1. Il paratesto
1.1. Riassunto del racconto
« (...) Dio ! Come esprimere colle parole la bruttezza orrenda di quella donna (Fosca) ! » « (…) La tua bellezza, la tua gioventù, le tue grazie ; tu sei mio angelo, tu sola ; il tuo nobile cuore, la tua anima pia e delicata, il tuo spirito vergine e colto. È la donna-anima che ho amato in te (…) un anno a Milano battei perciὸ ad un uscio nel primo piano, e venne ad aprirmi una donna giovane e bella (Clara) essa era sὶ serena, sὶ giovane, sὶ fiorita, e il mondo pareva dover essere stato fino allora cosὶ benigno con lei, che io la guardai un istante senza parlare, compreso d’una meraviglia dolce e profonda ». (Iginio Ugo 1971 : 13)
Sono due brani tratti dal romanzo « Fosca » di Iginio Ugo Tarchetti, in cui l’autore descrive due personaggi (due corpi) femminili : Fosca e Clara. Fosca, uscito e presentato nella primavera del 1869 sul giornale « Il pungolo », è la storia dell’attrazione subita con ripugnanza, ma non per questo domata, da un giovane militare di grado ufficiale, Giorgio, che a 28 anni aveva una grave malattia cardiaca e che parla di sé stesso nel romanzo dicendo : « Io era nato con passioni eccezionali, io non avrei mai saputo né odiare né amare a metà ; non avrei potuto abbassare i miei affetti fino al livello di quelli degli altri uomini ». Poi dice : « Ho avuto due grandi amori, due amori diversamente sentiti, ma ugualmente fatali e formidabili. È con essi che si è estinta la mia gioventù ; è per essi ». Da questa sua personalità inquieta e passionale scaturisce la sua attrazione-repulsione per Fosca, una donna brutta ed epilettica, la cui possessività getta presto l’amante in uno stato di totale soggezione.
Fosca potrebbe esssere la personificazione di tante realtà : la società borghese o anche l’Italia stessa, la terra natale di Tarchetti, di cui parlava Giorgio :
« (...) Io amo la terra, questa grande madre, questa gran patria comune ; io l’amo tutta senza distinzione di suoli e di alcuni ; l’amo come parte di me ; io che non sono che una porzione minima di lei stessa. Ho sentito che essa (terra) mi chiamava e io ho gridato : « tu mi vuoi, ti mi chiami, io vengo, io vengo ».(Iginio Ugo 1971 : 15)
Tutto ciὸ è vero, fa parte della storia, è la foto di un’epoca e di tutti i suoi più caratterizzanti paraphernalia che la narrazione si porta appresso : bohème e valzer, tisi e pelaghi d’oltremare assenzio e alcool, che tuttavia non si esauriscono nel colore o negli atteggiamenti « scapigliati » quasi lisergica e psichedelica di quella stagione artistica, ma trascolorano nell’immagine iconica di una suggestione.
Né la particolare vicenda di Tarchetti, puὸ dirsi esaurita in quella stagione nonostante la tumultuosa urgenza e l’esuberanza confusa di uno che sente di avere molto da dire in un brevissimo spazio, teso tra l’ansia teoretica d’un messaggio e lo scatenamento della fantasia.
Fosca, il romanzo, fa parte di un complesso sviluppo, ma non possiamo dire che rappresenti la conclusione logica di un lavoro, che invece fu aperto a suggerimenti e suggestioni in modo abbastanza disorganico.
Fosca non è la « summa », quanto un momento abbastanza esemplare dell’arte tarchettiana, dove si ritrovano quell’ambientazione e quella fenomenologia che gli sono care, incominciando dall’autobiografica esperienza d’un presidio militare periferico. D’autobiografia anzi ce n’è molta, se anche l’iniziale storia di amore, un idillio romantico in piena regala tra Giorgio e Clara riproduce una reale avventura dell’autore e se il personaggio stesso di Fosca non è di pura invenzione. C’è una novità che riguarda l’attenzione ossessiva per l’anomalo, l’abnorme, l’orrido come « oggetti » recuperabili alla ragione e degni di poesia ; c’è l’acquisizione e lo sdoganamento di ciὸ che da anomalo e abnorme diviene quotidiano, quasi familiare e che la scienza restituisce come caso patologico, benché razionalizzabile nel contempo.
