Introduzione
In Europa si giocò l’episodio più crudele e violento del secondo conflitto mondiale, con scene di massiccia distruzione che colpirono molte capitali e paesi del vecchio continente. Città rase al suolo e un bilancio che conta un enorme numero di feriti, morti e mutilati. I paesi più colpiti furono quelli del sud dell’Europa, come la Francia e l’Italia, poiché lì sbarcarono gli alleati sulle coste meridionali : in Sicilia per l’Italia e in Normandia per la Francia. Tutto questo per liberare e bloccare l’avanzata delle truppe naziste in Germania e dei loro alleati nell’Europa meridionale, come Benito Mussolini in Italia e la sua dittatura fascista.
L’Italia uscì dalla Seconda Guerra Mondiale con un’economia danneggiata, un paese totalmente distrutto a causa degli anni di guerra, della politica cieca e della scarsa preparazione per un conflitto di tale portata. La penisola italiana fu liberata dopo i bombardamenti degli alleati e grazie all’aiuto dei partigiani italiani. Fu liberata dai fascisti che governavano il paese con pugno di ferro ; i leader di quel regime totalitario, come tutti gli altri regimi criminali nel mondo, violavano la libertà di espressione e nessuno aveva il diritto di pronunciare nemmeno una parola contro il regime. Un regime che non lasciava spazio per alcuna osservazione, un regime che torturava, saccheggiava, uccideva e imprigionava gli oppositori, come il famoso Giacomo Matteotti, trovato morto in condizioni misteriose per le strade di Roma.
Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, nacquero nuovi problemi come risultato del conflitto, che toccarono tutti gli aspetti della vita sociale, economica e politica degli italiani.
In questo articolo analizzerò la problematica del confine orientale e degli esuli istriani vista dal quotidiano La Stampa, parlando di questi esuli che erano originariamente cittadini italiani e vivevano nelle regioni di confine tra l’Italia e la Jugoslavia. Un giorno si trovarono costretti ad abbandonare le loro terre e case per salvare le loro vite e quelle delle loro famiglie dalla dittatura del maresciallo jugoslavo Tito.
Per rispondere a questa problematica, proverò a formulare alcune domande :
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Qual era la situazione politica, economica e sociale nell’Italia del dopoguerra e come affrontava il nuovo stato italiano i problemi della prima Repubblica Italiana ?
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Quali erano le misure prese dalla prima Repubblica Italiana per risolvere il problema del confine orientale ?
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Come trattava il quotidiano La Stampa la tragedia degli esuli istriani tra il 1945 e il 1954 ?
Per rispondere alla problematica principale e alle domande poste, ho proposto una serie di ipotesi per analizzare questo fenomeno di migrazione forzata.
Il problema del confine orientale rivestiva una grande importanza ed era una priorità per la nuova Repubblica Italiana ; attraverso lunghe trattative furono messi a disposizione tutti i mezzi diplomatici per recuperare il tratto mancante della penisola italica. I fondi del Piano Marshall diedero un grande appoggio all’Italia per focalizzarsi sul tema di Trieste e del confine orientale.
La nuova Repubblica Italiana nacque dopo la caduta del regime dittatoriale fascista che opprimeva tutte le forme di libertà di espressione. Con la nascita del sistema democratico di governo, dopo il referendum del 1946, si iniziò a dare più spazio ai quotidiani italiani per parlare liberamente e difendere il popolo italiano e le sue diverse cause, come la causa della città di Trieste.
Molti storici hanno trattato la tragedia degli esuli istriani, ma le loro ricerche sono spesso risultate superficiali, senza un adeguato approfondimento e coraggio nell’affrontare tematiche delicate. Per quanto riguarda la stampa in generale, si parla più di un’intera regione, cioè di Trieste, e un po’ meno della comunità italofona cacciata via dall’Istria.
In primo luogo, ho trattato la situazione europea in generale nel secondo dopoguerra, e successivamente ho specificato la situazione italiana, parlando dei problemi sociali, politici ed economici affrontati dall’Italia in quel periodo, soprattutto con la nascita del primo stato democratico italiano. Ho anche trattato la politica del centrismo adottata dal partito governante, la Democrazia Cristiana, e in particolare gli aspetti che riguardavano la politica estera.
In secondo luogo, ho trattato uno dei più antichi quotidiani italiani : il quotidiano La Stampa, il funzionamento della sua linea editoriale, la sua visione politica, le notizie e le informazioni fornite, e i tipi di lettori a cui si rivolgevano questi articoli.
Infine, ho analizzato le cause dell’esodo forzato degli esuli istriani, dove migliaia di persone furono costrette a lasciare le loro terre nella regione dell’Istria, situata nell’attuale Croazia. Ho analizzato il contenuto degli articoli del quotidiano La Stampa dopo una lettura attenta, raccogliendo vere testimonianze per ricostruire e rivelare nuove realtà, cercando anche di adottare la visione dello stesso giornale, mettendo in evidenza la sua linea editoriale e la sua visione politica sul caso degli esuli, detti anche « esuli giuliano-dalmati ».
1. La situazione italiana nel secondo dopoguerra
1.1. L’Italia sul piano politico, sociale ed economico
La situazione italiana nel dopoguerra, in particolare dopo la Seconda Guerra Mondiale, fu caratterizzata da una serie di sfide economiche, politiche e sociali. Il paese dovette ricostruire le infrastrutture distrutte, affrontare l’elevato debito pubblico e il crescente tasso di disoccupazione. Per superare queste sfide, furono adottate diverse politiche, come l’industrializzazione, la riforma agraria e lo sviluppo delle infrastrutture.
Sul piano politico, l’Italia visse un periodo di transizione instabile, passando da un regime dittatoriale a una repubblica democratica parlamentare. Questa instabilità fu accompagnata da una polarizzazione ideologica tra i partiti di sinistra e quelli di destra, tra chi preferiva il blocco orientale russo e chi il blocco occidentale americano, in un contesto politico diviso tra capitalismo e socialismo.
