La donna africana nel discorso coloniale italiano tra esotismo e sessismo

المرأة الأفريقية في الخطاب الاستعماري الإيطالي بين الغرائبية والتمييز على أساس الجنس

La femme africaine dans le discours colonial italien entre exotisme et sexisme

The African woman in the Italian colonial discourse between exoticism and sexism

Hamza Elgharbi

Citer cet article

Référence électronique

Hamza Elgharbi, « La donna africana nel discorso coloniale italiano tra esotismo e sessismo », Aleph [En ligne], 7 (4) | 2020, mis en ligne le 02 décembre 2020, consulté le 23 novembre 2024. URL : https://aleph.edinum.org/3203

Durante l’impresa coloniale italiana in Africa, il discorso coloniale è segnato dall’immagine della donna africana, il suo corpo magro e nero divenne un elemento di attrazione. L’idea della madamat e della venere nera ha favorito la nascita di una vera cultura dello stupro e della violenza nella colonia, mentre la sua verginità si confronta con il possesso della terra « Africa » mentre la sua verginità si confronta con il possesso della terra « Africa » e l’esotismo della metafora corpo-territorio. Il discorso fascista coloniale accentua il suo discorso caratterizzato da un’ideologia razzista nei confronti degli indigeni, considerandoli come una specie di bestia feroce mentre la donna nera è portatrice di malattie e disgrazie.

خلال الحقبة الاستعمارية الايطالية في افريقيا, اتسم الخطاب الاستعماري بصورة المراة الافريقية وبذلك اصبح جسدها الأسود والرقيق عنصر جذب. شجعت فكرة المدام والفينوس الأسود في ازدياد وتكريس ثقافة الاغتصاب والعنف في المستعمرة، في حين اصبحت عذريتها جزء من امتلاك الارض. شدد الخطاب الفاشي الاستعماري خطابه الذي يتسم بالإيديولوجية العنصرية تجاه السكان الأصليين، معتبرا إياهم نوعًا من الوحوش بينما اعتبرت المرأة السوداء حاملًا للأمراض والمصائب.

Pendant l’entreprise coloniale italienne en Afrique, le discours colonial est marqué par l’image de la femme africaine, son corps noir et maigre est devenu un élément d’attraction. L’idée du madamat et de la vénus noire a favorisé la naissance d’une véritable culture de viol et de violence dans la colonie, tandis que sa virginité est confrontée à la possession de la terre « Afrique » et à l’exotisme de la métaphore corps-territoire. Le discours fasciste colonial accentue son discours caractérisé par une idéologie raciste envers les indigènes, les considérant comme une sorte de bête sauvage tandis que la femme noire est porteuse de maladies et de malheurs.

During the Italian colonial enterprise in Africa, the colonial speech is marked by the image of the African woman, her black and thin body has become an element of attraction. The idea of the madamat and the black venus has encouraged the birth of a real culture of rape and violence in the colony, while its virginity is faced with the possession of the land « Africa » and the exoticism of the body-territory metaphor. The colonial fascist discourse accentuated his discourse characterized by racist ideology towards the natives, considering them as a kind of wild beast while the black woman is a carrier of disease and misfortune.

La donna è l’elemento affettivo più potente che lega l’uomo alla terra, e il legame fra l’individuo e la collettività, è la cellula della famiglia e della società, è il volto sul quale si riflette l’immagine della patria lontana. (Tomasello 1984 :130)

Introduzione

Il fenomeno coloniale italiano è un argomento su cui non si discute molto, la mancanza degli studi e delle ricerche sono dovute alla mancanza della documentazione e delle fonti. Negli ultimi anni, gli storici hanno moltiplicato gli sforzi per costruire un quadro storico del cosiddetto “colonialismo italiano” o come era chiamato dopo la dichiarazione dell’impero da Mussolini “Imperialismo italiano”, ma gli studi sono pochi e sono insufficienti per risponder a tante domande riguardo al fenomeno. Tra le domande che il colonialismo pone e di cui noi ci occupiamo è la questione legata ai crimini e alle strage compiuti durante quest’epoca ; in particolare sulle donne africane in colonia (violenza, stupro e sfruttamento corporale), e che non sono fino ad oggi riconosciuti dal governo italiano.

L’Africa era il teatro delle guerre, la sua terra vergine conquistata e poi violata e distrutta ha perso la sua bellezza a causa dell’uso del gas e delle arme pesanti, la sua popolazione autoctona era costretta a sopportare tutte i tipi della violenza e della brutalità dell’italiano. Era tutto legittimo e legale : uccidere, torturare violentare e imprigionare sono il destino di chi non obbediva gli ordini dell’italiano colonizzatore mentre la debole resistenza era saccheggiata e abolita considerata come un gruppo di ribelli selvaggio.

