Introduzione
La maternità è considerata il destino specifico di ogni donna perché donna è sinonimo di maternità. È un’esperienza che quasi tutte le donne abbiano desiderato e sperimentato fin dall’infanzia nei primi gesti di cura di un fratellino o una sorellina. Il ruolo materno, dunque, sembra rimanere importante e continua a presentarsi naturale e funzionale nel campo sociale, storico e psicologico. Però, col passar del tempo la struttura della famiglia e i suoi rapporti si sono modificati, e se la grande parte delle donne considera la maternità come un’espressione di maturità e una via che porta alla felicità, altre, al contrario, vedono che questa credenza svaluti il loro stile di vita e annulla la loro identità femminile per questo decidono di allontanarsi da questo modello dominante imposto dalla società. Ma se il precetto sociale obbliga alle donne il ruolo materno per garantire eredi, per migliorare il mondo e partecipare alla vita normale, una donna che va contro questa “normalità” è considerata davvero innaturale e sbagliata ? La maternità è un ruolo che garantisce alla donna una vita completa e felice ? È l’ipotesi e il problema che, in quest’articolo, vorremmo presentare e analizzare e a cui avremmo l’intenzione di scoprirne le ragioni e le conseguenze. Questa nuova situazione delle donne e la loro scelta di una strada opposta a quella disegnata dalla madre è stata ed è rimasta ancora oggi problematica e il centro interesse di psicanalisti, sociologi e scrittori che vogliono mettere luce su cosa sono i diritti di una donna e il suo rapporto con il materno e la possibilità di sceglierlo o no. In questo caso abbiamo scelto di soffermarci sulla figura materna presentata da Sibilla Aleramo nel romanzo considerato autobiografico, Una donna. La Aleramo è una scrittrice nata dal bisogno di scrivere per esprimere sé stessa, per liberarsi, per concretizzare la sua identità e soprattutto per spiegare a suo figlio perché l’ha abbandonato sperando che quest’ultimo trova nelle sue parole la ragione per perdonarla o almeno capirla.
1. Storia di Una donna
Una donna di Sibilla Aleramo è un romanzo pubblicato in Italia nel 1906, considerato uno dei primi libri femministi italiani perché affronta il tema della condizione femminile nell’Italia degli inizi del Novecento. Il romanzo racconta la storia di una donna che si ribella contro la società del suo tempo, una donna costretta a lasciare il figlio per poter vivere interamente una vita priva dall’egoismo e dal maschilismo che hanno dominato la cultura dell’epoca. Infatti, per capire le scelte prese dall’Aleramo, bisogna prima scoprire le ragioni e le storie personali da cui era nata la sua necessità a cercare liberazione attraverso la scrittura e soprattutto rivelare i motivi che hanno spinto una madre a rinunciare al figlio e rifiutare il ruolo della maternità interrompendo il legame con la casa coniugale in cerca di libertà.
È la storia di Sibilla che, all’età di dodici anni, si trasferisce da Milano ad un paesino nel Sud d’Italia e lavora nella fabbrica del padre con cui stringe un forte legame nutrito dagli ideali trasmessi da lui ed evidenziando così, fin dalle prime pagine del romanzo, la figura paterna messa in primo piano, mentre quella materna subordinata riflette un carattere debole e sottomesso. Scoprendo la storia extraconiugale del padre, la fanciulla si rattrista e quel rapporto affettivo e forte con lui si interrompe. Così con l’assenza della madre folle che tenta di suicidarsi e il padre sempre lontano, la protagonista subisce una violenza sessuale da un impiegato della fabbrica e viene costretta a sposarlo abbandonando in questo modo la vita « libera e gagliarda » (Aleramo 2013 : 1). Il matrimonio di Sibilla non era felice e nelle sue vicende rivive il destino della madre nelle esperienze femminili : la maternità, la solitudine, la tristezza ed infine il tentato suicidio che porta alla sua nuova nascita dedicandosi alla scrittura attraverso l’esperienza nel mondo politico e culturale delle donne del tempo. Però, il soggiorno a Roma e il lavoro per la rivista hanno dato a Sibilla una forte consapevolezza della sua identità che alimenta dentro di lei il desiderio di liberarsi e di una voglia definita da lei stessa « un comando cui dovevo obbedire o morire. » (Aleramo 2013 : 157), decidendo così di abbandonare il figlio e il marito violento e possessivo che la obbliga ad una vita di sofferenze e di permanenti paure.