Dal punto di vista sociale, la società italiana attraversò significativi cambiamenti. Ci fu un massiccio flusso migratorio dalle zone rurali verso le aree industrializzate ; l’esodo dalle campagne divenne una realtà tangibile. Si assistette inoltre all’introduzione del suffragio universale, alla diffusione dell’istruzione pubblica e a interventi a favore della classe operaia.
Sul piano economico, l’economia italiana fu gravemente danneggiata. Il paese usciva da una guerra disastrosa e l’ex sistema di governo fascista si era concentrato principalmente sull’industria bellica, trascurando altri settori produttivi cruciali per la vita quotidiana degli italiani, come la produzione agroalimentare.
Un altro problema fu quello dei profughi : l’Italia divenne un crocevia per il passaggio di molti profughi, soprattutto ebrei sopravvissuti alla Shoah. Ciò rese necessaria l’organizzazione di strutture e l’adozione di politiche adeguate per l’accoglienza e il reinserimento. Questi problemi si ripresentarono dopo il trattato di pace, con l’arrivo dei profughi giuliano-dalmati. (Avagliano Mario et Palmieri Marco 2019 : 408)
Profughi che arrivavano dalle città vicine o dalle terre jugoslave, fuggendo dalla dittatura di Tito.
Dopo il famoso referendum del 1946, che trasformò l’Italia in una repubblica democratica per la prima volta nella sua storia, i governanti si trovarono di fronte a una serie di sfide. La prima fu la formazione di un governo capace di gestire il paese e di risolvere i problemi ereditati dall’ex sistema fascista.
Il referendum del 2 giugno 1946, per scegliere tra monarchia e repubblica e per eleggere i membri dell’Assemblea Costituente, ebbe un’importanza e una passionalità tali da mettere in ombra la contemporanea elezione della Costituente, che rifletteva invece un panorama politico italiano molto più variegato. La Democrazia Cristiana ottenne 8.080.000 voti, pari al 35,5 % del totale, contro i 4.758.000 voti dei socialisti (20,7 %) e i 4.360.000 voti (19 %) dei comunisti. (Montanelli Indro et Cervi Mario 1985 : 325)
Il referendum rappresentò un evento storico : per la prima volta nella storia del paese, milioni di italiani e italiane si recarono alle urne. Fu anche la prima volta che venne dato diritto di voto e di parola alle donne. Tra i membri dell’Assemblea Costituente sedevano 21 donne. L’Assemblea si riunì per la prima volta il 25 giugno 1946, e pochi giorni dopo Enrico De Nicola venne nominato Capo Provvisorio dello Stato con 396 voti su 501. La Costituzione venne approvata il 22 dicembre 1947, e cinque giorni dopo il testo venne promulgato con la firma del Presidente della Repubblica Enrico De Nicola, entrando in vigore il 1º gennaio 1948. Questo segnò la nascita ufficiale della prima Repubblica parlamentare italiana, inaugurando una stagione di sfide e riforme politiche, sociali ed economiche, già avviate con il referendum e con l’Assemblea Costituente. Per ogni cambiamento o rinnovamento in qualsiasi paese, è necessaria prima di tutto una volontà politica.
Dal punto di vista economico, il paese si trovò di fronte a una grave crisi, affrontata grazie agli aiuti americani attraverso il cosiddetto « Piano Marshall », di cui tratterò nei prossimi punti.
1.2 Il piano Marshall e il sostegno americano
I fondi del Piano Marshall, un programma di assistenza economica degli Stati Uniti, giocarono un ruolo importante nel sostenere la ripresa europea e, in particolare, quella italiana, fornendo aiuti finanziari e materiali. Tuttavia, nulla è gratuito con gli americani : attraverso questi aiuti, essi miravano a controllare l’Europa. Non solo l’Italia, ma tutta l’Europa si trovò di fronte a una nuova realtà, quella del capitalismo selvaggio adottato dagli Stati Uniti.
Il lato oscuro di questa politica è che, pur offrendo aiuti, gli Stati Uniti installavano basi militari nei paesi beneficiari, trasformando questi territori in punti di partenza per eventuali aggressioni o attacchi contro il blocco nemico. Inoltre, pur fornendo assistenza, imponevano alte tasse sui prodotti italiani esportati negli Stati Uniti, rendendo i beneficiari degli aiuti come marionette nelle mani degli americani e ostacolando ogni tentativo di risoluzione di questioni complicate, come quella dei confini.
L’Italia accettò gli aiuti americani perché si trovava in una situazione economica sfavorevole. Il paese era schiacciato tra due blocchi ideologicamente opposti ; non si trattava di una questione di non allineamento. L’Italia dovette scegliere un blocco per mantenere la stabilità interna e avviare una serie di riforme profonde, con l’obiettivo di evitare il ripetersi di un incubo fascista. La scelta ricadde sul campo occidentale, accettando tutte queste condizioni ingiuste. Questi aiuti permisero all’Italia di entrare in numerose alleanze occidentali, come l’alleanza militare conosciuta come la NATO, che consentiva ai paesi membri di difendersi dalle minacce del blocco sovietico. Il Patto Atlantico, creato nel 1949, esiste tutt’oggi, e l’Italia fu tra i primi membri fondatori.
2. La questione del confine orientale
2.1. La politica estera italiana nel secondo dopoguerra
La politica estera italiana nel secondo dopoguerra fu ispirata dal centrismo adottato all’inizio della Prima Repubblica italiana. Si parla di centrismo perché esso fu alla base delle diverse politiche, sia interne che esterne al paese.
La politica estera di ogni nazione è lo specchio della sua influenza e del suo potere sulla scena mondiale. Esistono due tipi di paesi : quelli che esercitano sovranità e quelli che seguono le nazioni sovrane. Il mondo si divide, quindi, tra stati influenti e stati influenzati. La politica estera si manifesta nella gestione delle relazioni con paesi vicini o lontani, e nel modo in cui uno stato prevede, evita e risolve i problemi.
Per l’Italia, la sua posizione geografica nel nord del Mediterraneo, collegando anche la parte settentrionale della penisola tra l’est e l’ovest dell’Europa, non è sempre stata un vantaggio. Essere un punto di snodo tra l’Europa occidentale e i Balcani ha spesso significato trovarsi in mezzo a popolazioni diverse e regimi opposti, creando un clima di conflitto e instabilità, soprattutto dopo ogni guerra, sia regionale che mondiale, a causa delle ridistribuzioni dei confini che potevano causare l’esodo di migliaia di persone, come avvenne nel secondo dopoguerra.