La conquista del territorio è simboleggiata del possesso femminile che evoca il desiderio sessuale e cosi la figura più significante nel scenario coloniale era la donna nera. Il mondo coloniale veniva ad identificarsi con l’aspetto culturale che vedeva la razza nera inferiore e generatrice di incivilimento e di barbarie, in questo contesto maschile dove l’italiano progressista e superiore vedeva la donna africana da due quadretti : “l’esotismo” e “il sessismo”.

In questo articolo, cerchiamo di mettere l’accento sulla donna africana durante il colonialismo coloniale mostrando le sue rappresentazioni nel discorso coloniale e di decodificare i simboli del suo corpo sessuale e esotico. Ma prima ci pare importante iniziare con una breve introduzione storica al fine di ricostruire il quadro storico dell’imperialismo italiano. Il nostro lavoro verte sulla donna africana in cui il perno fondamentale della nostra ricerca è il su corpo che era attratto dall’esotismo e dal sessismo.

1. L’imperialismo storico

1.1 Il colonialismo italiano prima del fascismo

L’imperialismo è giustificato come un tentativo di portare civilizzazione e progresso in sempre zone meno sviluppate e è considerato come la soluzione che avrebbe fermato il fenomeno dell’emigrazione per certi paesi, pero secondo gli storici l’imperialismo è stato una febbre che ha colpito l’Occidente alla fine dell’Ottocento e che ha consentito alle grande potenze ( la Gran Bretagna, La Francia, La Germania, il Belgio, l’Olanda e l’Italia) di sfruttare le risorse come il petrolio e il gas e commercializzare le loro merce Oltremare per frenare la sovrapproduzione che minacciava l’economia interna. Nella conferenza internazionali ( Berlino 1984) le grande potenze riuscirono a spartirsi l’Africa secondo il principio delle zone d’influenza.

La spartizione dell’Africa dalle grande potenze, ha spinto l’Italia a entrare nel scenario coloniale malgrado la sua politica fragile e i problemi interni. La penetrazione era preceduta dai viaggi dei missionari che diffondevano il cristianesimo nelle tribù africane e degli esploratori che viaggiavano nel continente nero per scoprire il fascino dell’Africa. Le fotografie e le immagini fatti dagli esploratori sono state considerate come carte e rifermenti su cui appoggiava il governo italiano.

L’Eritrea (1882), la Somalia (1890) e la Libia (1911) furono le prime colonie italiane in Africa, dopo la disfatta di Dogali (1987) e di Adua (1889), l’esercito italiano si indebolì psicologicamente.

1.2. Il colonialismo italiano durante il fascismo e l’ideologia razzista

Con l’arrivo di Mussolini al potere e la rinascita dello spirito imperiale, l’Italia conquistò di nuovo la libia (1922) e colonizzò l’Etiopia (1936). Questo successo fu premiato da Mussolini che proclamò la nascita dell’impero italiano (1936).

Un grande evento si compie […]. L’Italia ha finalmente il suo impero, impero fascista, perché porta i segni indistruttibili della volontà e della potenza del littorio romano, perché questa è la meta verso la quale durante quattordici anni furono sollecitare le energie prorompenti e disciplinate delle giovani, gagliarde generazioni italiane […..]. Impero di civiltà e di umanità per tutte le popolazioni dell’Europa.
[….] Ufficiali ! Sottufficiali ! Gregari di tutte le forze armate dello stato, in Africa e in Italia ! Camicie nere ! Italiani e italiane !
Il popolo italiano ha creato col suo sangue l’impero, lo feconderà col suo lavoro e lo difenderà contro chiunque con le sue arme. ( Mussolini 1936 : 117-119)

Le parole di Mussolini erano ardenti e sono state accolte dal popolo italiano che voleva distogliere dal peso dell’economia e dai problemi della vita quotidiana. Il discorso di Mussuoli che rispondeva ai problemi economici degli italiani, preparava a una impresa che sarebbe marchiata da comportamenti bellici.

L’obiettivo dell’Italia era economico (creare un’area commerciale e la creazione di forti reti di interscambio) e sociale (è una colonizzazione demografica, nella quale il regime vedeva una soluzione per il problema della disoccupazione, soprattutto agricola, e dell’assorbimento della crescita naturale della popolazione).

La dichiarazione dell’impero, ha consentito agli italiani a recarsi subito alle nuove colonie al fine di cominciare lo sfruttamento delle risorse e a rendere l’Italia la nuova grande potenza come auspicava Mussolini.

L’imperialismo italiano, per quanto tardivo e meno organizzato rispetto a quello inglese e francese, non fu diverso dal resto dell’Europa nell’utilizzo della violenza e del razzismo, e sono state commesse atrocità e vere e proprie violazioni dei diritti umani e civili nei confronti delle popolazioni autoctone. La violenza fu il mezzo più praticato per sottomettere la popolazione indegna, ma durante l’impresa coloniale fascista il colonialismo si è distinto della sua brutalità e violenza eccessiva ; era macchiato da gravi crimini che non possiamo nemmeno contare o citare e era anche macchiato dall’impiego di tali strumenti come il gas nucleare e la deportazione.