2. Le equivocità della maternità
2.1. L’edonismo o la maternità contro la libertà ?
Gli avvenimenti di questo romanzo autobiografico convivono, quindi, con il contesto socio-culturale del tempo perché i temi sociali sono gli argomenti su cui si concentra l’attenzione dell’autrice. Tornando indietro e indagando la situazione sociale delle donne, scopriamo che ha affrontato notevoli modificazioni lungo i secoli. Prima, all’interno del sistema di quasi ogni paese, la donna era costretta ad un ruolo tradizionale, quello di educare i bambini e curare gli anziani, quindi aveva un ruolo materno e riproduttivo in quanto aveva solo il compito di garantire gli eredi : « La femme devint une première servante écartée de la participation à la production sociale » (Engels 1972 : 82), e questo è ciò che ha accennato anche la scrittrice Élisabeth Badinter nel suo libro Il Conflitto :
« Avant les années soixante-dix, l’enfant était la conséquence naturelle du mariage. Toute femme apte à procréer le faisait sans trop se poser de questions. La reproduction était à la fois un instinct, un devoir religieux et un autre dû à la survie de l’espèce. » (Badinter 2010 : 17)
Ma poi, e grazie all’industrializzazione e soprattutto al movimento femminista che ha proposto il miglioramento dei diritti sociali e politici della donna, essa viene inserita nel mondo del lavoro e delle fabbriche e così ottiene, infine, una certa importanza nella società. La donna così aspira alla conquista dei suoi diritti essenziali, libertà e uguaglianza con gli uomini, che lei pensa di poter conciliare con la maternità, ma in realtà le si apre una grande diversità di modo di vita in cui può dare la priorità alle sue ambizioni personali, soddisfare il suo desiderio di maternità, con o senza attività professionale o rallegrarsi di una vita matrimoniale senza figli. Questa nuova situazione cambia i veri motivi della riproduzione e della maternità mettendo fine ai vecchi fondamenti di destino e necessità naturale come lo approva la Badinter :
« L’individualisme et l’hédonisme propres à notre culture sont devenus les premiers motifs de notre reproduction, mais parfois aussi de son refus. Pour une majorité de femme, la conciliation des devoirs maternels qui ne cessent de s’alourdir et de leur épanouissement personnel reste problématique. » (Badinter 2010 : 10)
2.2. Perché rifiutare la maternità ? Motivi socio-culturali e psicologici
Se la natura impone di fare bambini per la sopravvivenza della specie umana, noi dobbiamo obbedire a questa natura ? La donna o “la femmina” non ha la possibilità di scegliere ? Per rispondere a queste domande bisogna prima ricercare i fattori e le ragioni che portano al rifiuto della maternità o, più tardi, all’abbandono dei figli.