In Fosca il procedimento è scopertissimo : il racconto è una lucida analisi di un processo patologico, le cui direttrici narrative e contenutistiche seguono, paradossalmente, il ritmo, l’andamento di una normale, banalissima storia d’amore. La follia non è « nobile », ma un racconto onirico, fatto di incubi, che il positivismo di quegli anni sotterraneamente tende a ricondurre alla normalità, razionalizzandone le bizzarrie, le anomalie, le stranezze. Si tratta di fantasmi che prendono corpo in una realtà piena di simboli e di segni occulti, a cui l’autore cerca tuttavia di conferire una normalità, una evoluzione, una spiegazione presentandoci personaggi assurdi, inseriti, perὸ in una cornice imprevedibilmente canonica, classica, regolare e codificata.
Non a caso, se l’iperbole è la caratteristica di stilistica e iconica davvero distintiva del romanzo, l’ipobole antropologica viene data quasi per contrappasso, dalla consuetudine routinaria degli eventi. La malattia stessa ne era in qualche modo, un preannuncio, perché una situazione psichicamente patologica era già di per sé proprio un’iperbole bio-fsiologica rispetto allo stato di quiete e armonia della normalità quotidiana. L’iperbole è, infatti, la figura retorica letteraria al quale era ricorso l’espressionismo di Tarchetti ricorre ad ogni passo. (Filippo Bettini 1976 :78)
L’intento tarchettiano è quello di sradicare, con nuove proposte, il conformismo della cultura borghese ( come quella dei suoi compagni di strada « scapigliati ») che in quegli anni si andava rinnovando e modificando in ogni direzione, tumultuosamente. E Fosca è un momento fondante, punto apicale di quella parabola narrativa che si era delineata con le proposte progressiste di « Paolina ».
1.2. Biografia dell’autore
Iginio Ugo Tarchetti, nato a San Salvatore Monferrato il 29 giugno 1839 e avviato dai genitori alla tranquilla sicurezza della carriera militare, gravemente malato, è quello che si definisce uno scrittore maledetto, il quale in meno di un lustro, brucia le energie di un’esistenza. Muore, infatti, giovanissimo, appena trentenne.
Tra il 1861 e il 1864 fu trasferito in molte guarnigioni : Foggia, Lecce, Taranto, Salermo, Varese, Milano. A Varese, nel 63 conobbe Carlotta Ponti, il suo primo grande amore (una bella bruna di 23 anni)
Nel 1864 per ragioni di salute, si stabilὶ a Milano fino al novembre 1865 ( in quel periodo incontrὸ la Carla di Fosca) , quando fu richiamato e inviato a Parma ( dove conobbe Carolina C., una giovane sarda, epilettica che gli isperirà il personaggio di Fosca ).
Tornὸ a Milano e collaborὸ con vari periodici. In omaggio al Foscolo aggiunse un secondo nome Ugo al suo vero. Fu un suo caro amico Salvatore Farina, che scrisse il quarantottesimo capitolo di Fosca, lasciato incompiuto dal Tarchetti ormai ammalato. Fu il Farina ad accoglierlo in casa sua e ad assisterlo sino alla morte avvenuta il 25 marzo 1869.
1.3. La scapigliatura
1.3.1. Quadrostorico-culturale
Gli anni tra il 1860 e il 1870 sono quelli entro cui si colloca il momento più attivo e originale della scapigliatura milanese, epicentro di tutti i movimenti di opposizione artistico-letteraria via via sviluppatisi, su quel modello, nelle altre provincie del Nord, in Piemonte soprattutto e in Liguria (ma cenacoli e riviste « scapigliate » sorsero, per lo più con effimero destino, un po’ in tutte le città dell’Italia settentrionale). (Elio Gioanola 1975 :18)
Il 6 febbraio Del 62 esce il romanzo di Cletto Arrighi, « La Scapigliatura » a cui la fronda antiromantica e antiborghese deve il suo nome e dello stesso anno è il primo libro di versi di Emilio Praga, « Tavolozza » ; del 64 è la breve avventura del « Figaro » di Praga e Boito, molto importante per la presa di coscienza precisa della volontà di contestazione, mentre nel 64 vede la luce la pubblicazione delle « Penombre praghiane ». Nel 65 c’è l’esordio di Tarchetti e l’iniziazione scapigliata di Camerana, che nello stesso anno reca a Torino il nuovo verbo ad un ambiente già predisposto a riceverlo : in questo stesso anno Boito pubblica « Re Orso » e lavora al « Mefistofele », che verrà rappresentato e fischiato sempre nel 68 ; Pinchetti pubblica i suoi versi nel 68 e muore suicida due anni dopo ; nel 68 e nel 70 escono « L’altrieri » e « Vita di Alberto Pisani » del giovanissimo Dossi ; nel 69 muore Tarchetti e in quest’anno escono i suoi lavori più significativi.