Al fine di favorire il discorso coloniale e renderlo più convincente, l’impero fascista coloniale ha preso una serie di iniziative come la propaganda e la pubblicità creando canali (il canale televisivo la Luce) e riviste (il giornale fascista, l’Oltremare) sempre al fine di rianimare lo spirito imperiale.

2. La rappresentazione della donna nel discorso coloniale

2.1 Le immagini della donna africana

Tra i veicoli utilizzati nel discorso coloniale è la rappresentazione della donna africana e del suo corpo (un’immagine su cui basava l’immaginario coloniale italiano). Per costruire un immaginario collettivo italiano sull’Africa, l’immagine della donna africana è utilizzata come propaganda coloniale e le sue rappresentazioni costruiscono un elemento di attrazione più importante che spinge i maschi italiani verso le colonie.

Il fascismo animato dalla gloria dell’impero romano, metteva in considerazione l’importanza dei mezzi di stimolazione che lo avrebbero aiutato a avere il consenso del popolo. Gli italiani, pronti a fare la guerra per la Patria, hanno cominciato ad avere disgrazia nel diserto e per trovare soluzione a queste disgrazie inaspettate, il governo approfittando della disponibilità dei mezzi di comunicazione come il canale “ Luce” ha iniziato a far una propaganda inedita dove nel suo centro si appare la donna africana con le sue caratteristiche strane e attraente.

La donna era vista da due punti di attrazioni : il primo è esotico simile al territorio mentre l’altro è sessuale, e per questo motivo il discorso e l’immaginario coloniale è formato secondo i pregiudizi e gli stereotipi con cui l’italiano conquistatore si accosta alla donna africana da sottomettere e anche secondo il contatto con la realtà africana ma maggiormente la rappresentazione è l’esito di una ignoranza dell’oggetto da analizzare e si tratta di un risultato che risponde all’interesse dell’italiano conquistatore.

Le donne dell’Africa erano conosciute soprattutto attraverso le immagini fotografiche, molte delle quali accentuatamente erotiche, che circolavano non solo tra i soldati in colonia ma anche in madrepatria. Queste immagini delle donne sono diventate un elemento decorativo del quafretto d’Oltremare, invece il suo corpo è (come trappola pulsionale che scatena la psicosi del possesso e il bisogno di liberazione fisiologica ai limiti della nevrosi orgastica) (Boddi 2012 : 116). Una trappola all’italiano che era abituato a vedere e frequentare solo donne bionde con certi aspetti questa volta si trovava di fronte a una donna assai diversa con la sua pelle nera e il corpo seminudo. La nudità (Sessismo) e l’esotismo attiravano e persuadevano l’italiano ad partire per le colonie e godere della verginità delle donne africane quanto del fascino e della bellezza dell’Africa.

è soprattutto la strabocchevole produzione di immagini delle « veneri nere », il soggetto più fotografato, scrutato, esibito, violato, in cui la nudità diviene l’attributo costante. Ne nasce un genere fotografico che accompagnerà tutta l’esperienza coloniale italiana (sopravvivendole), via via raggiungendo forme di rappresentazione sempre più erotizzate per soddisfare un gesto di chiara marca occidentale, ogni volta contribuendo a irrobustire fantasie, seduzioni e « spinte colonizzatrici » funzionali quanto altre mai alla costruzione di un più ampio consenso intorno all’opzione coloniale. (Palma 1999 : 17)

In contrapposizione alla nudità rappresentate nelle immagini, la donna musulmana velata (il caso delle donne libiche) non mancava in questo contesto ; anche le donne musulmane con il velo erano un elemento di attrazione ma soprattutto di discussione. Nelle immagini dove il velo della donna musulmana rappresenta una cultura arretrata, l’italiano metteva in discussione l’aspetto fisico di queste donne che secondo lui alla donna velata è tolta la sua libertà.

Oltre ad essere direttamente connesso alla sessualità femminile, il velo è l’indicatore per eccellenza del mondo musulmano, emblema del fondamentalismo gioso. Nel pensiero occidentale, le donne velate hanno assunto un significato speciale, sono il prodotto della crudeltà dispotica dell’ordine patriarcale : il velo diventa quindi appannaggio dei loro sentimenti di frustrazione. In effetti, il tropo del soccorso è diventato un motivo comune nel sistema di rappresentazione coloniale della donna musulmana. (Boddi 2012 : 126)

Le foto e le immagini pubblicate in quel periodo e che avevano uno scopo politico perdendo cosi lo scopo estetico che i fotografi cantavano sempre, è codificato secondo parametri di seduzioni. I fotografi in concorrenza per ottenere la miglior foto che potrebbe garantire loro un premio, inquadrano la loro macchina di presa per prendere una parte affascinante e seducente della donna africana. Tra le parte preferite dai fotografi è il senso, ma c’era che preferiva la donna velata il volto e abbellita con gioielli tipici.

