Introduzione
Da una lettura a sfondo poliziesco del Nome della rosa di Umberto Eco, Il libro –inteso come testo e oggetto- sembra essere per eccellenza, il protagonista della storia gialla, che nel filo della narrazione, si scambia profilo specifico ai racconti polizieschi. Il libro, oltre ad essere fonte della conoscenza e del sapere, suscita pericolosamente la curiosità dei lettori, spinge a uccidere, e paradossalmente diventa la preda del lettore.
In effetti, seguendo questo approccio di lettura, si avvertono in realtà, due protagonisti che animano la trama del romanzo : il testo e il lettore. Infatti, attraverso un approccio ermeneutico, il libro appare da un latto come vittima di una cospirazione eccessiva del lettore, e da un altro latto viene addirittura incriminato nei confronti del lettore nel labirinto delle interpretazioni.
1. Il giallo, fabula e due storie
Il romanzo poliziesco, battezzato da più di 150 anni fa, da Allan Edgar Poe, in forma di racconto d’inchiesta, e caratterizzato strutturalmente, da regole canoniche determinate, viene definito semplicemente come una narrazione di due storie; una dell’indagine e l’altra del delitto1, in un’atmosfera occulta ed enigmatica. La narrazione è concentrata sull’azione del detective, il cui obiettivo è di smascherare il colpevole e di risolvere il mistero legato al reato accaduto, esplorando un labirinto di indizi, che a volte (o spesso) porta il lettore di questo genere su piste sbagliate, per assicurarne così, l’effetto suspense e l’aspetto ludico che gli permette di sentirsi coinvolto negli eventi della storia, e addirittura nell’indagine stessa. Dal punto di vista tecnico-strutturale, il testo poliziesco è spesso costruito in base a sequenze narrative dialogiche e descrittive, nelle quali vengono enunciati indizi fondamentali per la risoluzione del mistero, inseriti apposta in modo enigmatico per permettere al lettore una complicità eccitata, proprio come lo suggerisce Yves Reuter « Le roman policier peut être caractérisé par sa focalisation sur un délit grave. Son enjeu est […] de savoir qui a commis ce délit et comment, d’y mettre fin et/ou de triompher de celui qui le commet. »2
L’indagine si costruisce in base alla lettura logica dei segni lasciati dai colpevoli e la loro interpretazione scientifica, con l’obiettivo di smascherare l’identità del colpevole (rivelato o taciuto dal narratore). In questo caso il romanzo giallo è un testo positivista che prevale la scienza e la logica nell’andamento degli eventi. I protagonisti del giallo sono di solito due : il criminale e il detective che si mettono in confronto dall’inizio dell’indagine.
Nel caso di omicidio, l’arma del delitto e il movente che ha spinto il colpevole a compiere l’assassinio, sono gli elementi fondamentali da individuare nel corso dell’indagine, e che permettono al detective di pervenire all’identità dell’omicida.
2. Il Nome della rosa, un vero giallo
Il nome della rosa (Umberto Eco, 1980), che ha contribuito alla nascita e alla diffusione di una nuova linea letteraria con prospettive postmoderne, suscitando un interesse critico mondiale da quando è uscito fino a oggi giorno, presenta, vero, « […] una pluralità di testi nel quale si intersecano semiosi e intertestualità illimitate, e i suoi molteplici significati sono limitati solo dal livello di competenza del lettore dell’enciclopedia universale della cultura.»3. Seguendo lo sfondo di lettura in riferimento, Il Nome della rosa può essere letto in chiave della narrativa poliziesca anzi, non si può escluderne affatto, il genere poliziesco, visto che tutti gli ingredienti del racconto giallo elencati precedentemente, che si trovano come lo conferma Brandini : Umberto Eco’s postmodern novel, il nome della rosa, […] uses the frame of classic detective fiction. »4. Infatti, l’intrigo poliziesco risulta così indiscutibile e le prove sono irrefutabili - usando per così dire, una terminologia propria a questo genere letterario-. La storia, infatti, racconta l’omicidio in serie di monaci nell’arco di sette giorni, tutti morti all’interno di un’abbazia medioevale unica nella sua struttura e nella sua grandezza. In seguito a questi tragici eventi, è intrapresa un’indagine alla ricerca del colpevole.