L’influenza del centrismo sulla politica estera italiana nel secondo dopoguerra può essere considerata significativa. Il centrismo emerse come un’ideologia politica che si posizionava al centro dello spettro politico, cercando di bilanciare le posizioni di sinistra e di destra. Il centrismo politico, rappresentato da partiti come la Democrazia Cristiana, ebbe un ruolo chiave nella conduzione della politica estera italiana, impegnandosi nella creazione di una solida integrazione europea e nel rafforzamento dei legami con gli Stati Uniti, mantenendo al contempo un approccio equilibrato nei confronti dell’Unione Sovietica.
In generale, il centrismo influenzò la politica estera italiana nel secondo dopoguerra, promuovendo l’integrazione europea e un equilibrio nelle relazioni tra est e ovest, contribuendo alla stabilità e alla prosperità del paese. Tuttavia, la credibilità di questa politica fu messa in discussione quando una parte degli italiani si trovò a vivere come rifugiati nel proprio paese, privi di dignità, e con una vita che avrebbe dovuto essere protetta dallo stesso stato che proclamava sempre la prosperità e la stabilità dei suoi cittadini. La realtà, però, deve essere trasformata dai fatti, non da parole vuote.
Come accennato in precedenza, uno dei problemi principali per l’Italia fu la questione del confine orientale. L’Italia non riuscì ancora a recuperare Trieste, una città vicinissima ai Balcani, dove convivevano diverse etnie : slavi e latini, italiani, croati e sloveni. Trieste soffrì sotto la dittatura jugoslava di Tito, e la popolazione si trovò in una situazione gravissima. Il totalitarismo opprimeva tutti, in particolare gli abitanti di lingua italiana nella città dell’Istria, causando, nell’arco di pochi anni, la fuga di 30.000 persone nel cosiddetto « Esodo Istriano », noto anche come « Esodo giuliano-dalmata ».
La nuova sfida per la Repubblica Italiana passava per altre tappe, come il trattato di Parigi, che verrà esaminato nel prossimo punto.
2.2 I trattati di pace di Parigi del 1947
I trattati di pace di Parigi del 1947 sono accordi firmati nella capitale francese tra l’Italia e le potenze alleate, a seguito della conferenza di pace tenutasi a Parigi tra il 29 luglio e il 15 ottobre 1946. Il trattato richiedeva all’Italia di restituire alla Jugoslavia l’Istria, comprese le città di Fiume e Zara. Gli abitanti si trovarono di fronte a una nuova realtà dopo brevi trattative relative al caso dell’esilio slavo-croato, avvenuto nel corso di due decenni.
Al contrario, l’esodo degli italiani dopo il 1945 fu perlopiù direttamente legato alle scadenze definite dalla diplomazia internazionale : all’entrata in vigore del trattato di pace, alla fine del Territorio Libero di Trieste e ai tempi previsti per esercitare l’opzione. L’esodo italiano avvenne in un periodo di tempo limitato rispetto a quello a disposizione per l’esilio jugoslavo. Questo fatto, insieme alle diverse modalità di insediamento di italiani e slavi, nonché a una differenza quantitativa tutt’altro che insignificante, contribuì a far percepire la dimensione della fuga e della migrazione in modo molto diverso. (Wörsdörfer Rolf. 2009 : 298)
Ci sono altri fattori che possono spiegare la situazione internazionale e che hanno contribuito a questo fallimento della diplomazia italiana. Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, le grandi potenze e le loro diplomazie trattavano l’Italia come se fosse ancora guidata dal regime fascista, e avevano tutti i mezzi per farlo, poiché l’Italia era tra i paesi più devastati dalla guerra e la sua voce non veniva mai presa in considerazione. L’Italia si trovò così in una situazione sfavorevole.
Tutti i trattati di pace furono negoziati nella capitale francese. Come già detto, dopo ogni guerra ci sono cambiamenti geopolitici non solo per i confini dei paesi coinvolti nel conflitto, ma anche per le loro colonie. La Francia coloniale, con numerose colonie, soprattutto in Africa, aveva la possibilità, in quanto paese ospite di queste trattative, di influenzare e ostacolare ogni tentativo di risoluzione del confine orientale dell’Italia, al fine di impedire investimenti e interventi italiani in Africa.
Tra le cause di questo fallimento diplomatico vi fu l’ex regime fascista, che fu una vera dittatura, seminando terrore attraverso atti violenti e criminali commessi dalle sue milizie segrete contro gli innocenti. Questo regime diede all’Italia una pessima immagine sulla scena mondiale. Sebbene il paese sia successivamente diventato membro del Mercato Comune Europeo e della NATO, l’Italia è rimasta una potenza regionale, mai grande come la Francia, che aveva ancora colonie che la rifornivano di materie prime per la ricostruzione del paese.
Un altro motivo fu la posizione geopolitica dell’Italia, che rese la risoluzione di qualsiasi problema difficile, se non impossibile. Il nord-est dell’Italia è una regione sensibile, soprattutto nella zona di Trieste, che fungeva da punto di collegamento tra due mondi diversi : un mondo orientale, rappresentato dai Balcani, e un mondo latino, rappresentato dall’Italia. Due culture diverse, con un plurilinguismo in cui si parlavano dialetti locali insieme all’italiano, allo sloveno e anche al croato. Non bisogna dimenticare che la maggior parte dell’arcipelago triestino si trovava già nelle terre jugoslave, occupate dalle forze di Tito.