Quindi la nudità e il velo sono due elementi che attiravano i fotografi incaricati per fare la propaganda coloniale perché come sappiamo le immagini delle donne africane (nudi o velati) garantivano l’andamento del programma coloniale, le considerazioni e le descrizioni non rispettavano la sua dignità come donna che possiede un’anima sensibile.

2.2. La raffigurazione della donna africana

La raffigurazione della donna africana ricoprì un ruolo centrale nel discorso coloniale italiano, non solo nei film o nei manifesti ma anche nei romanzi e nei racconti dei viaggiatori e degli esploratori, veniva descritta con varie descrizioni dando importanza speciale al suo corpo. La sua femminilità era collocata nell’ottica esotica ma anche quella sessuale e per motivi di commercializzazione il suo corpo è diventato merce da vendere. Da sempre le donne sono state fonte d’ispirazione per scrittori e artisti che, nei secoli, le hanno immortalate in memorabili versi o in splendide opere d’arte come la figura di Beatrice nella Commedia di Dante Alighieri o anche di Lucia nei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni in cui la donna incarnava virtù come grazia e bellezza. La figura della donna africana nei romanzi coloniali è un soggetto ambiguo raffigurato secondo preferenze personali degli autori : per Mario dei Gaslini nella sua opera “Piccolo amore beduino” la donna è un prigioniere della religione e delle tradizioni della tribù e che non poteva esprimere i suoi sentimenti : « la donna araba è una prigioniera silenziosa che non ha armi per i suoi amori : può essere rapita dal primo uomo » (Gaslini 1926 : 48), mentre nell’opera “Tempo di uccidere” di Ennio Flaiano, la donna è un animale domestico : “La sua pelle non era molto chiara, e il suo sorriso era quello di un buon animale domestico che aspetta” (Flaiano 1947 : 37). Queste raffigurazioni occidentali disumanizzano la donna africana e rovesciano la consuete raffigurazione delle donna angelica e pura.

Sono tante le metafore associate alla donna nera : c’è chi la considerava come un animale, una prostituta, un madamat, donna domestica e altre raffigurazioni. I pregiudizi e gli stereotipi dell’italiano sono radicali, si riferiscono all’estrema animalizzazione della donna africana. Gabriele Proglio negli Appunti per una ricostruzione degli studi culturali italiani sulla razza dice :

La donna è marchiata dal colore e dagli stereotipi italiani creati intorno a esso : prima bimba selvaggia, poi in bilico tra l’immagine della donna-scimmia e quella venere nera, per giungere, infine, a prendere contatto con una realtà, quella italiana, in cui i ruoli consentiti alla meticcia sono due soli : la prostituta o la serva. (Poglio 2013 : 333)

Progli mette l’accento sulle raffigurazioni create sulla donna dal colore della pelle all’estrema animalizzazione. Queste raffigurazioni che hanno trovato spazio nei romanzi coloniali, nei diari e nei giornali e in altri mezzi di propaganda dove la donna africana è presentata con toni esotici, e con l’erotizzazione dell’immagine hanno consolidato la politica coloniale costruendo cosi una coscienza collettiva dei colonizzatori.

3. Esotismo e Sessismo

3.1 La donna simbolo dell’Africa

L’Africa con la sua terra vergine e fertile viene anche identificata con l’elemento femminile, un elemento che aveva un ruolo importante nel promuovere l’impresa coloniale, forse perché la donna era sempre considerata come un oggetto da sottomettere mentre il territorio come un elemento da conquistare. Il continente nero viene simboleggiato dal corpo seminudo della donna (una metafora che si riferisce al dominio, alla sottomissione), queste immagini vengono collocati nelle riviste e nei libri che facevano propaganda all’immaginario coloniale, il suo corpo viene fotografato e riconosciuto come metafora dell’esotismo.

Invece di fotografare i paesaggi fascini dell’Africa, si fotografa la donna nera per riferirsi al cosiddetto corpo-territorio. Secondo Susan Sontag. « ..l’atto di fotografare ha qualcosa di predatorio. Fotografare una persona equivale a violarla, vedendola come essa non può mai vedersi, avendone una conoscenza che essa non può mai avere ; equivale a trasformarla in oggetto che può essere simbolicamente posseduto. » (Sontag, 1992 : 14). L’italiano progressista non vedeva la donna nera come un’anima sensibile ma l’ha oggettivata privandola di ogni sentimento e di ogni emozione, è simile alla terra muta. Il continente nero è considerato uno spazio-tempo immobile, privo di storia e di evoluzione, in cui l’uomo e la natura vivono ancora a stretto contatto, spesso confondendosi tra loro. Per molti africani e molte africane la terra rappresenta l’esistenza e violentarla significa violentare la popolazione, e malgrado i tentavi della resistenza, l’italiano è riuscito a conquistare il territorio e a sottomettere gli indigeni. La violenza della terra consiste nel deformare la sua natura e demistificare la vita semplice dei nomadi con l’introduzione della tecnologia e la sperimentazione delle arme, cosi in breve tempo le presentazioni più attraente nel discorso coloniale sono chiaramente le immagini delle donne simbolo della terra :