Per questo il Nome della rosa è un vero romanzo poliziesco, un giallo particolare nel quale c’è una combinazione di narrativa letteraria “colta” e “popolare”, come lo attesta Paquot :
« Il y a finalement très peu de romans policiers qui s’inscrivent dans les codes du genre et les respectent scrupuleusement. Le propre de ce type de romans est plutôt de jouer avec ces codes, de les détourner. C’est ce que fait Umberto Eco : en cela Le Nom de la Rose est un vrai roman policier. Eco pousse l’expérimentation assez loin : il joue sur le point de vue narratif, sur les temporalités - la chronologie des journées est jalonnée de flash-backs et d’anticipations -, sur l’intrigue. Il met le lecteur dans la position d’une quête du savoir quelque part un peu frustrée, vouée à l’échec. Le Nom de la Rose est en cela un très bon roman policier. »5
Un giallo quasi insolito, se paragonato ai classici del genere dove la storia termina sempre con la scoperta e la punizione del colpevole, il che non accade nella trama di Eco, perché il trionfo del detective non è una piena vittoria. Secondo Antonio Pietropaoli6 , questo genere di poliziesco viene classificato come giallo infinito e considera Il nome della rosa in quanto “paradigma stesso di tale categoria”7, nel quale la verità non è svelata completamente, o il colpevole non viene punito, in modo che il bene trionfa sul male e la giustizia sia fatta.8
Per questo si può parlare, a proposito del successo di Guglielmo, di gratificazione momentanea. L’atto consolatorio per eccellenza, la punizione del colpevole, è assente : Jorge non può essere punito perché si uccide, facendosi tomba del libro proibito e tutelando, in tal modo, l’ordine costituito.9
Anche Maria Corti sostiene la stessa idea riconoscendo il tono giallista del romanzo di Eco e evidenziando il carattere ludico e il piacere che ogni lettore di tale genere gode :
« Il Nome della rosa offre diverse possibilità di lettura, […] a un primo gradino può essere letto come un giallo : ecco verificarsi nell’abbazia una serie di delitti misteriosi […]. Un giallo avvincente sulle trame del Maligno, di quelli che ti fanno spostare l’ora della cena per leggere ancora cinquanta. »10
Lo stesso Eco, pronunciandosi sul genere poliziesco, che il lettore avverte nella lettura del nome della rosa, adopera l’espressione “la metafisica poliziesca”, e congiunge la ricerca poliziesca a quella metafisica, sostenendo che in ambedue, si esegue una ricerca per scoprire il colpevole di una circostanza o di un avvenimento. Secondo Eco, esiste un legame stretto tra la ricerca metafisica e quella poliziesca : una domanda determinante che costruisce e dà origine ai due tipi d’indagine : di chi è la colpa ? Nella ricerca metafisica come quella poliziesca, l’investigatore mira a trovare il colpevole di un fatto/ delitto. Solo che il romanzo poliziesco rivela sempre alla fine il nome o l’identità del colpevole, mentre con la ricerca metafisica ne risultano solo dei dubbi ed è proprio questa la differenza tra la metafisica e il poliziesco, eppure entrambi raccontano una storia di inchiesta :
« […] je crois que toute enquête philosophique doit avoir la structure d’une enquête policière et si on va voir même mes livres académiques il y a ce va et vient d’hypothèse, et c’est la raison pour laquelle j’écris un roman en un certain temps, c’est-à-dire que mes écrits essayiste me permettaient de satisfaire ma pulsion narrative sans écrire de roman. Seulement au moment où je n’ai plus rien à dire alors j’écris un roman. »11
Infine, nelle postille del romanzo, Eco afferma che prima di concedere al titolo conosciuto del suo romanzo, aveva pensato a ben altri, che secondo lui erano così banali tale da non eccitare il suo lettore e di facilitargli in qualche modo il processo di lettura anzi di privarlo del suo piacere. Tra i titoli ai quali aveva pensato : l’abbazia del delitto… e questo avrebbe orientato facilmente il lettore al genere del romanzo ma soprattutto è un riconoscimento dell’autore che il suo testo è una narrativa poliziesca.