La decisione di avere un bambino è, dunque, la più difficile e travolgente scelta che un essere umano possa prendere durante la sua vita perché è un impegno perdurante che richiede tanta pazienza e forza fisica e morale per poter mettere il bambino al primo posto. Eppure, recentemente, la « disuguaglianza domestica » e la vita coniugale che avvantaggia l’uomo e svantaggia la donna diventano più aggravati dalla maternità che impone alla donna anche l’educazione dei bambini. considerare
« […] mais l’injustice ménagère subsiste : la vie conjugale a toujours un coût social et culturel pour les femme, tant sur le partage des taches domestique, l’éducation des enfants, que sur l’évolution de leur carrières professionnelles et sa rémunération. » (Badinter 2010 : 25)
Infatti, per Luce Irigaray, poiché il lavoro delle donne non ha sempre avuto il carattere di reclusione e di isolamento sociale, allora questo – come lo spiega Freud- si traduce in mancanza di « interesse sociale » e « inferiorità sociale » delle donne, e così il carattere della gestione del nucleo familiare passa dal pubblico al privato :
« C’est avec la famille patriarcale, plus encore la famille individuelle monogamique, que la direction du ménage « perdit son caractère public » et se réduisit à un « service privé ». » (Irigaray 1974 : 151)
Inoltre, la disuguaglianza domestica è dovuta anche, in una certa misura, alla crisi egualitaria tra l’uomo e la donna che la Badinther vede come conseguenza di una crisi economica che ha impedito ad una grande parte di donne -soprattutto quelle meno formate- di lavorare e, quindi, di spingerle a rimanere in casa a prendersi cura dei bambini e dedicarsi ai lavori domestici. (Badinter 2010 : 10-1)
Ma, la crisi economica può essere anche, da un altro lato, una ragione per rifiutare di avere figli in quanto la coppia non si sente in grado di assicurare economicamente il loro futuro, e a volte di non essere disponibili – da parte dei padri- per condividere con le madri la responsabilità e l’esperienza in modo adeguato e con uno scambio affettivo tra di loro come lo afferma Roberto Pani, specialista e professore di psicologia clinica e psicopatologia :
« Non esiste soltanto il maternage, ma dovrebbe essere rinforzato, specialmente in un momento psico-sociologico difficile, un partenage che si esprime con caratteristiche peculiari, differenti da quelle materne, e aggiungerei in tutti i periodi storici, indispensabile alla coppia genitoriale e in genere al suo funzionamento di scambio affettivo. » (Pani 2019 : page)
Esistono altri casi in cui alcune donne, soprattutto quelle giovani e belle, rifiutano di avere figli per paura della trasformazione del loro corpo e dell’aumento di peso durante e dopo la gravidanza dando così priorità a godersi della loro femminilità fuori della responsabilità della maternità e delle sue conseguenze. Però, per molti, una donna che preferisce la passione, l’ambizione o la propria carriera a scapito della famiglia è considerata come egoista e rappresentata un modello innaturale.
3. La maternità : permanenza della donna-madre
3.1. Sibilla : donna e madre
Nel caso dell’Aleramo, soprattutto nel suo romanzo autobiografico Una donna, la scrittrice mette in luce la figura materna rappresentata da lei stessa in una società nella quale la violenza, la pressione sessuale e l’isolamento delle donne in casa sono fattori che perdurano in quell’epoca. In questo romanzo sono state presentate due figure di madri considerate opposte : la madre della protagonista e Sibilla quando è diventata madre. La prima è un modello femminile in decadenza : cioè una madre debole che affronta in silenzio l’indifferenza del marito e il suo tradimento mantenendo il proprio ruolo di madre senza limitazione : « cenerentola della casa » (Aleramo 2013 : 3) e poi, inconsapevolmente, trova nella sua follia progressiva una sorte di conforto e di pace. La seconda, essendo sua figlia e vivendo nella stessa società, è purtroppo destinata a seguire la strada che tutte le donne sono destinate a seguire, ma la protagonista decide di rompere questa catena per non ricadere negli stessi errori di sua madre prendendo decisioni, qualche volta, dolorose.
Dal matrimonio riparatore di Sibilla con l’impiegato che l’ha violentata, nasce un figlio, Walter, e all’inizio la protagonista non riesce a riconoscersi nel ruolo di madre : « Per molti giorni giacqui inerte, ripetendo piano a me stessa la parola : mamma, chiedendomi se avrei amato un essere del mio sangue » (Aleramo 2013 : 40), ma poi il rapporto tra i due diventa particolare e più esclusivo perché il figlio diviene per lei l’unica risorsa di vita : « Non vissi che di letture, di meditazioni e dell’amore di mio figlio » (Aleramo 2013 : 81). Però, Sibilla si ripiega al voler del marito geloso che la rinchiude in casa isolandola dalla vita del paese : « Per qualche tempo ancora mantenne i suoi divieti, ed io continuai a non uscire, a passare i pomeriggi chiusa a chiave… » (Aleramo 2013 : 74) e perciò essa tenta di suicidarsi, ma il suo tentativo suicidio fallisce e riproduce in lei una morte simbolica che la porta ad una nuova vita, a rinascere abbandonando la vita infelice e oppressiva con un marito egoista e aggressivo : « La mia esistenza doveva finire in quel punto : la donna ch’io ero stata fino a quella notte doveva morire. […] Come nel punto di darmi la morte io considerai il mondo e me stessa con occhi affatto nuovi, rinascendo » (Aleramo 2013 : 68). Da qui, la protagonista comincia a riflettere sul vero ruolo delle donne e del loro destino meditando più sulla maternità e dando le sue opinioni su quest’argomento quando si è trovata persa scegliendo tra la sua vita e quella del suo bambino.