la rappresentazione femminilizzante ed erotizzata delle terre conquistate sia servita ad alimentare o rassicurare modelli di potere maschile fondati sulla forza e sulla prevaricazione. Inoltre, attraverso il simbolismo dei rapporti tra i generi, cioè del dominio maschile sul genere femminile, il potere coloniale (maschile) sulle terre colonizzate (femminili) è stato interiorizzato come parte dell’ordine naturale delle cose. (Stefani 2007 :98)

La donna nera svolse diversi funzioni all’interno del discorso coloniale italiano, fin dall’inizio era considerata come un simbolo delle terre da conquistare, possedere una donna significa possedere una colonia, il rapporto uomo-donna è simbolico del rapporto nazione imperialista-colonia :

La donna nera diventa simbolo dell’Africa...e il rapporto uomo bianco-donna nera è simbolico del rapporto nazione imperialista-colonia : l’uomo è colui che dà la sua virilità fecondatrice e vivificatrice, la donna è colei che riceve da ciò un arricchimento nella realizzazione di sé come complemento dell’espandersi dell’io maschile. (Campassi 983 : 55)

Purtroppo l’immagine della donna viene costruita secondo gli stereotipi e pregiudizi dell’italiano, un’immagine che viene creduta nella madrepatria e che ha trovato accoglienza nei bar e nei luoghi di raduno in Italia. Parlare della donna africana e della facilità di possederla è diventato un argomento comune mentre la sua foto nuda è circolata, dovunque. Ma come viene posseduta la donna ?

Il soldato italiano non portava con lui la sua famiglia in colonia, decisione presa dal governo per liberare il soldato da qualsiasi impegno famigliare e perché si concentrasse solo alla guerra, ma il bianco europeo aveva sempre bisogno di assistenza e per colmare il vuoto della solitudine comprava con qualche moneta una fanciulla africana che gli serviva. Alla fanciulla si davano i lavori domestici e altro ma in altri casi la fanciulla faceva anche l’amante. Nei discorsi politici, la donna era un codice per incitare gli uomini a inserirsi nella guerra :

Rapidamente gli Italiani si convincono che in Etiopia ci sarà lavoro per tutti e che non dovremo più emigrare. Ma l’argomento decisivo per la gioventù è la pubblicazione in cartolina dei ritratti delle abissine nude. Mai si ammirarono immagini di seni così turgidi e puntuti. Gli Italiani del Sud, soprattutto, non vedono l’ora di partire ; l’Abissinia, ai loro occhi appare come una sterminata selva di bellissime mammelle a portata di mano. (Sturani 1995 : 137)

Saturni individua l’obbiettivo essenziale degli italiani che andavano in Etiopia spinti dal desiderio di trovarci un lavoro ma come è chiarito sopra, l’obbiettivo decisivo per gli italiani è giustificato dai ritratti delle donne abissine nude messe nelle cartoline. È chiaro cosi il legame tra la terra e la donna, una equazione calcolata dalla politica coloniale italiana.

Per quanto riguarda il territorio, l’Italiano attaccava i villaggi e costringeva gli abitanti a cedere. Secondo Barbara Sorgoni non c’è un’univocità nel discorso coloniale mentre la metafora del sessuale non combinava con quella del territorio perché il discorso coloniale era ambiguo :

Il possesso territoriale e il dominio coloniale non hanno cioè necessariamente bisogno della metafora sessuale per essere propagandati. E comunque, come i più recenti studi di analisi del discorso coloniale tendono ormai a far emergere con chiarezza, il tratto che caratterizza il discorso del potere non è l’univocità autoritaria del messaggio ma al contrario la sua intrinseca ambiguità, il suo inevitabile ibridismo. ( Sorgoni 1998 : 62)

Ma forse tutto è iniziato dall’idea di inventare un discorso coloniale che « indica un nuovo modo di pensare per cui i processi culturali, intellettuali, economici e politici interagiscono nella formazione, perpetuazione e smantellamento del colonialismo ». (Loomb 1998 : 54). Questa invenzione è creata per legittimare il colonialismo ma anche per instaurare delle pratiche di discriminazione e oppressione sull’indigeno soprattutto sul genere femminile.

Sappiamo che la conquista della terra viene sempre dopo una serie di battaglie in cui l’Italia mostrava la sua tecnologia militare e la sua atrocità, per la conquista della donna africana si usava la violenza al posto delle arme e l’aggressione fisica e morale. La donna che rifiutava essere la schiava, la donna domestica e l’amante del soldato italiano viene punita o uccisa. Le donne nere soprattutto vennero rappresentate come esseri sensuali e disponibili al dominio dell’uomo bianco italiano, e cosi la posizione del protagonista maschile europeo verso la donna locale riflette il suo approccio più generale all’alterità in quanto tale, per cui la conquista coloniale si pone sempre come conquista sessuale.