La Venezia Giulia si trovava, già dai primi giorni di maggio 1945, di fatto separata dal resto d’Italia, essendo stata occupata dall’Armata Popolare Jugoslava, giunta prima dell’arrivo dei reparti anglo-americani. Questa occupazione influenzò profondamente gli avvenimenti successivi, pregiudicando le aspettative della popolazione italiana, che cercò, inutilmente, di far valere le proprie ragioni davanti alle potenze vincitrici. La regione giuliana venne visitata nel marzo 1946 da una commissione interalleata avente lo scopo di delineare i confini tra l’Italia e la Jugoslavia. Ne facevano parte delegati inglesi, americani, francesi e russi. Al termine della loro visita, ogni delegazione fece una proposta in linea con la volontà dei propri governi. Le linee ipotizzate differivano molto l’una dall’altra, e il risultato finale, deciso a Parigi, con la cessione della gran parte della regione alla Jugoslavia e la creazione del T.L.T., sancì l’abbandono da parte italiana di territori che per secoli avevano gravitato nella sfera culturale italiana. (Rumici Guido 2012 : 12)
Un altro punto che contribuì al fallimento fu il numero delle comunità italiane, inferiore rispetto a quelle slave. Un ulteriore motivo fu il periodo delle trattative, che fu molto breve e coincise con la formazione dell’Assemblea Costituente e il famoso referendum della Repubblica del 1946. Di conseguenza, il nuovo Stato si concentrò principalmente sulle riforme politiche.
Le parole vuote dei politici italiani, che usavano espressioni come « buon vicinato », « amicizia », « storia » e « interesse comune », rivelarono che, per l’Italia, il suo bel paese e la sua posizione geografica erano stati sempre sfruttati come una barriera naturale contro l’avanzamento dell’Unione Sovietica e del blocco orientale. Tuttavia, la tragedia degli esuli istriani trovò soluzione solo attraverso decisioni concrete, non con leggi, trattati e discorsi infuocati. Gli italiani dovettero capire che questi paesi, che si dichiaravano amici, intervenivano solo in due casi : quando c’era un interesse diretto o quando erano minacciati. Senza dimenticare che l’Italia aveva una storia di tradimenti e guerre disastrose con paesi che fingevano di essere alleati, come la Francia, che tradì l’Italia con trattati segreti.
Si può anche attribuire la colpa alle grandi potenze, come gli Stati Uniti, dove negli uffici di New York si discuteva di diritti umani, democrazia e del diritto di vivere in pace, ma la realtà in Italia non rispecchiava le idee di coloro che fingevano di essere i difensori degli innocenti.
3. Il problema degli esuli istriani attraverso il quotidiano La Stampa
Dopo aver spiegato e fornito un quadro generale sulla storia del problema degli esuli istriani nel contesto nazionale e internazionale, passo alla parte operativa, che divido in due sezioni : una introduttiva, per trattare il giornale stesso, e una seconda analitica, per leggere, analizzare e criticare il contenuto del quotidiano torinese in relazione alla nostra problematica principale.
3.1. Il giornale La Stampa : storia e caratteristiche
Il quotidiano La Stampa è un giornale politico italiano a diffusione nazionale, con sede a Torino. L’attuale direttore è Massimo Giannini. Fu fondato pochi anni dopo l’unificazione dell’Italia, nel 1867 a Torino, la prima capitale dell’Italia unita. La Stampa fu originariamente fondata con la testata « Gazzetta Piemontese » da V. Bersezio.
Per parlare di qualsiasi giornale e analizzarne il contenuto, è necessario considerare diversi aspetti, come l’esame della linea editoriale, il modo in cui vengono presentate le notizie, e cercare di comprendere l’orientamento politico o le posizioni ideologiche del giornale e come queste influenzano la selezione e la presentazione delle notizie. Inoltre, è fondamentale considerare il contesto politico e sociale in cui il giornale opera, poiché le notizie possono essere influenzate da agende politiche esterne, interessi commerciali o dalla posizione politica del lettore. È utile anche consultare diversi articoli sullo stesso argomento per fare un confronto e valutare le differenze. Infine, è importante sapere a quale tipo di lettori sono destinati questi articoli, al fine di avere una visione profonda e critica del contenuto, evitando generalizzazioni troppo rapide o pregiudizi. Questo lavoro richiede tempo, pazienza e una lettura attenta degli articoli.
La Stampa è un giornale di centro-sinistra ed è uno dei più antichi d’Italia. Le sue informazioni sono destinate a tutte le categorie della popolazione, ma non si può esprimere un giudizio definitivo senza aver consultato il giornale, soprattutto considerando la varietà dei temi trattati.
3.2. Analisi critica della tragedia degli esuli istriani attraverso il quotidiano La Stampa
In questa parte operativa, ho cercato di leggere attentamente per arrivare a un risultato oggettivo. A tal fine, abbiamo selezionato alcuni articoli pubblicati nel periodo storico tra il 1945 e il 1953, rispettando l’ordine cronologico delle date di uscita di ciascun articolo.
Il primo articolo fu scritto pochi mesi dopo la fine del secondo conflitto mondiale, la domenica del 28 ottobre dello stesso anno. L’inviato documentò, attraverso fotografie, i crimini contro l’umanità delle “foibe”, commessi dalle autorità jugoslave contro la popolazione italiana dal 1943 fino alla fine della guerra, nel maggio del 1945. L’inviato raccontò con tristezza come furono ritrovati molti cadaveri, e nonostante la guerra fosse finita, l’articolo mostrò lo shock ancora presente negli occhi degli istriani dopo questo “olocausto” jugoslavo.
L’articolo descrisse l’atrocità dei partigiani jugoslavi e la loro disonestà, poiché non rispettarono l’armistizio firmato e continuarono a seminare il terrore gettando ancora migliaia di istriani nelle foibe. A tal proposito, il giornale scrisse :
« Sulle foibe e sul cupo mistero che le circonda ha già scritto il vostro inviato : migliaia sono le vittime che questi antri infernali hanno inghiottito nel settembre del 1943 e nel maggio di quest’anno, ma il terrore che ancora oggi domina le popolazioni delle zone carsiche e istriane ha impedito che si potesse fare luce sugli orrendi delitti compiuti da una masnada di delinquenti che hanno approfittato delle situazioni createsi dopo l’armistizio e dopo la sconfitta delle forze nazifasciste per poter dar libero sfogo a un bestiale odio anti-italiano ed eseguire vendette personali. » (La Stampa 1945, 85 : 1)
L’articolo non incolpò solo le forze paramilitari, ma anche la stampa jugoslava, accusata di aver condotto una propaganda di demonizzazione contro tutto ciò che era italiano. Dunque, posso concludere che questo articolo intendeva documentare la situazione umana degli istriani, gli atti terroristici commessi contro di loro e, infine, incolpare gli jugoslavi di tradimento dei patti internazionali, di crimini di guerra contro innocenti e di propaganda attraverso la loro stampa contro il gruppo etnico degli istriani italofoni.