È di questo decennio la fioritura straordinaria di giornali e riviste che, mescolando letteratura e politica, costume e socialità, arte e vita, danno inizio ad una nostrana « bohème » di confuse velleità di rinnovamento ; « Il Pungolo di Leone Fortis », la « Cronaca grigia » dell’Arrighi, « Lo Scapigliato » di Tronnoni, che ebbe vita brevissima, il « Gazzettino » e il « Gazzettino rosso », la « Palestra » di Dossi e Peretti, la « Rivista minima » e innumerevoli altre pubblicazioni, in una ricca confusione che ha tutte le caratteristiche di primo boom editoriale, alimentano un dibattito tanto contraddittorio e velleitario quanto generoso.
1.3.2. La rivolta scapigliata
È una facile formula dell’idealismo crociano dire che alla « poesia » degli entusiasmi risorgimentali subentrava, dopo l’unità, la « prosa » del concreto lavoro da fare ; in realtà si imponevano i problemi che tanta letteratura romantico-patriottica aveva coperto di sovrastrutture sentimentali, e questi problemi diventano nazionali : dall’analfabetismo alla enorme miseria contadina, dallo squilibrio Nord-Sud alla proletarizzazione delle masse cittadine all’avanzare dell’industrialismo. Se la « patria da fare » aveva potuto bene o male costituire per la cultura romantica un investimento della sete di ideali, la « patria fatta » toglieva a quella sete l’oggetto per eccellenza sublimante, proprio mentre la classe al potere si apprestava ad appropriarsi di quei valori patriottico-civili per consolidare, la sua forza offrendo motivazioni altamente patetiche e ideali, ovvero le ragioni del dominio appena conquistato. Con la sfasatura di un decennio, si verifica in Italia dopo l’unità ciὸ che si era verificato in Europa dopo il 48, al primo consolidarsi dei regimi borghesi all’indomani delle rivoluzioni nazionali : il Risorgimento che, attorno al valore eminentemente borghese di « libertà », aveva rappresentato l’ambito culturale proprio della classe uscita idealmente vincitrice dalla rivoluzione francese, entra in crisi nel momento in cui l’artista avverte che i valori per i quali si era speso diventano strutture di conservazione della borghesia pervenuta al potere. Baudelaire e Dostoevskij in questo senso rappresentanto i due grandi responsabili di quella crisi che avrà per nome « Decadentismo », e di persona pagheranno il prezzo della dissociazione delle reponsabilità tra arte e potere costituito.
2. L’analisi del romanzo
Fosca è stato l’ultimo romanzo di Tarchetti, uscito a puntate su « Il Pungolo » nel 1869, puὸ essere l’opera più compiuta e rappresentativa dello scrittore (che morὶ prima di poter stendere il penultimo capitolo, il più importante nelle intenzioni dell’autore, interamente scritto poi dall’amico Salvatore Farina, sulla traccia delle indicazioni tarchettiane).
Il romanzo narra le vicende di un abnorme rapporto tra il protagonista che racconta in prima persona e una donna bruttissima, nevrotica ed estremamente sensibile, innamoratasi con fanatico e patologico esclusivismo del bell’ufficiale capitano proprio a casa sua ( il racconto ha come ambiente Parma dove effettivamente Tarchetti svolse parte del suo servizio militare e incontrὸ una certa Angiolina C., che ha dato spunto alla figura di Fosca).