« Il mio romanzo aveva un altro titolo di lavoro, che era l’Abbazia del delitto. L’ho scartato perché fissava l’attenzione del lettore sulla sola trama poliziesca e poteva illecitamente indurre sfortunati acquirenti, in caccia di storie tutte azione, a buttarsi su un libro che li avrebbe delusi.»12
Aggiunge in un’intervista : « All’inizio l’idea era di scrivere una specie di giallo” nella quale « un frate morisse sfogliando un libro avvelenato mi pareva efficace ».13
In altro, leggendo il Nome della rosa, si sente questo forte riferimento dialettico al vero e al falso, tramite i dibattiti tra i monaci sul riso, sul mondo, sull’amore, sulla verità. Una ricerca infinita sulla verità, che narratore e personaggi (particolarmente Guglielmo in quanto investigatore) intraprendono, usando un approccio di ragionamento logico, che consiste nell’analizzare la realtà dei fatti e dei segni mettendo evidenziando le contradizioni di essa. Un puro stile “poliziesco”
3. Il Nome della rosa, giallo del libro
3.1. Il Testo e il lettore
Nel risvolto di copertina della prima edizione del Nome della rosa (1980), Umberto Eco, segnala che la sua opera è rivolta a tre categorie di lettori, quelli attratti dai dialoghi filosofici, quelli appassionati ai dibattiti di idee, e infine quelli che si accorgeranno che la sua opera è « un tessuto di altri testi, un giallo di citazioni, un libro fatto di altri libri»14. Si tratta, infatti, di un testo narrativo artificiale intrecciato da vari testi e citazioni di altri libri, di altri autori, è una sorta di romanzi nel romanzo, anzi libri in un romanzo e non solo ; il “testo” stesso è una variante rilevante negli avvenimenti narrati. Si nota addirittura che
« Vari elementi di intertestualità contribuiscono al « piacere della lettura » (alla Barthes) di un testo che tutt’altro che allegoria dei nostri … vuole essere innanzi tutto illustrazione dell’arte del « fabulare […] »un ottimo esempio di un testo « autocosciente » e cosciente di essere simulazione : fabula. […] Cosicché noi lettori ci troviamo davanti al romanzo di Eco un po’ come Guglielmo e Adso si trovano davanti al labirinto della biblioteca e davanti al mistero dei delitti. »15
La lettura del nome della rosa considerato, tra l’altro, come romanzo di intrattenimento di una alta qualità letteraria, che si rivolge però, a un pubblico “medio” di lettori, permette di distinguere in modo palese, che il lettore si sente coinvolto ai fatti dell’inchiesta e partecipa implicitamente e mentalmente mentre svolge la sua lettura, alla risoluzione dell’enigma a passo a passo insieme al detective.16 La storia progredisce come se il “testo” e il “lettore” fossero gli unici e veri protagonisti delle vicende narrate. In fondo, il romanzo risulta una trasposizione del testo saggistico di Eco in un testo narrativo, un intreccio tra il saggio e il narrativo, tramite il quale le teorie sul lettore e sul testo, sostenute da Eco precedentemente e posteriormente alla pubblicazione del suo romanzo, sono facilmente rilevabili.
Il coinvolgimento del lettore è così prevalente, che si può attestare che l’indagine “poliziesca” raccontata nell’opera di Eco, è in realtà una metafora dell’indagine del lettore di fronte a un testo letterario che secondo le teorie sostenute da Eco, fantastica una serie di congetture, e di ipotesi, nell’obbiettivo di giungere un paradigma di mondi possibili imposti e avviati dal testo stesso, e per via di Guglielmo, l’autore lo dice giustamente : « I libri non sono fatti per crederci, ma per essere sottoposti a indagine. Di fronte a un libro non dobbiamo chiederci cosa dica ma cosa vuole dire, idea che i vecchi commentatori dei libri sacri ebbero chiarissima. »17
L’importanza del libro e della lettura, e principalmente il ruolo del lettore si esibisce nei passaggi dialogici dei personaggi (in particolare Guglielmo) e nella cronaca di Adso sin dalle prime pagine dell’opera fino agli ultimi brani. Sono chiare le riflessioni dell’autore Eco a proposito della relazione lettore-testo, secondo le quali, il testo è un universo di mondi possibili suscitati dagli spazi bianchi presenti nel corpo del testo, e nei suoi confronti, il lettore si comporta come un detective, alla ricerca di queste possibilità, provando a capire il “non detto” mediante « frenetiche ipotesi per completare quello che il racconto non dice”18 perché un “vero lettore” è quello “chi capisce che il segreto di un testo è il suo stesso vuoto. »19
3.2. Una storia di libri
Tradizionalmente, in ogni testo di struttura poliziesca, sono sempre presenti, in modo esplicito o implicito, quattro elementi costituenti della trama : il crimine, la vittima, l’inchiesta, e il colpevole ; una catena che forma addirittura i poli della storia narrata, connessi dal movente e dal modo (arma) del crimine. Bisogna anche accennare che spesso, il narratore o l’autore, focalizzano su uno o alcuni degli elementi narrati, e gli altri appaiano « ipso facto»20
Inoltre, in questo tipo di narrativa alimentata da suspense, sono spesso le prime righe a suggerire al lettore « l’immediata sensazione di ciò che stia per leggere, dell’atmosfera, delle suggestioni e perfino – sia pure a grandi linee- dei contenuti. E non solo per ciò che dicono, ma per come lo dicono, e cioè per lo stile.»21
È proprio quello che è osservato nell’opera di Eco, infatti, Il nome della rosa inizia con un’Avvertenza, scritta interamente in corsivo, dell’autore intitolato : Naturalmente, un manoscritto (netto riferimento ai Promessi Sposi di A. Manzoni), nella quale l’autore, in un processo di transizione da autore a lettore, annoda bibliograficamente l’origine della sua storia, elencando le fonti trovati grazie ad una lunga ricerca.