3.2. Il Madamato, la Venere nera

L’aggressione delle donne viene sempre giustificata con decreti speciali mentre le donne che rifiutavano la sottomissione e la schiavitù erano sempre minacciate e talvolta uccise. L’italiano che ha conquistato la terra secondo lui era legittimo conquistare la donna e cosi per il periodo in cui rimaneva nella colonia teneva presso di sé un’africana che utilizzava sia quale domestica che sessualmente. Questa pratica si chiama “ madamato” : il termine madamato designava, inizialmente in Eritrea e successivamente nelle altre colonie italiane, una relazione temporanea more uxorio tra un cittadino italiano (soldati prevalentemente, ma non solo) ed una donna nativa delle terre colonizzate, chiamata in questo caso madama. Secondo Giulia Barrera :

Nel gergo coloniale italiano, per “madama” si intendeva la donna africana che conviveva o aveva una relazione stabile con un uomo italiano. Il termine “madamato” aveva una connotazione dispregiativa ; fu coniato all’indomani della guerra d’Etiopia, quando Mussolini lanciò una campagna contro le unioni miste e le procreazioni interrazziali. »(Barrera 2005 : 4)

Il sessismo risulta essere un mezzo ottimo al livello politico accompagnato sempre con comportamenti e atteggiamenti razziali, sessismo e razzismo da questo punto di vista lavorano in sincronia. Quindi per evitare il matrimonio legale, il fascismo ha favorito la pratica detta “Madamato” per mantenere la razza italiana. Questa paura di mischiare la razza pone una polemica nella letteratura postcoloniale. Il termine madama era, naturalmente, usato in senso dispregiativo in quanto con esso, sia in Italia che in Francia, si indicava la tenutaria di un bordello. Essendosi liberi e senza controllo, i soldati compravano le donne come si compra l’animale e talvolta le scambiavano tra loro :

La maggior parte degli italiani, lì a Mogadiscio, era senza moglie, e aveva la cosiddetta “madama”, una donna locale, di servizio ma anche come convivente. Io l’ho avuta per tutto il tempo che sono stato lì senza avere mai noie, perché la facevo passare come donna di servizio, e nessuno era in grado di controllare. Ho anche avuto un figlio, da una donna somala. Fra neri e bianchi comunque non ci si poteva sposare. Ognuno aveva delle scappatoie ; prendeva una donna, o per il giorno o per la notte, e la pagava a seconda delle situazioni, ma erano tutte unioni illegali. ( Taddia 1991 : 90-91)

Una altra questione legata alla donna africana e al suo diritto della sessualità era il riconoscimento dei figli nati da una relazione non coniugale, questi figli sono vittima della egoismo dell’italiano “padre” e della corruzione della politica coloniale fascista. Di solito la donna si trovava sola con il bambino per strada senza poter tornare alla tribù perché nei rituali e nelle tradizioni delle tribù africane, la verginità è una cosa sacra che la donna debba mantenere fino al matrimonio e perderla costerebbe alla donna una punizione se non l’uccisione. I figli nati da questa relazione illegale erano una mescolanza di due razze diversi : quella europea ( italiana) e quella africana e cosi venivano sempre distinti con degli aspetti particolari. Purtroppo i figli meticci non erano riconosciuti dagli italiani e una volta finita la guerra sono rimasti in Africa e senza padre perché la leggi razziali fasciste del 1938, una norma del 1940 aveva vietato agli italiani di riconoscere i figli avuti da relazioni con donne africane :

in questa scorgevo dei ragazzi dalla pelle nera dai capelli biondi e ricciuti, dagli occhi miti, dal viso regolare. Erano meticci e grandi e piccini, frutto dell’incrocio di due razze. Ma dissero che tale mescolanza di sangue non dà buoni prodotti. Non si sa bene la ragione : ma la razza sovrapposta all’indigena dà luogo ad individui ancora più deboli, più mingherlini e più fiacchi. ( Strazza 2012 : 121)

Attraverso le immagini diffuse dalla propaganda coloniale, l’Africa diventa il territorio in cui il maschio italiano riscopre la sua “primordiale virilità” conquistando quelle “terre selvagge” in cui la donna è parte integrante del paesaggio. Dunque l’immagine della donna africana si riduceva alle sole dimensioni dell’esotismo e dell’erotismo. Oltre l’aggressione corporale come lo stupro, il colonialismo italiano ha diffuso nella colonia l’aggressione ideologica nei confronti delle donne :

L’aggressione ideologica nei confronti delle donne subalterne viene dunque mandata ad effetto attraverso l’uso di determinati codici estetici e descrittivi, in modo da confondere la soggettività con la mistificazione del reale. La donna indigena è in linea di massima bella, ma soprattutto sessualmente generosa nei confronti del colonizzatore. (Boddi 2012 : 137)