Nella seguente analisi vediamo in particolare come vengono descritti e rappresentati i due personaggi femminili Fosca e Clara. Le domande che si pongono nell’immediato sono le seguenti :
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Come è descritto il « brutto » femminile nel romanzo di Tarchetti ? Come è rappresentato per contrapposizione il « bello » femminile nel racconto tarchettiano ?
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E che significato ha la « bruttezza-bellezza » femminile nel libro di Tarchetti ? A queste domande cercheremo di dare una risposta.
2.1. La descrizione del brutto
« Il mio desiderio fu esaudito : conobbi finalmente Fosca. Un mattino mi recai per tempo alla casa del connello ( vi pranzavano tutti uniti e ad un’ora, ma per la colazione vi si andava ad ore diverse, alla spicciolata) e mi trovai solo con essa. Dio ! come esprimere colle parole la bruttezza orrenda di quella donna ! come vi sono beltà di cui è impossibile il dare una idea, cosὶ vi sono bruttezze che sfuggono ad ogni manifestazione, e tale era la sua. Né tanto era brutta per difetti di natura, per disarmonia di fatezze, ché anzi erano in parte regolari, quanto per una magrezza eccessiva, direi quasi inconcepibile a chi non la vedi ; per la rovina che il dolore fisico e le malattie avevano prodotto sulla sua persona ancora cosὶ giovine. » (Iginio Ugo 1971 : 21)
Con queste parole Giorgio descrive il suo primo incontro con Fosca a Parma, una donna brutta, malata e magrissima, diventa l’incarnazione della rovina e della morte a cui va incontro la creatura in preda all’amore, una « terribile e strana creatura in tutto ! » Il fatto è che l’amore stesso è malattia, sofferenza, brama distruggitrice dell’assoluto.
È vero che Tarchetti tratta questa materia con toni e sensibilità romantici, foscoliani, ma ormai il « sentiment » incontra una materia scopertamente patologica e l’amore è avvertito come fissazione nevrotica, epicentro delle sublimazioni come delle osservazioni psicologiche, legato profondamente nella sua indomabile istintività alle pulsioni distruttive dell’impulso di morte.
La pregnanza simbolica, e non solo descrittiva secondo i canoni scapigliati del « brutto », del personaggio di Fosca, è dimostrata dal fascino che essa, con tutto l’orrore che ispira, finisce per esercitare sul protagonista, progressivamente incapace di sottrarsi a quel richiamo tenebroso di distruzione e di morte : la condiscendenza verso Fosca, è un vortice in cui il protagonista viene risuscchiato fino a mimare allucinatoriamente una notte d’amore.
Dell’amore parla Giorgio dicendo : « ho avuto due grandi amori, due amori diversamente sentiti, ma ugualmente fatali e formidabili. È con essi che si è estinta la mia gioventù ; e per essi. » Giorgio che aveva due amori, un amore reale verso Clara, e un amore per compassione oppure per pietà verso Fosca.
In un altro brano Giorgio spiega il senso dell’amore quando incontra per la prima volta Clara, dicendo :
« L’amore, la più complessa e la più potente di tutte le passioni, è ad un tempo la più facile e la più semplice nel suo nascere. Un uomo ed una donna si incontrano, si vedono, si guardano e basta. Da che cosa era egli stato mosso quello sguardo ? Che cosa vi era in esso ? che cosa diceva ? Nessuno lo sa. Non dimeno tutti gli amori incominciarono con uno sguardo ». (Iginio Ugo 1971 : 35)
Giorgio che ha conosciuto due amori, uno verso Clara, e un altro verso Fosca li descrive diversamente, « io era nato per amare, e ho amato ; se nato per uccidere, avrei forse ucciso » dice Giorgio. (Iginio Ugo 1971 : 35)
La morte è attribuita alla compassione, secondo riconoscibili canoni di sensibilità romantic-borghese, mentre in realtà si tratta di una scoperta, nella figura della donna bruttissima, di una ben personale vocazione all’autodistruzione e alla morte. E tanto più risalta questa vocazione nell’apertura di quell’altra direzione narrativa rappresentata da Clara ( si noti anche l’emblematicità dei nomi), la donna bella sana e fiduciosa di cui il protagonista è amante : non per nulla questo amore, che avrebbe potuto funzionare da ancora di salvezza contro la fascinazione di Fosca, dilegua dopo aver sempre svolto, nell’economia del romanzo, un ruolo secondario. Della compassione dice : « Ma più tardi ho imparato come gli uomini siano avari anche di compassione, perché la compassione è il riflesso di un dolore altrui, e diventa un dolore proprio. »
Ancora una volta, e più di sempre, Tarchetti ha espresso la sua inadattabilità all’esistenza distruggendo una possibile felicità e costruendo il simbolo più efficace e meno evanescente della sua « fuga » dalla vita ( « è tutto quello che io posso fruire dell’esistenza, fuggire dalla realtà, dimenticare molto, sognare molto »), non più questa volta attraverso le fumisterie parapsicologiche e la vistosa messinscena necrofila ma nell’apertura di interessanti varchi verso i misteri del « sottosuolo » psichico, secondo la direzione decadente, che vuole la dicotomia Eros-Thanatos non in funzione opposta ma come compresenza inestricabile delle umane relazioni.