L’Avvertenza parte addirittura con : “Il 16 agosto 1968 mi fu messo tra le mani un libro dovuto alla penna di tale abate Valle, […] il libro […] asseriva di riprodurre fedelmente un manoscritto del XVI secolo, a sua volta trovato nel monastero di Melk.22 Seguono altre battute che si attengono all’importanza “del libro” o del “testo” cercato, trovato, perso, annottato:
- « La persona con cui viaggiavo scomparve portando seco il libro dell’abate Vallet.»23
- « Mi rimase cosi una serie di quaderni manoscritti di mio pugno. »
- « Incomincia a ritenere che mi fosse capitato tra le mani un falso. Ormai lo stesso libro del Vallet era irrecuperabile (o almeno non ardivo andarlo a richiedere a chi me lo aveva sottratto. »24
Continuano altre numerose allusioni al libro in modo esplicito ed implicito, nell’intero testo di Eco, tale che Il « libro» nel senso fisico e inteso anche come testo, sia il tema predominante e basilare del romanzo. Già, parlando dell’idea della dialettica nel suo romanzo che mette in confronto il vero e il falso, Eco afferma che quasi tutti i suoi romanzi raccontano in qualche modo la ricerca di testi presumi o piuttosto « falsi», il che significa che il « libro» è sempre al centro dei suoi racconti. “presque tous mes livres se réfèrent à un document faux »25. Accenna ugualmente questa caratteristica della sua opera alla fine dell’Avvertenza del romanzo, spiegando l’importanza della lettura e del libro per il benessere degli uomini quando dice :
« E cosi ora mi sento libero di raccontare, per semplice gusto fabulatorio, la storia di Adso da Melk, e provo conforto e consolazione nel ritrovarla cosi incommensurabilmente lontana nel tempo, cosi gloriosamente priva di rapporto coi tempi… perché essa è […] storia di libri, non di miserie quotidiane, e la sua lettura può inclinarci a recitare, col grande imitatore da Kempis : “In omnibus requiem quaesivi, et nusquam inveni. »26
Inserendosi pienamente nella lettura dell’opera, il lettore si avverte che il testo è tessuto da un importante collage di citazioni del latino classico e medievale, dell’Apocalisse e delle opere di Virgilio, Orazio, Isidoro di Siviglia, Alain de Lille e Bernard di Cluny... e da allusioni giocose a opere moderne come quelle di James Joyce, Arthur Conan Doyle e Jorge Luis Borges27. Ma intuisce oltretutto, che la trama stessa è incentrata sul concetto del “libro” in quanto oggetto fisico e in quanto testo. Tanto che i personaggi (protagonisti e antiprotagonisti) affiggono anche in modo occultato, la loro “adorazione” per un testo, per un libro « sacro » o « profano », “che stravolge la funzione di tutti gli altri libri”,28 ma che sarebbe proibito di leggere perché risulterebbe pericoloso. E di conseguenza, se la censura viene trasgredita, si ricorre all’omicidio del lettore e alla distruzione fisica e morale del testo.
« Un point commun cependant entre tous les héros de l’histoire : leur commune dévotion pour la chose écrite, pour le livre, qui, quel que soit son contenu, est un objet sacré dont on peut interdire (et cela, en allant jusqu’au crime) la lecture pernicieuse, mais qu’on ne saurait même envisager de détruire. »29
3.3. Il libro nell’indagine
Seguendo il filo poliziesco della trama, e riferendosi alle tre consuete sequenze del “romanzo poliziesco” : crimine, indagine, soluzione, si accorge che il “libro” (insieme all’atto di lettura) è messo in scena in queste tre fasi della trama giallista, assumendo vari ruoli o piuttosto diverse rappresentazioni nell’andamento degli eventi e nell’evoluzione della narrazione, sicché diventa insieme ai protagonisti, una chiave importante della lettura del romanzo a sfondo poliziesco.