« Perché nella maternità adoriamo il sacrificio ? Donde è scesa a noi questa inumana idea dell’immolazione materna ? Di madre in figlia, da secoli, si tramanda il servaggio. E una mostruosa catena. Tutte abbiamo, a un certo punto della vita, la coscienza di quel che fece pel nostro bene chi ci generò ; e con la coscienza il rimorso di non aver compensato adeguatamente l’olocausto della persona diletta » (Aleramo 2013 : 144)
Quindi, nel romanzo la maternità è accostata al sacrificio – rappresentata soprattutto dalla madre della protagonista-, nel senso che essere madre significa forzatamente sacrificare e crollare perché la società impone alla donna il compito di produttrice di figli, un « ruolo tradizionale trasmesso alle figlie attraverso la catena patriarcale, non senza responsabilità da parte delle madri » (Chemotti 2009 : 37). Sibilla rifiuta questo modello rappresentato dalla madre incapace a sostenere il colpo delle ingiustizie e aggressività maschili e dei crolli familiari, rimproverando così, non il padre, bensì la madre debole e ubbidiente : « Io non mi sentivo l’energia di giudicare mio padre […] e una parte di questi rimproveri facevo ricadere sulla madre. » (Aleramo 2013 : 38-9). Per Sibilla il ruolo di madre non completa quello della donna, anzi la loro unione, la porta ad una serie di contraddizioni che fanno di lei una persona difettosa e squilibrata :
« In me la madre non s’integrava nella donna : e le gioie e le pene purissime in essenza che mi venivano da quella cosa palpitante e rosea, contrastavano con un’instabilità, un’alternazione di languori e di esaltamenti, di desideri e di sconforti, di cui non conoscevo l’origine e che mi facevano giudicare da me stessa un essere squilibrato e incompleto » (Aleramo 2013 : 52)
Però, è molto difficile segnare la linea che separa la donna in madre o in moglie perché ovviamente sono cose indivisibili, il cui equilibrio si ottiene solo con l’armonia dei due ruoli. Invece, l’Aleramo vede la maternità in un altro modo, dice Saveria Chemotti :
« La maternità viene vissuta dalla protagonista anonima come mutamento ed “espansione di sé”, potenzialità naturale e non il mezzo di riproduzione biologica che era l’obiettivo principale del matrimonio e diventava vincolo che fagocitava o soggezione che annullava l’identità femminile dentro steccati invalicabili ». (Chemotti 2009 : 37-8)
Quindi, secondo Sibilla, il forte legame tra madre e figlio è programmato, innato, non acquisito o imposto dalla società, ma prima di tutto la madre deve essere una donna nel senso proprio della parola e cioè una persona umana che non deve perdere se stessa e annullare la sua identità femminile, perciò la protagonista prende la decisione di abbandonare il figlio adorato per poter vivere la sua vita e godersi della sua libertà lontana dall’immagine depressa e ammalata della madre che aveva già attraversato « le esperienze del femminile : il dolore, l’apatia, la follia ». (Zancan 1995 : 122)
3.2. Il rapporto madre-figlio
Nel romanzo, il figlio rappresenta una risorsa di gioia e di preoccupazione in quanto la protagonista aveva infine « uno scopo nell’esistenza, un dovere evidente. » e aggiunge l’autrice :
« Non solo mio figlio doveva nascere e vivere, ma doveva essere il più sano, il più bello, il più buono, il più grande, il più felice. Io gli avrei dato tutto il mio sangue, tutta la mia giovinezza, tutti i miei sogni : per lui avrei studiato, sarei diventata io stessa la migliore. » (Aleramo 2013 : 44)
Quindi, è un personaggio che affianca la protagonista e la aiuta a stabilire le sue idee di liberazione e raffigura anche per lei un appoggio morale casuale per realizzare la sua parola, perché attraverso le annotazioni e gli appunti scritti da lei che sono legati alla nascita e la crescita del figlio, l’autrice segna per la prima volta il suo esordio di narratrice.