Anche la rappresentazione del corpo dell’italiano guerriero viene considerato come una fonte, è una chiave di lettura per decifrare la forza del colonizzatore, la capacità di distruggere qualsiasi cosa mentre la donna è una preda tra le sue mani. Il destino della donna sarà uguale alla sua terra cioè conquistato e distrutto. La venere nera era un elemento decorativo del quadretto d’Oltremare : i suoi costumi, gli oggetti che portava stupivano chiunque ; era vista come un angelo e come un demone allo stesso tempo non si poteva darle una precisa descrizione. Altra forma di sfruttamento sessuale è la prostituzione delle donne africane nei campi soprattutto le ragazze minore. La povertà costringeva la donna africana a fare il mestiere della prostituzione (un mestiere attraverso il quale la donna guadagnò i soldi per sfamare la sua famiglia) e cosi il suo corpo viene posseduto dall’italiano che pagava per le sue esigenze maschili.

Era chiaro lo sfruttamento sessuale che non fu solo giustificato e tollerato ma promosso per attrarre maschi sposati e non sposati a venire ad abitare e lavorare in Africa e tutti per gli stupri e le violenze venne chiuso un occhio.

È l’immagine della donna nei paesi colonizzati che si presta meglio a un recupero in chiave « esotica », a dare quindi un aspetto « credibile » all’interpretazione razzista del mondo africano. L’analisi della condizione della donna nelle culture africane è servita da una parte a certa letteratura antropologica per dimostrare la superiorità della nostra cultura : secondo tale ipotesi, le donne delle società « primitive » sarebbero poco più che schiave (mentre sarebbe diversamente « civile » il trattamento riservato alle donne bianche occidentali. ( Cutrufelli 1976 : 8)

Le stragi compiute non venivano discusse e le lamentele delle donne erano messe sotto ombra, quest’atto è considerato legale e legittimo anzi è diventato un diritto fondamentale dell’italiano in colonia. Il dominio del maschio, simbolo della forza dell’Italia, è dovuto per la mancanza delle organizzazioni che difendevano i diritti della donna africana. Si vede che il potere coloniale sia investito sulla presenza del maschio italiano per colonizzare la terra africana e per cui non si portavano le donne bianche in colonia. Ma che cosa sarebbe successo se ci fossero state delle donne bianche in colonia ?

Prima di rispondere a questa domanda, dobbiamo dire che il genere femminile bianco non mancava nel scenario coloniale ma le donne che andavano in colonia in primo luogo erano poche invece le altre donne passavano le vacanze in Africa insieme ai mariti. La presenza della donna bianca avrebbe creato problemi in colonia e avrebbe infranto qualche legge come il matrimonio con gli indigeni. La paura della mescolanza della razza italiana spaventava il governo italiano e per evitare tale processo, si presero un’insieme di legge che impedivano alla donna bianca il matrimonio con gli indigeni. Luciano Martone, nel suo libro intitolato “ Diritto d’Oltremare : legge e ordine per le colonie del regno d’Italia mette in evidenza la questione :

In colonia i matrimoni di donne italiane con indigeni davano luogo- secondo il giudice Falcone- ad una condizione intollerabile, perché il prestigio cui era necessario mantenere i cittadini italiani presso gli indigeni subiva un danno gravissimo ; il ruolo di capofamiglia, dalla legge italiana attribuito al marito, non poteva essere riconosciuto ad un suddito coloniale nei confronti di una donna italiana. ( Martoni 2008 : 14)

Il valore del prestigio e della superiorità dell’italiano è importante ma dobbiamo dire che l’italiano in colonia e senza la moglie si sentiva libero ; veniva servito da tante donne e se avesse portato la moglie con lui sarebbe stato controllato e cosi avrebbe perso queste occasioni e opportunità offerte dalla venere nera. Il maschio africano è caratterizzato dalla sua forza sessuale e della grandezza del suo membro (una caratteristica presentata da Marinetti nel suo romanzo africano “ Mafarrka il futurista, 1910 quando parlava al giudice del Tribunale dice : « Mafarka ha un membro lungo undici metri » (Marinetti 1909 :54) Questa realtà di cui la donna bianca era consapevole metteva in rischio la virilità dell’uomo bianco, una realtà accertata dai film di pornografia. La pornografia era anche un mezzo di propaganda poiché la trasmissione dei film “porno” in cui la donna africana e l’uomo africano sono l’oggetto erotico che era al suo vertice in quegli anni. Ma il fascismo ha chiuso qualsiasi via avrebbe portato al matrimonio misto.