« Il nome della rosa è un insieme di delitti intorno a un libro, la messa in scena delle funzioni del libro in una cultura ... È anche la storia d’una catastrofe, d’una apocalisse libresca, l’incendio d’una biblioteca, la tragedia del fondatore di una biblioteca, per sua stessa definizione. »30
Il libro è utilizzato come arma del delitto avvelenandone le pagine, ne è anche il movente, perché il colpevole voleva impedire potenziali lettori di leggere quel libro “segreto”, “profano” e “enigmatico”, e paradossalmente il libro sarà la chiave della risoluzione dell’enigma ; le conoscenze e la cultura enciclopedica di cui gode Guglielmo, gli permettono di smascherare il colpevole certo, ma perviene soprattutto a indovinare la natura del libro maledetto e di intuire il suo contenuto senza averlo letto. “I libri parlano di libri, ovvero è come se parlassero fra loro”31
« Guglielmo, pur se l’accesso alla biblioteca gli è negato, segue le tracce di Jorge con metodi teorici : esamina codici, il catalogo della biblioteca, analizza calligrafie, crittografie, occhiali e pergamene. Egli non è solo un semiologo, nel senso dell’analogia ormai trita fra critico e investigatore, ma un vero bibliologo che giunge all’investigazione attraverso l’inquisizione (“meta-interpretazione”) e non dimentica mai i metodi teorici più adatti.»32
Due importanti opere sono l’essenza del delitto e dell’indagine, e sulle quali l’intreccio della storia si appoggia, la Poetica di Aristotele, e l’Apocalisse di Giovanni. La ricerca del libro del filosofo diventa d’effetto, il motivo centrale dell’indagine poliziesca, quando Guglielmo capisce che costituisce il movente dei delitti fatali che ha vissuto l’abbazia nell’arco di sette giorni.
3.3.1. Il libro arma del delitto
Perfino il libro sembra essere il movente degli omicidi, l’investigatore scopre nel corso della sua indagine, anzi quasi alla fine della trama, che è addirittura l’arma con la quale l’omicida elimina le sue vittime. L’arma del crimine è il movente del delitto sono gli stessi : un libro ; il secondo libro della Poetica di Aristotele che sarebbe nascosto minuziosamente nella biblioteca labirintica. Il Killer avvelena le pagine del libro, che quando vengono girate dai lettori, questi ultimi, sono costretti di scattarle bagnandosi le loro dita con la saliva. Conseguenza : ingurgitano la sostanza mortale e perdono la vita perché impossessati dalla curiosità e dalla passione della lettura.
3.3.2. Il libro chiave dell’indagine
Inizialmente l’indagine di Guglielmo segue un percorso fondato su un ragionamento metafisico pensando che gli omicidi siano dell’ordine divino. Cosicché, l’Apocalisse di Giovanni, come lo stabilisce Forchetti, è il libro che domina la prima parte dell’indagine di Guglielmo, attraverso il quale, prova di dare interpretazione agli eventi tragici dell’abbazia, che sembrano realizzare la profezia del cosiddetto libro. Di conseguenza, Guglielmo, ne congettura delle ipotesi che lo portano su una pista che si rivelerà falsa :
« Il tortuoso itinerario del secondo libro della Poetica costituisce apparentemente l’argomento e il filo d’Arianna del romanzo”, anche se, come nota Theo Van Velthoven, è l’Apocalisse giovannea a dominare la scena prima che il libro di Aristotele venga citato durante una disputa tra alcuni frati. »33
3.3.3. Il libro/testo vittima dell’omicidio
La lettura cautelata degli eventi dell’opera, sempre in avvicinamento poliziesco, avverte un’altra raffigurazione del libro/testo, ed è quella della vittima, che subisce una triplice aggressione nei confronti dell’atto di lettura.
Per primo, quando viene isolato, sequestrato e privo di essere letto, assumendo perciò una censura totale. Essa è raffigurata come un reato che non solo priva il lettore del piacere dell’atto di lettura ma disprezza e maltratta ugualmente il libro, che secondo Eco va rispettato usandolo.34 Quando invece, il « testo» subisce una sovra interpretazione dal lettore, inteso come interprete deformante del testo, avviene la seconda aggressine. Infine, quando il « testo» è distrutto alla fine della storia, stracciato poi bruciato insieme a tutti gli altri libri della biblioteca, si verifica una sterminazione incondizionata del libro e del testo, una apocalisse libresca35. A questo punto, il libro è leso nella sua integralità fisica e concettuale.
4. La colpevolezza di Burgos e di Borges
4.1. Inaccessibilità al testo poliziesco
Anche se Eco pretende nelle Postille di non sapere perché aveva dato un ritratto negativo di Jorge allusivo all’autore argentino L. Borges, l’autore del nome della rosa lo spiega implicitamente, quando (sempre nelle Postille) dice che lo scrittore ideale post-moderno “dovrebbe sperare di raggiungere e divertire almeno qualche volta, un pubblico più vasto del circolo di quelli che Thomas Mann chiamava I primi cristiani, devoto dell’arte » e eliminare « la barriera» tra « arte e piacevolezza », « popolare i sogni dei lettori »” ossessionandoli36.