Allora, si può dire che c’è un intreccio tra il tema della maternità e quello della scrittura perché il secondo è nato come conseguenza del primo : l’amore per il figlio atteso e la sua nascita hanno maturato in lei la voglia di scrivere, di esprimere se stessa e soprattutto rendere concreta la sua identità tramite le parole, quello che indica una nuova nascita della protagonista.
« La scoperta del valore della scrittura come indagine e testimonianza, come rivelazione, coinciderà, nel romanzo, con la nascita del figlio e la maternità, come essenza della “originale” individualità della protagonista, verrà salutata “come un evento sacro”, una rinascita capace di dare la vita e la parola, riconnettendo metonicamente corpo e linguaggio, contestando la legge del padre e rendendo possibile la dicibilità dell’esperienza femminile con le implicazioni che una simile intuizione trae con sé a livello simbolico. » (Chemotti 2009 :23-33)
L’impegno sociale di Sibilla e la scrittura si rappresentano indispensabili per l’umanità femminile ma soprattutto per sé, però, raggiungerli costa un prezzo, perciò la protagonista rinuncia al figlio pensando che questo sia l’unico modo con cui riesce a conquistare la libertà dal marito violento e possessivo e dedicarsi al lavoro di scrittrice, in cui si identificano l’emancipazione, la libertà e la voglia di essere indipendente. Sibilla ha, inoltre, realizzato che il suo matrimonio l’ha rovinata e ha annullato la sua identità a causa della mancanza di coraggio per combattere e difendere la propria esistenza. Così come sua madre che aveva pensato di andare via e lasciare il marito e i figli, anche Sibilla ha sentito dentro un forte desiderio di liberarsi, una grande voglia cui doveva seguire. Dunque, il figlio diventa questa volta, non una ragione di vita, bensì un ostacolo che impedisce la protagonista a vivere la sua vita, e alla fine ha capito che il suo abbandono era l’unica soluzione a questa situazione insopportabile. Ma prima dell’abbandono definitivo di Walter, Sibilla ha raccolto le sue forze e ha chiesto al marito la separazione, vista da lei come il solo “rimedio”, e portando con sé il figlio – esprime l’autrice- : « Me ne andassi, me ne andassi, avrebbe ben trovato un’altra femmina al mio posto ! Calma, proseguii : “Sia pure. Ma non in presenza di mio figlio. Lo porterò con me, aspetterò in casa di mio padre che la legge regoli il nuovo stato di cose.” » (Aleramo 2013 : 156)
All’inizio del Novecento, in caso della separazione, i figli erano prima di tutto affidati al padre, ma la stesura originaria del codice civile del 1942 che si basa sul principio dell’indivisibilità del matrimonio, permette la separazione personale solo in caso di colpa di uno dei coniugi, affidando così i figli allo sposo apparso senza colpa. Però, questa legge fondata sul comportamento e la personalità dei coniugi è stata sostituita nel 1970 con un’altra basata sulla priorità dell’interesse morale e materiale dei figli. Quindi, quest’ultima è la legge che Sibilla aspettava affinché possa regolare la situazione con il figlio, ma che in realtà non esisteva ancora nei suoi tempi, in una società patriarcale che considera l’uomo il più potente e il meritevole del compito di mantenimento dei figli dopo la separazione. Di conseguenza, dopo tante proposte rifiutate dal marito, Sibilla decide di abbandonare tutto, il figlio amato, il marito e la città partendo lontano in cerca di libertà e d’indipendenza.
3.3. L’abbandono : l’emergenza di un nuovo stile di vita
La decisione della protagonista era il risultato di lunghi anni di schiavitù vissuti da lei con un marito prepotente che non la rispetta e che è fortemente legato al dominio e questo comportamento è il frutto di una mancanza di confidenza in sé stesso perché si mette costantemente in uno stato di dubbio e paura di perderla o per meglio dire essere abbandonato da lei, per questo l’unica soluzione che ha trovato era la minaccia incessante di toglierle il figlio. In questo modo, terrorizzandola, la spinge ad allontanarsi e separarsi dal figlio che rappresenta per lei l’unica fonte di felicità e tregua e si dedica alla scrittura sperando che un giorno suo figlio possa leggere il libro a lui dedicato e capire le vere ragioni della dolorosa separazione.