Il secondo articolo utilizzò per la prima volta la parola “profughi istriani” per fare riferimento alle ondate di persone arrivate nella capitale italiana. L’articolo fu scritto solo pochi mesi dopo la firma del Trattato di Parigi del 1947, definito come un trattato di pace mutilato, poiché tra le sue conseguenze vi fu il dramma degli esuli istriani giunti a Roma. In questo contesto, il giornalista Renato Caniglia afferma :
Roma è divenuta in questi giorni un centro di smistamento dei profughi istriani e dalmati verso il sud. L’esodo dalle terre che, in forza del trattato di pace, verranno cedute alla Jugoslavia va fortemente crescendo man mano che ci avviciniamo alla data della firma e a quella in cui, per effetto delle rispettive ratifiche, esso entrerà in pieno vigore. Migliaia di connazionali si addensano perciò anche nella capitale, oberando il Comitato Giuliano e creando una serie di intricati problemi ospedalieri, logistici e assistenziali. (Renato Caniglia 1947, 26 : 1)
Il giornale accusò in modo indiretto i firmatari del trattato di pace, poiché, secondo l’articolo, la causa principale di questa nuova realtà furono le decisioni dello stesso trattato, soprattutto quando vide che la capitale fu invasa da grandi gruppi di istriani, e la città eterna, nonostante le sue capacità e le infrastrutture ospedaliere, non riuscì a ospitare il grande numero di rifugiati.
L’articolo parlò anche della grave situazione umana dei rifugiati provenienti dall’Istria, rappresentata con la parola “dramma”, per descriverla come un avvenimento tragico. Il giornalista raccontò le vicende con profonda tristezza, usando parole significative come dolore, assedio, povera gente.
Il giornalista esaltò in qualche modo lo stato italiano nella gestione di questa nuova crisi umanitaria, citando iniziative come quella dell’apertura della “Casa del bambino giuliano-dalmata”. Tuttavia, questo punto risulta contraddittorio, poiché l’Italia faceva parte dei paesi firmatari del trattato di pace e si assumeva almeno una minima responsabilità per le decisioni prese da tutti i membri delle stesse trattative.
Alla fine, il giornalista fece un appello alla solidarietà e alla generosità dei connazionali, senza distinzione di partito, poiché la vedeva come una causa nazionale che toccava tutti i cittadini italiani, i quali dovevano pensare ad aiutare gli istriani senza badare al proprio orientamento politico, pensando solo in modo umano.
Il terzo articolo del 1950 fu intitolato “Le tragiche giornate degli italiani dell’Istria”. L’inviato speciale a Trieste parlò di una continua politica di terrore jugoslavo contro gli istriani e delle iniziative prese dalle autorità istriane per salvarsi dal terrore. Il giornale denunciò le continue persecuzioni jugoslave che, secondo lo stesso articolo, portarono al fallimento delle elezioni, le quali avrebbero potuto rappresentare un atto democratico di libera scelta e avrebbero potuto portare almeno a una certa stabilità e a un minimo di libertà di espressione.
L’articolo fece un esplicito appello alle organizzazioni internazionali, come l’ONU e il suo organo, il Consiglio di Sicurezza, affinché intervenissero per bloccare gli atti commessi dai titini contro queste minoranze istriane. Il Consiglio di Sicurezza fu chiamato in causa perché, essendo un organo essenziale dell’ONU, aveva il compito di risolvere con tutti i mezzi disponibili qualsiasi problema, soprattutto quelli con una dimensione di sicurezza. In questo contesto, l’inviato speciale disse :
« Il sindaco di Trieste, unitamente al C.L.N. dell’Istria, ha trasmesso una protesta telegrafica all’ONU, in cui, stigmatizzando la tragica sorte che incombe su quegli abitanti, afferma : nel nome dei morenti, dei deportati, nel nome dell’intera popolazione oppressa triestina, chiediamo al Consiglio di Sicurezza di intervenire energicamente per ripristinare i diritti umani e i principi fondamentali della civiltà. »(Lilli Virgillio 1950,160 : 3).
Come risultato di questa politica cieca, molti candidati nella città di Capodistria diedero le dimissioni in segno di protesta contro quelli menzionati nell’articolo come “i criminali di Tito”.
Secondo l’articolo, la situazione era gravissima, e accusò le autorità jugoslave usando espressioni come “terrore jugoslavo”, “aggressioni”, “violenze”, “saccheggi” e “rapine”.
L’ultima parte dell’articolo fu dedicata a Tito ed intitolata “La manovra di Tito”, per mostrare e incolpare Tito e i suoi agenti, che sfidarono non solo l’Italia, ma tutta la comunità internazionale. La parola “manovra” mostrò come Tito ingannò tutti, senza rendere conto alle decisioni dell’ONU e del Consiglio di Sicurezza. La parola “manovra” fu usata anche per riferirsi al ritorno di uno degli uomini di Tito, Enrico Gobbo, un criminale molto pericoloso, condannato a 28 anni di prigione. Secondo l’articolo, lui fu il protagonista della strage di Schio, avvenuta due mesi dopo la fine della guerra, senza rispettare il cessate il fuoco. Lo stesso articolo affermò che il comando a Belgrado fu responsabile dell’ordine di fucilare gli innocenti, e smentì le dichiarazioni delle autorità jugoslave che sostenevano che gli uccisi fossero stati vittime di titini di origine italiana e che la Jugoslavia non fosse colpevole.