È chiaro che Jorge da Burgos allude a Jorge Luis Borges, l’attitudine criminale del bibliotecario mediante la voglia avida di voler privare la gente e i monaci di leggere il libro di Aristotele, rinvia all’inaccessibilità dei testi (polizieschi, e non solo) di Borges al gran pubblico, considerati coltissimi, e di “proibire” la popolarità di un racconto che dovrebbe essere popolare. Nella quasi totalità dei suoi saggi, scritti prima e dopo la pubblicazione del suo best seller – destinato appunto, a un vasto pubblico di varie sofisticazioni - Eco si dedica pienamente all’analisi della letteratura popolare, o come viene definita da molti, la paraletteratura, credendo fortemente alla necessità di far avvicinare il pubblico dei lettori alla cosiddetta letteratura alta, attraverso le diverse forme dei mass medi.
All’opposto, Borges, i cui stile e pensiero sono sempre stati considerati ardui, sembra bersagliare solo un pubblico di lettore “attento”, imponendo una lettura penosa per il lettore ingenuo ; un fatto riconosciuto indirettamente, dallo stesso autore in seguito alla pubblicazione della sua opera Antologia Personale, quando ha omesso nella sua raccolta – una specie di autocensura- una serie di racconti complessi in previsione di avvicinarsi a un pubblico più vario e ampio.
« No one would dispute Borges’s success in attracting “devoti dell’Arte”, but the accessibility of his work to the general reader, given the extravagant literary allusion and the philosophical concerns which pervade his work, is less easily quantified.
[…] Borges’s well-known detachment from the concerns of the masses stands in sharp contrast to Eco’s efforts to reach a mass audience.
[…] Borges’s attitude toward the masses and his manner of cultivating a general reader differs significantly from Eco’s. stylistically, Borges has generally been considered a difficult and cerebral author, one who writes for an “alert” literary reader rather than for an “unwary” general reader. »37
4.2. La censura
La colpevolezza di Jorge può anche essere parafrasata come un atto censorio, perfino Il nome della rosa che “ruota intorno a un libro censurato”. (Armando Rotondi, 2015, 11) denuncia l’assurdità del controllo abusivo della conoscenza e della divulgazione culturale. La censura secondo Eco, (sotto tutte le sue forme), non solo rende il libro (il testo) inaccessibile, ma è una condanna a morte dello scrittore : “Principalmente gli uomini, che li bruciano, li censurano, li chiudono in biblioteche inaccessibili, condannano a morte chi li ha scritti». (Dell’Arti, Giorgio, 2009) E aggiunge che « I libri si rispettano usandoli, non lasciandoli stare. »38
Peggio ancora, e in parallela a questo, se il testo non viene letto, diventa una produzione inutile un’opera senza anima. Il lettore attiva il meccanismo esistenziale del testo che a sua volta « allunga la vita »39 del proprio lettore. Persino, sostiene tramite il suo personaggio Guglielmo che « Il bene di un libro sta nell’essere letto. Senza un occhio che lo legga, un libro reca segni che non producono concetti, e quindi è muto. »40
Tuttavia, Jorge non si limita all’occultamento dei libri nei fondi della biblioteca segreta e proibita dell’abbazia, ma fa ancora peggio, divora le pagine del libro suicidandosi per bibliofagìa, e tacendo per sempre, il libro tanto desiderato, condanna al rogo l’intero luogo del sapere e della conoscenza.
4.3. La sovrainterpretazione di Jorge
In opera aperta, Eco sostiene che un testo susciti infine interpretazioni, ma considera in un altro saggio Interpretazione e sovrainterpreatzione, che un interprete di un testo non dovrebbe fargli dire qualsiasi cosa, tale da assegnarne una sovra interpretazione. Giustamente, Jorge da Burgos con il suo commento alla Poetica di Aristotele, rappresenta l’esempio del lettore che attribuisce un’interpretazione aberrata a un testo.
