prodotta dalla filosofia di Emmanuel Lévinas. Considero tale filosofia, tra le altre cose, come una reazione alle esperienze dell’umanità della prima metà del XX secolo : in linea generale, una reazione ai cambiamenti e alla crisi della civiltà occidentale e, in particolare, alla crisi e all’atrofia dei rapporti interumani e delle relazioni tra l’Io e l’altro » (Kapuściński, 2006, p. 27).
Infatti, per Ryszard Kapuściński, « varcare una frontiera » significa andare al di là del suo universo, andare al diverso. Un diverso che gli permette di definire la sua propria identità. Prima che viaggiasse all’estero, egli aveva l’idea che quest’Altro era diverso da lui per la sua cultura, per la religione, per il modo di pensare... perché « l’Autre est d’abord quelqu’un qui n’est pas moi » (Visuvalingum, 1996, p. 134).
In realtà, anche Emmanuel Lévinas ha focalizzato la sua filosofia sull’incontro tra l’Io e l’Altro, ritenendo che quest’incontro sia significativo, dato che porta qualcosa di positivo e autentico per l’uomo che si rispecchia nell’altro.7 Inoltre, il filosofo francese ha messo al centro della sua indagine filosofica l’incontro tra l’io e l’altro come una delle prove più rilevanti nella vita dell’uomo. Questo momento lascia sempre una traccia e può sempre generare qualcosa di buono e autentico dato che l’io si rispecchia nell’altro.8
In aggiunta, per il reporter polacco, prima dell’incontro con l’Altro, l’Io si trova dinanzi a tre scelte : la prima è il rifiuto dell’Altro con violenza, talvolta anche con una guerra ; la seconda è porre dei limiti e cioè mettere una barriera davanti a quest’Altro ; e alla fine come terza scelta cerca di stabilire un dialogo, cercare di capire e conoscere quest’Altro, come riferisce : « ogni volta che l’uomo si è incontrato con l’altro, ha sempre avuto davanti a sé tre possibilità di scelta : fargli guerra, isolarsi dietro a un muro o stabilire un dialogo » (Kapuściński, 2006, p. 67).
La terza scelta quindi consiste nello stabilire un dialogo, e cioè la paura (o la fobia) viene sostituita dalla curiosità e dal desiderio di scoprire il non-cristiano, il non-bianco e il selvaggio : « la paura dell’altro viene sempre più spesso sostituita dalla curiosità e dal desiderio di conoscerlo più vicino » (Kapuściński, 2006, p. 19).
Lo stesso pensiero che possiamo trovare in Lévinas è che il rifiuto dell’Io di stabilire il dialogo con l’Altro e di cercare di capire la sua diversità spinge all’uso della violenza, alle armi e alle guerre.9
L’incomprensione, l’incapacità di dialogo e di conseguenza l’ostilità fanno apparire come inevitabile l’uso della violenza, delle armi e della guerra. Lévinas nota che la violenza e la tirannia sono il risultato del rifiuto da parte dell’uomo di guardare in faccia il suo prossimo.10
Infatti, un grande studioso di Lévinas, il filosofo Silvano Petrosino, spiega che se l’Io fa l’esperienza dell’Altro, l’Io si trova di fronte a due scelte : la prima è l’accoglienza e se non accoglie causa la distruzione con l’indifferenza.11
Infine, lo stabilire il rapporto con quest’Altro è : « non solo bisogna andare da loro, ma anche vivere tra e con loro » (Kapuściński, 2006, p. 25). Due preposizioni (tra e con) che permettono all’Io di stabilire un vero rapporto per conoscere e capire bene l’Altro. Per Ryszard Kapuściński la parola indù upanishada che significava “sedere vicini”, “stare vicini”, è il migliore esempio per stabilire un vero rapporto con l’Altro.
Conclusione
Tutto ciò per riconfermare, ancora una volta, che l’imagine dell’Altro è condizionata da vari fattori, tra cui lo sguardo dell’Io verso l’Altro, come nel caso del giornalista polacco che non si limita soltanto alla curiosità di scoprire il diverso, ma cerca anche di integrarsi nella società di arrivo, come quando arrivò in Italia.
Quindi, l’immagine dell’occidentale era rappresentata come quella di una persona che rifiuta l’Altro anche quando quest’ultimo cerca di integrarsi al loro modo di vita.
Per quanto riguarda l’immagine dell’Altro asiatico, si potrebbe dire che sia rappresentata sotto un malinteso culturale dal momento che Kapuściński rimase scioccato dalle loro abitudini. Oltre al malinteso, il giornalista polacco spiega come l’ignoranza della lingua dell’Altro può creare una certa barriera fra l’Io e l’Altro, e considera la lingua come una chiave per accedere alla cultura dell’Altro. Si deve anche aggiungere che la sua partenza verso lo spazio asiatico senza averne nessuna idea ha messo Ryszard Kapuściński in difficoltà rispetto all’ignoranza della loro lingua e della loro cultura.
Non ci resta che l’immagine dell’africano, e precisamente dell’algerino, che viene rappresentata in modo diverso, perché all’inizio ha descritto l’algerino con un’immagine positiva, citando la sua conoscenza dell’ex-presidente algerino Ben Bella, mentre l’altra immagine è legata al suo passaggio nel quartiere della Casbah, rispetto al quale esprime il suo disagio a causa dello sguardo della gente, mentre i quartieri francesi erano diversi : « una volta fuori dalla Casbah e rientrati nel quartiere francese, tiriamo addirittura un sospiro di sollievo. Però ci sentiamo più a nostro agio, più liberi e naturali » (Kapuściński, 2004, p. 216). Tuttavia, per Ryszard Kapuściński l’Africa è come l’America latina, come sostiene Anna Gòrowska nella sua tesi : « accanto all’America latina, l’Africa rappresenta per Kapuściński la seconda casa nel tempo stesso la gente africana è diventata per lui come una seconda famiglia » (Gòrowska, 2013/2014, p. 75).
Oltre a ciò che è stato detto, Ryszard Kapuściński è cosciente della diversità con cui l’essere umano convive, paragonando il mondo in cui viviamo alla Torre di Babele ; però Dio, secondo lui, non ha mescolato soltanto le lingue, ma anche le culture, i costumi, le passioni e gli interessi di ogni creatura : « ho sempre visto il mondo come una grande torre di Babele. Ma una torre dove Dio ha mescolato non solo le lingue, ma anche culture e costumi, passioni e interessi, facendo del suo abitante una creatura ambivalente, comprendente in sé l’io e il non io, se stesso e l’altro, il simile e l’estraneo » (Kapuściński, 2006, p. 50).
La passione di scoprire lo sconosciuto che egli aveva risale alla sua gioventù, perché anche all’inizio della sua carriera di giornalista si mostrò curioso di entrare in dialogo con l’Altro, come afferma Anna Gòrowska a proposito della testimonianza di sua moglie : « la moglie dello scrittore ricorda l’inizio della sua grande carriera giornalistica e le motivazioni che lo spingevano verso l’ignoto. Entrare in rapporto con l’altro è un requisito essenziale per poter dire di aver conosciuto almeno in piccola parte il luogo visitato » (Gòrowska, 2013/2014, p. 85).
Infine, a proposito del conflitto fra i diversi popoli, Kapuściński mette in evidenza nel suo libro L’altro che questo fenomeno esiste fin dal passato, come lui asserisce : « lo scontro tra civiltà non è un’invenzione moderna, nel senso che si tratta di un fenomeno presente da sempre nella storia dell’umanità » (Kapuściński, 2006, p. 15).