« …. Ma era evidente che la sua bruttezza era per la massima parte effetto della malattia. tutta la sua orribilità era nel suo viso » dice Giorgio sempre descrivendola in un altro brano del romanzo, poi, Fosca parla di sé stessa, della sua malattia, della sua bruttezza dicendo : « L’infermità è in me uno stato normale, come lo è in voi la salute. », inun altro passaggio spiega la sua tristezza : « Egli è che la mia malattia mi rende trista ; il sapere che sono brutta, che sono malata, che nessuno mi puὸ amare….. che povera creatura sono io…. ! » (Iginio Ugo 1971 : 35)
Per quanto riguarda la morte, Fosca dice di non avere paura di lei, ma ha paura di tutto ciὸ che viene e accompagna la morte :
« No ho molta paura di morire, ve lo giuro, benché sappia che non ho più gran tempo a vivere ; ma ho paura di tutto ciὸ che accompagna e segue la morte : quel vedersi chiusi tra quattro tavole, quel sentirsi buttare la terra addosso, quel disfarsi…. Tutto ciὸ è troppo orribile ! Se si potesse morire improvvisamente, nella pienezza della gioventù e della salute, e se la morte fosse un annichilimento istantaneo, io l’avrei implorata di già come una benedizione ». (Iginio Ugo 1971 : 35)
La bruttezza, da una parte, rappresenta la malattia :
« Le malattie m’ebbero deformata » dice Fosca, una donna malata, brutta di fisico ma bella di spirito. « Il suo spirito non era superficiale, la sua intelligenza era assai più profonda di quanto non lo sia ordinariamente un’intelligenza di una donna : essa aveva del talento, e una distinzione di modi affatto speciale », una donna speciale secondo Giorgio nonostante la sua bruttezza, ma con delle qualità : « oltre a ciὸ Fosca non era una donna comune, il suo spirito era assai colto, la sua intelligenza assai vasta ; e la sua stessa infermità, la sua bruttezza erano tali circostanze che concorrevano a formarne un’eccezione. Le sue passioni, I suoi sentimenti, le sue idee dovevano anche essere eccezionali ; ed era forse sotto questo aspetto che bisognava giudicare. »
Una donna che aveva un cuore buono :
- « Non voglio che tu mi veda ! Sono sὶ brutta ! » dice Fosca a Giorgio
- «Non è vero » risponde Giorgio
- « Oh, non adularmi cosὶ » dice Fosca
- « La bontà ti rende bella » (in quel momento era forse sincero) dice Giorgio
- « Tu apprezzi questa bellezza ? » dice Fosca
- « Più di tutto » dice Giorgio
- « Credi che il mio cuore è buono ? » dice Fosca
- « Se lo credo ! » dice Giorgio. (Iginio Ugo 1971 : 153)
Fisicamente Fosca è brutta :
« Il pallore e la magrezza del suo volto erano già tali che parevano non poter aumentare, pure in quel giorno mi colpirono più vivamante del solito. Gli occhi la sola beltà di quel viso, erano come arrossati dal piangere e dal vegliare e un cerchio orribilmente livido pareva ingrandire le orbite. Le labbra quasi pavonazze aggiungevano qualche cosa di spaventevole alla sua fisionomia » (Iginio Ugo 1971 : 153)
la descrive Giorgio.