Una sovra interpretazione potrebbe essere il risultato di un eccesso nel dare importanza agli indizi, anche più evidenti, considerando le entità più manifeste come significanti. “Ma la differenza tra l’interpretazione sana e l’interpretazione paranoica sta nel riconoscere che il rapporto è appunto minimo, o nel dedurre al contrario da questo minimo il massimo possibile.” (Eco, U. 2002, 25)
Le buone interpretazioni sono possibili solo se il lettore empirico agisce come il Lettore modello.41 Scoprendo “l’intentio” del testo42, giungerà “l’intentio” dell’autore modello. Pertanto, le possibilità di sovra interpretazione si allargano se il lettore, prima di leggere, è dominato dalla propria intenzione, che si manifesterà in ogni testo che affronterà.43 Per lo più Eco non esita a definire quelli che fanno dire a un testo qualunque cosa, di eretici, (pensando ai critici) che nei raffronti di un testo letterario sono alquanto spinti da “impulsi” ossessivi :
« La lettura delle opere letterarie ci obbliga a un esercizio della fedeltà e del rispetto nella libertà dell’interpretazione. C’è una pericolosa eresia critica, tipica dei nostri giorni, per cui di un’opera letteraria si può fare quello che si vuole, leggendovi quanto i nostri più incontrollabili impulsi ci suggeriscono. »44
Anche se ogni testo è soggetto a un interminabile serie di interpretazioni, il rischio di un’eventuale deriva non è da escludere, per questo, Eco sostiene che l’opera imponga una lettura “guidata” combinata a una analisi interpretativa infinita che potrebbe non coincidere con le premeditazioni dell’autore empirico.
4.4. La sovrainterpretazione: uccisione del testo
In interpretazione e sovarinterpretazione, Eco è « convinto del fatto che leggiamo sempre in modo passionale, secondo reazioni ispirate dall’amore o dall’odio. »45. in questo modo, Jorge commette un omicidio passionale del libro, perché da una parte adora la lettura, ma odia il testo di Aristotele il secondo volume della Poetica perché suscita la trasgressione dei limiti e permette di rendere lecito la felicità assoluta attraverso la generalizzazione del riso anche quello verso il divino, il che è ritenuto massimo principio di eresia.
Non essendo un artista, il lettore-critico non potrebbe permettersi, secondo Eco, una interpretazione illimitata di un testo letterario, che paradossalmente le teorie reader-oriented lo permettono enfatizzando sulla rilevanza dell’interprete, e operando pertanto un’omissione del testo, anzi un’uccisione dell’opera bensì “è la coerenza testuale interna che controlla gli altrimenti incontrollabili impulsi del lettore« .46 L’operazione interpretativa di ogni lettore, è esclusivamente ermeneutica, e personale, vincolata addirittura dall’accumulazione cognitiva dello steso lettore, e del suo bagaglio enciclopedico. Il che non significa autorizzare una libertà interpretativa illimitata e anarchica, bensì controllata e vincolata dal testo stesso.47
La falsa pista seguita da Guglielmo e basata sull’Apocalisse, e le sequenze dialogiche finali tra Guglielmo e Jorge, è un’allegoria della “conversazione” tra il lettore modello, il lettore implicito e il testo aperto che impone una serie di congetture, ma è anche « una battaglia di letture e misletture fatte da lectores in fabula»48. Difatti Eco vuole tracciare una distinzione tra « uso libero e interpretazione» di un testo perché potrebbero manifestarsi casi di un uso aberrante, desiderante e malizioso proprio come ha fatto Jorge Da Burgos. Nondimeno la colpevolezza di Jorge, Guglielmo non è pertanto completamente innocente. È reo anche di sovrainterpretazione, con il suo ragionamento all’inizio dell’inchiesta, interpretando i delitti avvenuti come provvidenziali secondo la profezia dell’ultimo libro del Nuovo Testamento.
« The problem of the readers who fall into the trap of the book is that they will necessarily become guilty of overinterpretation following the model of William of Baskerville, but they will do so with the humility of the reasonable researcher, knowing that this search can be fallible. »49
Per questo, vanno posti alcuni limiti, e la nozione di interpretazione deve coinvolgere pur sempre una dialettica tra strategia dell’autore e risposta del Lettore Modello50.
4.5. Il libro incriminato
Tuttora, il panorama poliziesco della lettura del romanzo di Eco impone un’altra immagine del libro di Poetica di Aristotele, quella del libro assassino, che uccide i suoi lettori perché malinteso, o sovra interpretato. Quando Guglielmo sfoglia il libro con i guanti questo indica metaforicamente una preparazione intellettuale del lettore per affrontare il testo che in questo caso non è più definito come un semplice oggetto, ma e pure un personaggio integrato che alimenta fortemente la narrazione, perché ormai, a tale livello di lettura “questo testo occultato, questa origine del senso ; questo contenuto avvelenato (e velenoso), questo verbo, si fanno carne, in modo grottesco, attraverso la mediazione di Jorge.”51
A questo punto giustamente, l’autore del Nome della rosa, traduce artisticamente le sue teorie sul rapporto testo/lettore, invitando il proprio lettore Modello ma anche quello empirico a partecipare pienamente al suo gioco, provando ad attirarlo nella sua trappola, per verificare se sarà in grado di liberarsene. Il lettore Modello poiché si trova all’interno dell’opera, anzi incluso nella strategia dell’autore, avvia i « mondi possibili» mettendoli in scena in base a che potrebbe generare il testo stesso che « anticipa e provoca le proprie previsioni»52. Con questo processo interpretativo, si crea un nuovo testo a partire da un testo già esistente - i libri parlano tra loro- e sono le parole stesse che permettono al lettore di avanzare tale o tale possibile interpretazione, il che spiega le possibili idee ossessive che non sono “personali” perché non sono espresse apposta dall’autore/creatore ma dall’interpretazione “errata” che ne fa il lettore anzi che tutti componimenti del testo stesso generano.