« Figlio mio, figlio mio… La tua mamma non ti vedrà più… È necessario… Non può vivere, è stanca, e non vuol farti soffrire… Tu hai il suo sangue, ma sarai più forte, vincerai… qualcuno ti dirà un giorno forse che tua madre ti ha amato, che non ha amato che te sulla terra, che non era cattiva, che ti aveva sognato buono e grande… » (Aleramo 2013 : 66)
Sibilla era costretta a manifestare tutto il suo odio e orrore all’uomo egoista e potente che si presenta nella sua vita per liberare la sua anima sofferente, anzi la scelta dell’abbandono non la considera solo come una soluzione e indipendenza per lei, ma anche per il proprio figlio :
« Partire, partire per sempre. Non ricadere mai più nella menzogna. Per mio figlio più ancora che per me ! Soffrire tutto, la sua lontananza, il suo oblio, morire, ma non provar mai il disgusto di me stessa, non mentire al fanciullo, crescendolo, io, nel rispetto del mio disonore ! » (Aleramo 2013 : 157)
Invece, la madre della protagonista ha vissuto la stessa situazione tanti anni prima e ha sofferto molto a causa dell’egoismo e della freddezza del marito che non la ama perciò ha deciso di lasciare i figli e il marito e annunziando a suo padre il suo arrivo il giorno dopo :
« Debbo partir… Qui impazzisco… lui non mi ama più… Ed io soffro tanto che non so più voler bene ai bambini… debbo andarmene… Poveri figli miei, forse è meglio per loro !.. » (Aleramo 2013 :144)
Sua madre ha realizzato quindi l’impossibilità di continuare a vivere con un marito che non s’interessa di lei e non apprezza i suoi sacrifici, la sua tenerezza e amore, ma non ha avuto il coraggio di partire e abbandonare la casa coniugale, però la scoperta di questa lettera incompiuta da parte di Sibilla l’ha incoraggiata a fare quello che sua madre non ha potuto fare perché ha vissuto i risultati dell’insufficienza di forza per difendersi e salvare la propria vita poiché era una madre « sempre più debole, sempre più paurosamente smarrita » (Aleramo 2013 : 32), per questo motivo la figlia ha capito che deve incaricarsi di controllo della propria esistenza e non cadere negli stessi errori che ha commesso la madre per paura che questa dolorosa esperienza si ripeta nelle sue relazioni e terminare la sua vita in un ospedale psichiatrico : « La sua debolezza, la sua rinuncia alla lotta mi esacerbavano tanto più in quanto ero costretta a riconoscermi ora dei punti di contatto con lei nella mia rassegnazione al destino » (Aleramo 2013 : 39). Così, una notte, Sibilla lascia il figlio e se ne va in cerca di indipendenza e da quel giorno la sua vita prende un mutamento radicale e conosce un cambiamento importante lontano dalla « prigione coniugale » scrivendo un libro destinato al figlio per spiegargli le vere ragioni della sua scelta :
« Un libro d’amore e di dolore, che fosse straziante e insieme fecondo, inesorabile e pietoso, che mostrasse al mondo intero l’anima femminile moderna, per la prima volta, e per la prima volta facesse palpitare di rimorso e di desiderio l’anima dell’uomo, del triste fratello ». (Aleramo 2013 : 92)
Tornando ai motivi, già citati all’inizio dell’articolo, che possono spingere una madre a rinunciare al figlio e rifiutare il ruolo della maternità si può dire, dunque, che nel caso della scrittrice Sibilla Aleramo la scelta dell’abbandono non era la conseguenza di una disuguaglianza domestica né quella di una crisi economica, piuttosto il risultato di una crisi egualitaria e identitaria che si presentano nell’emergere di un discorso legato alla cosiddetta “modernità”. Questa nuova ideologia ha influenzato il futuro delle donne e le loro scelte che hanno oggi, secondo la Badinter, tre possibilità : aderire, rifiutare o negoziare, a seconda che favoriscano i loro interessi personali o il loro ruolo materno, e quest’ultimo quanto più intenso, tanto più è probabile che entri in conflitto con altre esigenze e la negoziazione tra la donna e la madre diventa più difficile. (Badinter 2010 : 12). Quindi, Sibilla ha agito secondo la propria natura che è, secondo molti, egoistica e non guidata da un istinto che le imporrebbe di sacrificarsi al proprio bambino.