In questo contesto di intensa propaganda da entrambi i lati del conflitto, non si seppe esattamente chi fosse veramente il colpevole. L’unica cosa certa è che, attraverso le parole usate nell’articolo, ho notato che l’autore si sentiva debole e si trovava tra due realtà che non volle esplicitare. La prima realtà è che provava una sorta di nostalgia verso il fascismo, che, nonostante la sua cattiva reputazione come dittatura, aveva avuto una forza minima per bloccare i nemici al confine orientale. L’altra realtà è che non poteva accettare che i colpevoli fossero i partigiani italiani, che condividevano la stessa ideologia dei titini, et donc che la versione jugoslava fosse corretta. Se l’articolo accusava gli italiani, l’autore si sarebbe trovato d’accordo con i titini, che erano i suoi nemici e i nemici degli alleati dell’Italia. L’articolo giocava con le parole per stimolare le coscienze e contribuire alla propaganda occidentale contro l’Oriente, senza dare importanza alle famiglie degli italiani defunti.
Nel quarto articolo, venne usata per la prima volta la parola “esodo istriano”. L’inviato de “La Stampa” a Trieste documentò il momento dell’abolizione del blocco tra Trieste e la zona B. In questo contesto, disse :
“La riapertura delle comunicazioni tra Trieste e la zona B, avvenuta oggi dopo 24 giorni, ha costituito un autentico giorno di festa per la popolazione istriana, che ha potuto raggiungere la nostra città per rifornirsi di ogni genere indispensabile. Si calcola che parecchie centinaia di istriani siano giunti oggi con i vaporini e con ogni mezzo disponibile.”(La Stampa 1952, 59 : 2)
Nell’articolo, l’inviato descrisse la gioia negli occhi degli istriani dopo la decisione di riaprire il blocco, poiché a Trieste si trovava ogni tipo di merce e gli istriani non si sentivano stranieri, ma italiani, fratelli della stessa terra. La riapertura fu anche una vera occasione per tante famiglie di abbandonare le loro terre e case, fuggendo dalle interrogazioni e dalle persecuzioni della polizia segreta jugoslava. Nell’articolo vennero mostrati due tipi di persone : coloro che vollero restare con il minimo indispensabile e coloro che approfittarono di questa occasione per fuggire definitivamente dalla terra natia, vedendo il loro futuro lontano dall’Istria. Era una questione di scelta personale e ciascuna di queste persone aveva le sue ragioni per restare o partire. Il concetto di libertà differiva tra i due gruppi : uno vedeva la sua libertà nel potersi spostare a Trieste, l’altro nel lasciare completamente la regione, vedendo la loro terra come una prigione a cielo aperto.
L’articolo è molto corto e le fonti di informazione sono ridotte. L’inviato de “La Stampa” non poté raggiungere la zona B, controllata e chiusa per 24 giorni dalle autorità jugoslave, e quindi non ebbe la possibilità di fornire delle novità ai lettori del quotidiano.
Il quinto articolo uscì solo qualche giorno dopo il quarto. Fu in qualche modo una continuazione dell’articolo precedente. Questa volta, dopo la riapertura della comunicazione tra le due regioni, l’inviato de “La Stampa” poté fornire delle informazioni riguardanti la situazione umana in Istria, utilizzando per la prima volta parole molto profonde, pesanti e significative come la parola “terrorismo”. Fu un’accusa diretta contro gli atti commessi dai jugoslavi contro gli innocenti in Istria. La stampa lo presentò con queste parole :
“Alle violenze di questi giorni contro gli italiani è seguita, nella zona jugoslava, l’opera sotterranea della polizia segreta, che ieri notte ha prelevato decine di persone dalle abitazioni per una serie di interrogatori politici. A Capodistria, la locale radio sta trasmettendo in continuazione, con la tecnica del martellamento psicologico, nozioni, risoluzioni, programmi e resoconti di manifestazioni, basando tutte le sue emissioni sulla propaganda politica. È evidente l’obiettivo di instaurare, così, il terrore nella popolazione italiana e di costringere tutti coloro che non simpatizzano per Tito a fuggire dalla zona.” (La Stampa, 1(1), 42)
Dunque, l’articolo accusava lo Stato di Tito di manipolazione e propaganda attraverso la radio di Capodistria. Il regime terrorista fu, secondo l’articolo, incolpato di violazioni dei diritti fondamentali degli abitanti della zona, come i pescatori. Il regime jugoslavo giocò tutte le sue carte, interrogando tutti e manipolando la gente attraverso una propaganda simile a quella fascista, tutto ciò solo per accelerare l’esodo della popolazione istriana italofona.
Lo stesso regime, secondo l’articolo, violò in modo eccessivo tutte le forme di applicazione della legge, come nel caso dei pescatori di Capodistria, che lottarono per sfamare le loro famiglie. A Capodistria furono imposte restrizioni ai pescatori come se fossero dei fuorilegge.
Rispetto agli articoli precedenti, quest’articolo volle mostrare l’immagine senza filtro della dittatura titina, con l’uso di parole nuove e profonde. L’articolo fu quindi pieno di accuse contro gli jugoslavi, che fecero ciò che vollero senza nemmeno fare riferimento alle proprie leggi. Il titolo, “Terrorismo in Istria”, può dare un’idea di come la situazione si sia aggravata e stia peggiorando di anno in anno.
Il sesto articolo fu scritto un anno dopo, in cui il corrispondente de “La Stampa” pose una semplice domanda : “Come si vive in Istria ?”, mostrando la gravità della situazione economica della popolazione istriana a Gorizia, Fiume e nelle vallate dell’Isonzo e del Vipacco.
All’inizio dell’articolo, il corrispondente parlò dell’importanza del raduno di Okroglika e del valore storico della città per i jugoslavi, dicendo :
“L’attenzione e l’interesse generali sono qui rivolti verso il grande raduno di Okroglika, che avrà luogo domenica prossima e intorno al quale stanno rullando assordanti i tamburi della propaganda jugoslava nella vallata del fiume Vipacco, a pochi chilometri al di là della linea di demarcazione. La sua scelta come sede di questa imponente manifestazione non è stata casuale : infatti, a Okroglika, nel 1945, fu proclamata l’annessione di Trieste e dell’intera Venezia Giulia alla Repubblica Federativa Jugoslava.” (La Stampa, 1(1), 45.)