Di conseguenza, il testo aristotelico diventa un testo delittuoso, avvelenato (allegoricamente) addirittura dalla sovrainterpretazione che uccide i suoi lettori. Anzi, viene proprio personificato nel personaggio di Jorge53, l’omicida dei lettori della Poetica di Aristotele, tale da considerare il conflitto capitale del romanzo, uno scontro anzi, « una guerra del Lettore con il Testo.»54
4.6. Libro e Ossessione
Il « libro» è naturalmente associato alla biblioteca, in quanto luogo di conservazione del sapere, dove vengono catalogati opere di tutti tempi, perché siano alla disposizione che li cerca.
Con l’immagine di Guglielmo e di Jorge, è raffigurata la passione eccessiva e ossessionata per i libri, mettendo in confronto un bibliofilo (Guglielmo) e un bibliomane (Jorge) che mostra comportamenti di paranoia censurale, bibliofagìa ( abitudine attribuita di solito ai roditori e insetti di rosicchiare e mangiare libri)e infine di biblioclastìa (la furia di distruggere libri), anche se nel periodo ambientato della storia del romanzo era difficile distinguere tra bibliomane e amante dei libri55.
Secondo Umberto Eco, il bibliomane è quello che quando è in possesso di un libro particolarmente raro ed eccezionale, lo vuole solo per sé e lo nasconde perché nessuno lo possa consultare, anzi non esiterebbe a rubarlo e privare gli altri del piacere di leggerlo. Inoltre, Il biblioclasta fondamentalista non odia i libri come oggetto, ne teme il contenuto e non vuole che altri li legga. Ed è giustamente a questo che allude allegoricamente l’atteggiamento di Jorge che per eccesso dell’istinto censuratore dell’interpretazione eretica, e dell’accanimento bibliocastico della Poetica si suicida per bibliofagìa.56
Insomma, nel Nome della rosa rimane rilevante, l’immagine della biblioteca, in quanto cimitero del sapere, assediata da un “difensore” fanatico57 che ne proibisce ogni accesso. Un netto accenno allo stato delle biblioteche odierne, che subiscono una biblioclastìa per incuria che secondo Eco sono « così povere e così poco curate, che non di rado diventano luoghi di distruzione del libro ; perché c’è un modo di distruggere i libri lasciandoli deperire o facendoli scomparire in penetrali inaccessibili.»58
Conclusione
Il libro e il lettore sono nel romanzo di Eco, i protagonisti di base della congettura poliziesca, tale che entrambi si scambiano diversi e medesimi profili lungo la narrazione dell’inchiesta intrattenuta da Guglielmo. Entrambi sono incriminati e entrambi sono vittime della combinazione dell’uno e dell’altro.
Tuttavia, prevale l’accentuazione del mito del libro fantasma, del libro misterioso, del libro proibito, del libro perduto, del libro distrutto, addirittura della sterminazione del libro. Una forte immagine della censura della conoscenza e del sapere attraverso l’occultamento fisico e morale del libro, enfatizzato con l’incendio della biblioteca alla fine della storia.
Comunque sia, la censura, la proibizione, l’avvelenamento, l’uccisione stessa, puntualizza sull’inaccessibilità del lettore al “testo” e al “libro” in generale per causa di eretici ermeneutici, che aggradiscono gli scritti (letterari in particolari) con un’interpretazione senza limiti o una lettura errata, considerata da Eco nei suoi saggi e nel suo romanzo per eccellenza, come pericolo permanente al quale sono sottomessi i testi ; una lettura che in realtà non aggiunge qualcosa di più ma ben qualcosa di diverso al testo originale. Questo tipo di lettore/interprete diventa un’eventuale omicida, togliendo l’anima a un testo con una arma ben speciale : la sovrainterpretazione. A questo punto ricordiamo l’esito delle Postille del Nome della Rosa : « Rimane da scrivere un libro in cui l’assassinio sia il lettore… esistono idee ossessive, mai personali. »59