Una contraddizione : da un lato Fosca è brutta, dall’altro è bella di spirito, onesta, intelligente, « l’onestà di quella donna malata vale per lo meno l’onestà di cento donne sane », Giorgio provava una pietà per Fosca, un amore spirituale ,infatti, è l’amore più nobile (amicizia) :
« la sua vita è attaccata ad un filo, la sua salute è cosὶ cagionevole che basterebbe un lieve sforzo di volontà ad ucciderla, come ne basterebbe uno contrario a salvarla » Fosca è una donna malata, ha un male inguaribile, una malattia nervosa che suscita pietàe compassione enormi. » Ma Dio mio ! come poteva io essere crudele ? Io non era mai stato nella mia vita che semplice, che affettuoso, che buono ! » dice ancora Giorgio ; della compassione Fosca parla : » Oh, abbiate compassione ! Amatemi, amatemi ; si ama un cane, una bestia…. E perché non amerete me che sono una creatura come voi ?... » a cui Giorgio risponde : « Io non posso amarvi perché il mio cuore non è più mio ; non posso ingannarvi perché né io ne sono capace, né voi lo meritate. Il rispetto che ho per voi è più potente della pietà che mi domandate, e mi impone di essere sincero », scrive Giorgio a Fosca quando arriva a Milano. » (Iginio Ugo 1971 : 157)
Quanto all’importanza della bellezza per una donna Fosca dice :
« Tu non sai cosa voglia dire per una donna non essere bella. Per noi la bellezza è tutto non vivendo che per essere amate…. L’esistenza di una donna brutta diventa la più terribile, la più angosciosa di tutte le torture » scrive Fosca a Giorgio, e continua dicendo : « La mia vita fu cosὶ povera anche di amicizia…il bisogno di essere amata era il segreto di tutte le mie sofferenze (…) la natura non mi aveva dotato soltanto di un cuore sensibile, ma di una costituzione inferma, nervosa, irritabile…. L’amore doveva essere il mezzo e lo scopo di tutta la mia esistenza ». (Iginio Ugo 1971 : 162)
Quindi la bruttezza simboleggia il presente di Giorgio, simboleggia l’infelicità nel fatto di amare un donna brutta, amarla come una sorella solo per renderla felice « il desiderio di rendere felici se stessi, quanto un bisogno di rendere felici gli altri », dice Giorgio.
Sia per Fosca che per Giorgio la soluzione ai loro problemi è proprio la « fuga », cioè fuggire, mentre per Giorgio la « fuga » significa dimenticare il suo amore passato verso Clara (incontrata a Milano) , le sue memorie e i suoi sentimenti. Per Fosca la « fuga » vuol dire dimenticare la sua realtà infelice, e la « fuga » la trova nella lettura « Non leggo né per imparare,né per pensare abborro i libri di morale e di metafisica, leggo per dimenticare, per conoscere quali sono le gioie che il mondo dispensa ai felici e per goderne quasi di un eco. È tutto ciὸ che io posso fruire dell’esistenza ; fuggire dalla realtà, dimenticare molto, sognare molto », dice Fosca. Iginio Ugo 1971 : 172)
2.2. La descrizione del bello
« (…) La tua bellezza, la tua gioventù, le tue grazie ; tu sei mio angelo, tu sola ; il tuo nobile cuore, la tua anima pia e delicata, il tuo spirito vergine e colto. È la donna-anima che ho amato in te (…) un anno a Milano battei perciὸ ad un uscio nel primo piano, e venne ad aprirmi una donna giovane e bella (Clara) essa era sὶ serena, sὶ giovane, sὶ fiorita, e il mondo pareva dover essere stato fino allora cosὶ benigno con lei, che io la guardai un istante senza parlare, compreso d’una meraviglia dolce e profonda. » « Sὶ felice, Sὶ florida, Sὶ bella ! » (Iginio Ugo 1971 : 123)