Il corrispondente, dopo aver presentato l’importanza storica della città, aggiunse che l’organizzazione di un tale raduno rappresentava un chiaro atto intimidatorio nei confronti della popolazione italiana, che viveva in povertà e miseria sotto le continue provocazioni della polizia segreta jugoslava e la propaganda dei jugoslavi.
L’articolo citò qualche informazione presa dal giornale locale “La Voce del Popolo”, ma la più toccante fu quella della crisi che colpì tanti magazzini nella regione. Secondo l’articolo, la regione si trovava di fronte a questo marasma economico a causa delle autorità jugoslave, e dove l’unica vittima era, come sempre, il povero popolo.
L’articolo dedicò una parte agli studenti universitari, che soffrirono anch’essi a causa delle persecuzioni delle autorità e vennero censurati severamente per aver usato la parola “collega” invece di “compagno” nelle loro riunioni. Questa ultima parola mostrava un segno di speranza : la presenza segreta di organismi di intellettuali che lottavano contro la dittatura e comunicavano attraverso un linguaggio codificato.
Per riferirsi alla gravità della situazione in Istria, e più precisamente a Gorizia, il giornale utilizzò parole dure e profonde come disagio, marasma economico, crisi, condizioni dure, panico. Queste parole rappresentano il rammarico del corrispondente per la situazione raggiunta, soprattutto a Gorizia, che un tempo era sempre florente. In questo articolo si trovano storie di persone di diverso livello sociale, ma unite dalle stesse condizioni di vita, una vita quotidiana piena di molestie.
Il settimo articolo, questa volta, parlò dei profughi, ma per la prima volta non tutti erano italofoni. Parlò di persone provenienti dai Balcani che arrivarono a Trieste. L’inviato speciale disse :
“Sono quasi cinquemila i profughi dell’Europa orientale che a Trieste hanno trovato rifugio all’ombra delle bandiere d’Inghilterra e degli Stati Uniti. Molti sono qui da anni.”
Ho notato che l’articolo vuole mostrare la crudeltà del regime jugoslavo che causò l’esodo di migliaia di persone dall’Europa orientale verso l’Italia, citando per la prima volta, insieme ai profughi istriani, testimonianze di profughi di altre nazionalità, come russi, cechi, bulgari, albanesi e ungheresi. Nonostante le differenze religiose (ortodossi, cattolici, musulmani e atei), c’era una grande convivenza tra loro.
Ho osservato che l’articolo è pieno di vere testimonianze, tutto questo per mostrare la drammaticità della situazione nei campi profughi a Trieste, dove il giornalista ha fatto uso di parole di grande impatto, come : appelli disperati, rifugio scomodo, fughe angosciose, paura tra i profughi, preoccupazioni.
L’articolo mostra che i paesi del blocco orientale, ossia quelli che seguono il modello russo, non sono paesi adatti per vivere. Questo lo afferma il giornale, forse perché l’Italia non poteva nemmeno accogliere tutti gli istriani e si trovava ancora di fronte alla necessità di accogliere rifugiati non italiani. Un altro motivo di queste affermazioni è la propaganda contro i titini, al servizio degli interessi del blocco occidentale di cui l’Italia faceva parte, per arrivare a sostenere che i paesi occidentali rappresentano un modello di convivenza e di rispetto verso l’altro, indipendentemente dalle sue origini o dalla sua religione. L’Italia, nonostante i problemi interni, accoglie queste persone, mostrando nel contempo come si stia studiando una proposta dell’ONU per trasferirli nell’Italia meridionale, ossia verso il sud.
L’articolo cerca di rendere questa causa una questione internazionale, per vari motivi, tra i quali attirare l’attenzione delle comunità e degli organismi internazionali, come l’ONU e il Consiglio di Sicurezza, ma anche per lanciare l’allarme sulla gravità della situazione ed evitare ulteriori ondate di rifugiati in futuro. Alla fine, forse, per difendere la politica adottata dal regime nella gestione delle varie sfide, come quella del confine orientale e degli esuli istriani.
Conclusione
La Seconda Guerra Mondiale è considerata il conflitto più disastroso nella storia umana. Dopo la fine della guerra si registrarono 45 milioni di morti, una cifra cinque volte superiore a quella della Prima Guerra Mondiale. L’Europa fu il teatro principale delle grandi battaglie, battaglie che colpirono più i civili che i militari. I nazisti, insieme ai loro alleati come i fascisti in Italia, conseguirono molte vittorie e occuparono molti paesi europei. Tuttavia, la situazione cambiò con l’intervento degli Stati Uniti e i famosi sbarchi in Normandia, Sicilia e Nordafrica. Questo intervento capovolse le posizioni, dando un soffio di speranza ai partigiani antifascisti in Italia, che aiutarono gli angloamericani nella liberazione del paese. Lo sgancio della bomba atomica in Giappone segnò la fine della guerra e l’inizio di una nuova epoca nella storia contemporanea : l’epoca del bipolarismo.
L’Italia, essendo parte dell’Europa, entrò in guerra nel 1940, un anno dopo l’inizio, a fianco della Germania nazista di Adolf Hitler. Il leader fascista Benito Mussolini riuscì, con i suoi discorsi infuocati, a mobilitare la popolazione, portando il paese in guerra contro gli Alleati.
Dopo la fine della guerra e la sconfitta del nazifascismo in Europa, l’Italia si trovò in una situazione sfavorevole, un paese totalmente distrutto, con città in rovina e cadaveri ovunque. Una volta finita la guerra, insieme ai problemi ereditati dal sistema fascista, nacquero nuovi problemi sociali, economici e politici come risultato del secondo conflitto mondiale. Tra i problemi ancora irrisolti c’era la questione del confine orientale, che riemergeva dopo ogni conflitto, poiché ci furono sempre nuovi accordi e nuove ridisegnazioni delle frontiere.