Prima dell’arrivo di Mussolini e la riconquista fascista delle colonie, le relazioni tra gli uomini “ soldati” e le donne africane si andavano sotto il cosiddetto “ madamato”e come abbiamo visto si trattava di un rapporto contemporaneo che era considerato come un diritto all’uomo bianco. Pero in questo periodo il matrimonio misto non era diffuso purché il soldato cercava solo uno sfogo ai suoi istinti animali ma era legale.

Durante il fascismo e dopo la proclamazione dell’impero, la contraddittorietà nella rappresentazione delle colonie raggiungerà il momento più eclatante attraverso l’ideologia razzista ; nella battaglia la donna non fu esclusa dal scenario della guerra assieme ai bambini, non si faceva differenza tra ribelli e donne o tra armate e disarmate, e per sostituire il vuoto causato dell’impedimento del matrimonio con donne indigene, il fascismo sosteneva e incoraggiava gli italiani ad appropriarsi delle donne anche minori. Il caso più significante è di Indro Montanelli, un intellettuale italiano, durante la sua esperienza in Africa a 26 anni, ebbe, come da lui stesso ammesso una relazione con una ragazzina africana. Nel 1936, sul giornale Civiltà Fascista scrive : « non si sarà mai dei dominatori, se non avremo la coscienza esatta di una nostra fatale superiorità. Coi negri non si fraternizza. Non si può, non si deve. Almeno finché non si sia data loro una civiltà ». In questa dichiarazione razzista Mantanelli canta la sua superiorità negando ogni relazione pacifica con l’africano “negro” ma parallelamente ha avuto una relazione con una ragazza minore “negra”. In un’intervista rilasciata a Enzo Biagi per la Rai nel 1982, Montanelli parlando della sua relazione disse :

Aveva dodici anni… a dodici anni quelle lì erano già donne. L’avevo comprata a Saganeiti assieme a un cavallo e a un fucile, tutto a 500 lire. Era un animaletto docile, io gli misi su un tucul (semplice edificio a pianta circolare con tetto conico solitamente di argilla e paglia) con dei polli. E poi ogni quindici giorni mi raggiungeva dovunque fossi assieme alle mogli degli altri ascari…arrivava anche questa mia moglie, con la cesta in testa, che mi portava la biancheria pulita.

Montanelli non aveva l’intenzione di nascondere i suoi sentimenti davanti il pubblico anzi non aveva paura di quello che sarebbe successo dopo le sue dichiarazioni che confermavano l’atrocità e la brutalità del colonialismo italiano durante il fascismo, ma tale atteggiamento è giustificato dalla posizione che occupava Montanelli, pero non dimentichiamo che il fascismo non ha conquistato le colonie ma ha conquistato anche l’Italia fascistizzando tutto.

Conclusione

Gli stereotipi razzisti sugli africani non sono una novità ottocentesca, ma affondano le loro radici nel lontano tempo quando il negro/la negra fu visto come uno schiavo simile al animale. Immagine dell’uomo di colore si deteriorò quando l’uomo bianco allestì mercati dove il negro fu un oggetto di merce. Essere una merce da vendere e scambiare ha reso l’immagine dell’africano inferiore e ha consentito al bianco di negare l’identità dell’altro relegandolo al limbo del diverso. La donna africana ha connotato tutta la fase della letteratura coloniale fascista fertilizzando i romanzi e i racconti e cosi il rapporto uomo bianco-donna indigena ha contributo alla nascita degli studi postcoloniali.

Il corpo della donna è tematizzato in diversi modi nelle riviste e nei giornali, usato come mezzo di propaganda per il discorso coloniale e viaggiava tra le colonie e la madrepatria. Un corpo negro e magro macchiato dalle tracce della violenza e molestie che testimoniano la brutalità e l’atrocità dell’imperialismo italiano. I diritti della popolazione autoctona soprattutto il genere femminile sono marginalizzati e non sono riconosciuti dal governo italiano perché il colonizzato doveva obbedire il superiore e ogni forma di autodifesa o protesta per i diretti è considerata come un atto di ribellione. Durante la dittatura fascista il discorso coloniale è caratterizzato dall’ideologia razzista che favorisce la razza bianca e disprezza quella nera e si impegna a propagandare l’idea dell’estrema inferiorità delle donne africane dichiarando l’assoluta autorità del dominatore sulle donne come bestie favorevole al padrone.

Fino ai nostri giorni, gli studi sulla donna africana e sulla sua posizione nel scenario coloniale come vittima a cui si deve riconoscere la sua sofferenza, sembrano morti e purtroppo, come tutte gli altri imperi (francesi soprattutto in cui la donna algerina ha subito violenze e molestie) questi studi sono rimasti dei tabù nel mondo della ricerca scientifica. I tentativi degli studiosi africani che difendono la memoria e le rimozioni coloniale sono poche e per lo più gli archivi sono nascosti negli scaffali dei centri storici europei, archivi che potrebbero condurre gli imperi a confessare l’uso eccessivo della violenza nei confronti delle donne indigene.

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Hamza Elgharbi

Universitè Alger 2 الجزائر

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