Due brani tratti dal romanzo « Fosca » di Tarchetti, nei quali Giorgio il protagonistadel racconto descrive Clara, una donna bella, sana, che rappresenta per lui le memorie , i ricordi , la felicità e l’amore passato. « Ebbi un’amica di collegio che si chiamava cosὶ. È morta a quattordici anni. Era una bella fanciulla. Col naso aquilino, bruna, rideva sempre…. » la descrive ancora Giorgio. (Iginio Ugo 1971 : 123)
In un altro brano Giorgio descrive sempre la bellezza di Clara dicendo :
« Clara aveva indole forte, giusta, severa, vi era nulla di fatuo, nulla di fiacco, nulla di puerile nel suo carattere ; e pure nessuna donna fu mai più affettuosa, più dolce, più arrendevole, più accarezzevole, più eminentemente donna ». (Iginio Ugo 1971 : 139)
Fisicamente Giorgio parla di lei : « Aveva venticinque anni, era alta, pura, robusta, serena….rassomigliava a mia madre. Mia madre poteva aver avuta la stessa bellezza e la stessa età quando io nacqui. » (Iginio Ugo 1971 : 139)
Giorgio incontra Clara per la prima volta a Milano, è felice con lei, hanno trascorso la fanciulezza insieme, poi, viene il momento della separazione e scrive una lettera a Clara :
« Oh mia vita ! Eccoci separate, eccoci lontani l’uno dall’altro. Ieri ancora io era tra le tue braccia, oggi sono solo, lontano, misero, sconsolato, perduto. Che dirti ? Come esprimerti il mio dolore ? Tu sola, tu che mi ami cogli stessi trasporti disperati, tu puoi sapere dalle tue lacrime l’amarezza e la frequenza delle mie. », poi prosegue la descrizione della sua separazione da Clara « Dio mio ! Dio mio ! Io non so come potrὸ sopravvivere a questa prova ! Eravamo troppo felici (…) la nostra felicità non è finita, tu lo sai (…) non ti vedrὸ più tutti igiorni, non saprὸ più cosa tu fai a tutte le ore, non riceverὸ più i tuoi fiori, non vedrὸ più il tuo balcone, non sentirὸ più la tua voce adorata, I tuoi passi, il tuo respiro (…) » (Iginio Ugo 1971 : 139)
Una creatura dolce, bella, sana, ma, lontana da lui. » Oh dolce creatura ! se tu mi porgessi quella tazza che l’età e gli affami hanno allontanato forse per sempre dalle mie labbra, come potrei rifiorire anch’io, e sorridere ancora alla vita ! Ma la gioventù è dei giovani, e le gioie non sono che dei felici. » La separazione lo rende mesto, malato, triste « io sono infelice, io sono malato, io soffro ». (Iginio Ugo 1971 : 101)
Continua e esprime perché desiderava una donna : « Avrei desiderato una donna, non per chiederle le sue carezze, ma per piangere sul suo seno. L’uomo è più profondo nell’amare, la donna nella tenerezza, si piange meglio sul seno di una donna ».
Conclusione
Per concludere diciamo che per il protagonista le due donne oppure le due figure femminili rappresentano con la loro bellezza-bruttezza due cose completamente diverse. Mentre Fosca una, donna malatache simboleggia labruttezza fisica, una amara realtà a cui Giorgio cerca sempre di fuggire , Clara rappresenta una donna sana, una bellezza pulita con ricordi emozioni ma orribile. Le due donne, infatti, rappresentano per Giorgio due esperienze opposte, i ricordi, il passato, le memorie di un tempo sono a volte dolci altre volte orribili e attuali : è una realtà triste a cui il protagonista del romanzo preferisce sfuggire per non affrontarla.
« Il cielo era quasi sempre sereno e stellato, l’aria impregnata di profumi. In quei momenti avrei voluto pensare a Clara, raccogliermi e dimenticarmi in quel pensiero, ma non era possibile. Fosca mi richiamava inesorabilmente alla realtà della mia situazione (…) Tutta l’orribilità di quel mio passato fu nei due mesi che trascorsi al fianco di Fosca, ed è ciὸ che è impossibile raccontare », dice Giorgio alla fine del racconto.
Fosca, è la metafora della letteratura l’artista che si danna nel descrivere ciὸ che non puὸ raggiungere, perché è mostruoso.