Questa volta, nonostante l’Italia fosse considerata tra i Paesi vincitori, il problema del confine orientale diede inizio a un nuovo episodio nelle trattative per la delimitazione del confine, ossia il problema dei rifugiati, detti “esuli istriani”. Questo tema è stato trattato da molti storici, ma nel mio caso l’ho affrontato attraverso la visione giornalistica del giornale “La Stampa” nel periodo storico degli inizi della prima Repubblica Italiana, tra il 1945 e il 1953, cercando di leggere, criticare e osservare come gli articoli del quotidiano torinese di quel periodo trattassero il tema degli esuli istriani e come la sua linea editoriale influenzasse la presentazione delle informazioni.
Attraverso una lettura attenta e un’analisi critica degli articoli, sono riuscito in qualche modo a ottenere alcuni risultati rispetto a quanto menzionato nel giornale in quel periodo. Il mondo dopo la Seconda Guerra Mondiale fu diviso in due blocchi, uno occidentale e l’altro orientale, entrambi con i propri mezzi, alleanze e propaganda. Gli occidentali si presentarono come difensori della libertà, della democrazia e dei diritti dell’uomo. In Italia fu garantita la libertà di espressione, ma nel trattare il tema degli esuli istriani, ho trovato che il giornale ebbe qualche limite, parlando in modo generale e facendo solo una trasmissione dei fatti. Nel caso degli esuli istriani, si parla sempre di un’intera regione che è Trieste.
Ho notato che La Stampa volle mostrarsi come la portavoce dello stato, forse perché si sentiva tra i più antichi quotidiani italiani o perché la sua sede si trovava a Torino, la prima capitale del Regno d’Italia. Tutti sappiamo il valore e il simbolismo del capoluogo piemontese e la sua relazione storica con la Francia. Questa vicinanza geografica potrebbe aver influenzato le informazioni fornite dal giornale e la sua linea editoriale. Ho notato questo punto nell’articolo che parlò del Trattato di Parigi del 1947, dove La Stampa mostrò la Francia come il paese difensore degli innocenti e Parigi come la capitale della democrazia.
Ho visto che La Stampa, nel trattare il tema degli esuli istriani, aveva una visione unica, incolpando sempre i titini jugoslavi, arrivando a chiamarli criminali, senza menzionare che anche i fascisti e i partigiani italiani commisero crimini di guerra contro i civili jugoslavi. Questi atti di persecuzione e di tortura commessi dagli jugoslavi furono reazioni a quanto fatto dagli italiani durante la Seconda Guerra Mondiale.
Ho notato anche che il giornale non parlò mai degli americani, inglesi o francesi, forse perché l’Italia faceva parte della NATO e del Mercato Comune. Dunque, si focalizzò di più sul programma politico del centrismo adottato dalla Democrazia Cristiana, che era in linea con le politiche di questi governi.
Ho visto che gli articoli parlarono poco del tema degli esuli istriani e, quando lo fecero, diedero la colpa agli jugoslavi, ma senza ottenere risultati. Malgrado ciò, in alcune occasioni, fecero appelli agli organismi mondiali come l’ONU e il Consiglio di Sicurezza, ma senza ricevere risposte. Secondo la mia analisi, ho visto che gli articoli preferirono fare una sorta di pubblicità al mondo occidentale.
Questa visione del giornale mostrò l’influenza degli aiuti del Piano Marshall, che resero l’Italia un paese influenzato dalla politica americana e ridussero l’influenza della politica estera italiana. La rappresentazione del tema degli esuli istriani rifletté l’influenza del blocco occidentale sulla politica estera italiana. Attraverso la mia lettura, ho notato che i fondi hanno limitato la libertà di espressione contro gli alleati dell’Italia, perché il capitalismo selvaggio non elargì prestiti senza nulla in cambio. Questi prestiti furono concessi per far aderire l’Italia alla propaganda contro i sovietici. Il giornale trattò in modo superficiale il problema degli esuli istriani, forse perché lo considerava meno importante rispetto ad altre priorità come il rilancio economico e il miglioramento delle condizioni di vita.
Alla fine, posso dire che, nonostante la loro importanza economica per l’Italia, i fondi del Piano Marshall resero il Bel Paese e la sua stampa ostaggi delle tendenze occidentali. Questi aiuti paralizzarono la risoluzione di molti problemi, e l’esempio migliore fu la questione degli
esuli istriani, che fu presentata come se fosse una causa di un altro paese. Ho notato che gli articoli, la linea editoriale e l’orientamento politico del quotidiano seguivano la stessa direzione degli interessi americani. Secondo me, gli Stati Uniti vedevano l’Italia come una barriera naturale che bloccò l’avanzata del blocco orientale e intervennero solo quando i loro interessi furono minacciati.
È vero che la strategia o la dottrina adottata dall’Italia e seguita da La Stampa nella risoluzione dei problemi del paese nel secondo dopoguerra favorì alcuni temi rispetto ad altri, e considerò il tema degli esuli istriani come meno importante, marginalizzando questo gruppo di etnia italiana. Tuttavia, quando si osserva la politica italiana di quel periodo nel suo insieme, si constata che ogni regime nel mondo classifica i temi secondo la loro importanza, e nel caso del nostro articolo, La Stampa seguì la stessa linea dei governanti. Questa linea non trovò una soluzione per gli esuli istriani, ma portò il paese a un periodo di fioritura economica che rese l’Italia la quarta potenza economica mondiale negli anni del boom economico, o del miracolo economico italiano.
Dopo aver analizzato gli articoli, ho trovato che La Stampa, essendo un giornale di centro-destra, trattò il tema degli esuli istriani in maniera abbastanza obiettiva e critica : obiettiva quando diede spazio alle testimonianze degli esuli stessi per raccontare le loro sofferenze, incolpando le autorità di Tito, e critica nei confronti degli stessi esuli, mettendo in luce le controversie politiche e territoriali legate alla questione, e dando voce a coloro che vedevano gli esuli come un problema o una minaccia per l’Italia. Sottolineò la complessità della questione, dicendo che la situazione era legata ai cambiamenti geopolitici e alle decisioni dei paesi vincitori dopo la guerra.
In ogni caso, è importante sottolineare che La Stampa, come ogni altra testata, è un organo di informazione privato, che potrebbe essere influenzato dalle posizioni politiche e ideologiche dei suoi giornalisti e proprietari. Dunque, non esiste una posizione oggettiva al cento per cento.