Affrontando tutte le leggi maschiliste Sibilla ha deciso di ribellarsi contro la società del suo tempo in cui la donna se non è una proprietà dell’uomo, è nulla : « Io non esistevo. Non esistevo se non per essere defraudata di tutto quanto fosse mio, i miei beni, il mio lavoro, mio figlio ! » (Aleramo 2013 : 157), per questo ha rovinato tutte le regole determinate dalle tradizioni.
4. Valutazione critica di Una donna
Il libro di Sibilla, dedicato al figlio, ha avuto grande successo nel mezzo di tante discussioni animate grazie al suo contenuto femminista ed è stato analizzato da moltissimi grandi giornalisti e scrittori italiani, ma ha espresso anche la delusione di molti critici che consideravano l’unica vittima della vicenda, il figlio. E in questo contesto citiamo l’interpretazione della rivista “Vita Internazionale” che ha descritto Sibilla come una donna egoista : « Se fosse stata veramente forte non avrebbe esitato nel sacrificio estremo » (Aleramo 2013 : XIV) (dalla prefazione di Anna Folli a Una donna). Sul punto della decisione dell’abbandono, Pirandello e Arturo Graf erano d’accordo sul fatto che la sola soluzione ragionevole era la fuga con il figlio, mentre Massimo Bontempelli ha cercato il senso dell’abbandono in qualcosa di vasto e di fondamentale. (Aleramo 2013 : XIII) (dalla prefazione di Anna Folli a Una donna). Infatti, la lettura di Una donna insegna a non mollare, a non sottomettersi, a non stare zitti e subire le sofferenze in silenzio, insegna a saper esprimersi e affrontare le difficoltà. È un romanzo che ha espresso profondamente il dolore e l’urlo di una donna che combatte per vivere ribellandosi contro tutti i modelli stabiliti dalla società e rifiutando un ruolo il cui concetto sociale è stabilito da norme religiose, sociali, culturali e giuridiche ; la maternità. E questa è la particolarità di Una donna e qui sta il suo fulcro che ha provocato un immediato scandalo e per cui il romanzo è diventato un “caso” subito dopo la sua prima edizione. Grazie alla ricchezza sentimentale di questo romanzo e la novità del tema affrontato, la scrittrice Sibilla Aleramo è diventata uno dei personaggi più meravigliosi che hanno attraversato la storia del ‘900.
Conclusione
Oggi la decisione di avere figli è rimandata dalle donne a un’età più matura, ma a volte anche del suo rifiuto, rispetto al passato a causa della crisi economica e del clima d’incertezza in cui vivono, e questi ultimi richiedono un reddito adeguato per poter sostenere la cura dei figli, quello che spiega l’aumentazione della partecipazione delle donne al mondo del lavoro che è diventato necessario per il miglioramento delle condizioni di vita delle famiglie. Inoltre, il modello culturale e sociale patriarcale che ancora mette la responsabilità della cura dei figli sulle spalle delle mamme è una tra le principali ragioni che portano al rifiuto della maternità. Questa condizione spinge le donne a protestare a sfavore del modello imposto dalla società per costituirsi l’identità individuale e sociale rompendo, così, la catena che aveva sempre voluto svolgersi così in eterno, e dare invece la priorità alla propria carriera e alla crescita personale e professionale e rifiutare, in cambio, un ruolo biologico che è stato da sempre attaccato alla donna ; la maternità.
Insomma, la decisione di non essere madre o di abbandonare, più tardi, i figli è diventata oggi un conflitto terribile e incomprensibile, ma che porta anche, a volte, alla riflessione sulla sua accettazione come una diversità di una certa parte di donne che pensano in modo differente.